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ITALIA

LA MANOVRA DEL NUOVO GOVERNO. L’interesse generale torna a prevalere sull’interesse particolare

sabato 1 luglio 2006 di Federico La Sala
[...] un insieme di misure strutturali, finalizzate a: i) prosciugare lo spazio normativo per l’evasione e l’elusione fiscale, in particolare nel settore delle compravendite immobiliari; ii) potenziare gli strumenti dell’Agenzia delle Entrate nella lotta ai comportamenti illeciti; iii) promuovere attività di ricerca, sviluppo ed innovazione; iv) rendere il sistema fiscale meno iniquo nel trattamento dei redditi da lavoro, attraverso l’eliminazione degli ingiustificati privilegi goduti dai (...)

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martedì 4 luglio 2006

LA RIFORMA E LE LOBBY di Guido Viale (la Repubblica, 04.07.2006)

I tassisti, come le farmacie, sono percettori di rendite oligopolistiche grazie alle barriere frapposte all’ingresso di nuovi competitors. In Italia i taxi sono pochi: a Barcellona, modello per tutti i sindaci italiani, i taxi per abitante sono sei volte quelli di Milano. Di qui il prezzo spropositato a cui vengono scambiate le licenze: fino a 200mila euro in città come Roma, Milano o Firenze; una compravendita peraltro illegale, mai registrata ai prezzi effettivi. Il costo di ingresso nel settore viene recuperato con le tariffe. Per il recupero (pay-back) dell’investimento si parla di cinque-dieci anni. 200mila euro recuperati in dieci anni sono un balzello annuo di ventimila euro, quasi cento euro al giorno, cioè da cinque a dieci euro su ogni corsa, che vanno ad aggiungersi alla remunerazione del tassista, al canone associativo e al costo di assicurazione, manutenzione, carburante e rinnovo periodico del mezzo.

In altre città italiane queste stime vanno ridotte di un terzo o della metà. Il balzello, comunque, grava soprattutto sui costi delle imprese: oggi può permettersi il taxi quasi solo chi è rimborsato da una ditta o da un ente.

Una volta recuperato il costo della licenza - nel caso che non sia stata ereditata - i tassisti guadagnano molto: per lo meno rispetto agli addetti a mansioni simili. Quanto, esattamente, non si sa; perché non sono tenuti a rilasciare ricevute (quelle che danno al passeggero non hanno alcun riscontro fiscale): le ha abolite, pochi mesi dopo la loro introduzione, il primo governo Berlusconi. A fronte di questi guadagni, il lavoro dei tassisti è stressante e gli orari sono lunghi: dieci e a volte anche sedici ore al giorno. Non è detto - anzi, non accade quasi mai - che durante il turno siano sempre in moto: stanno fermi, in attesa dei clienti, anche per metà della giornata.

La cessione della licenza rappresenta una sorta di buonuscita, in assenza di tutele previdenziali più adeguate: è un "fai-da-te" eretto a sistema di governo; sulla sua perpetuazione si reggono lobby, clientele e "pacchetti" di voti che stanno all’origine della frammentazione della categoria in associazioni e cooperative che invece di collaborare per rendere efficiente il servizio, si combattono per difendere le prerogative di chi le governa. Basti pensare che nelle principali città italiane, nonostante i molti tentativi esperiti, non si è riusciti nemmeno a istituire un numero unico per le chiamate: cosa che evidentemente pesa sia sulla qualità del servizio (tempi di attesa) che sul suo costo (l’attesa spesso la paga il cliente).

Non parliamo delle innovazioni rese possibili dalle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni (Itc): nove anni fa l’allora ministro dell’ambiente Ronchi, nel quadro di un decreto sulla mobilità sostenibile, aveva istituito - sulla carta - una nuova modalità di trasporto a domanda, chiamandola impropriamente "taxi collettivo" e assegnandone incautamente la gestione alle aziende di trasporto pubblico locale (Tpl). Le quali, sostenute dai contributi regionali, avrebbero potuto fare una concorrenza sleale ai tassisti. Per reazione un compatto sciopero aveva offerto a Berlusconi l’occasione di un bagno di folla tra i tassisti romani. Il provvedimento era stato subito revocato e reso non operativo.

Le misure sui taxi del sacrosanto decreto-legge del governo Prodi, se non sarà accompagnata da interventi che affrontino tempestivamente la questione nel suo insieme - e purtroppo la questione non è stata nemmeno sfiorata nel lungo processo di elaborazione programmatica dell’Unione - rischia di sortire effetti analoghi. Vale la pena evidenziare rischi e opportunità a cui si espone la decisione del governo:

1. Senza misure di accompagnamento, il decreto è una mera spoliazione di lavoratori che hanno investito molte risorse nell’acquisto della licenza; o che contano su di essa per una tranquilla uscita dal lavoro;

2. Una compensazione monetaria non è praticabile. Le licenze in Italia sono circa quarantamila. A un costo cautelativo di 100mila euro ciascuna, fanno 4 miliardi di euro. Chi li può sborsare di questi tempi? Il Governo? Le Regioni? I Comuni? Nessuno dei tre;

3. Uno scontro frontale con i tassisti alla lunga è pericoloso: innanzitutto perché svolgono un servizio pubblico essenziale; poi, perché possono adottare forme di lotta estreme, come il blocco del traffico, emulando i camionisti che avevano preparato il terreno al rovesciamento violento di Allende. Sarebbe però gravissimo se il governo facesse marcia indietro;

4. È sbagliato però pensare di affidare progressivamente il servizio a imprese gestite con criteri capitalistici e forme di lavoro subordinato o in appalto come accade negli Stati Uniti. Per capire a quali eccessi di sfruttamento, parassitismo, inefficienza, e anche di conflitto sociale, esso possa portare, consiglio la lettura di Taxi! - Driver in rivolta a New York di Biju Mathew, Feltrinelli. Qualità ed efficienza del servizio sono garantite meglio da una compagine di lavoratori indipendenti;

5. Non ci si può aspettare che dalle attuali organizzazioni dei tassisti vengano proposte diverse dalla difesa dello status quo. Non sono venute finora e non c’è motivo perché le cose cambino improvvisamente. Dovrà farsene carico qualcun altro.

Che fare, allora? Alcune considerazioni di buon senso possono contribuire a imboccare una strada vantaggiosa per tutti:

1. La palla passa alle Regioni e ai Comuni che dovranno assegnare le nuove licenze. Dovranno graduarle nel tempo, in modo da permettere a chi la ha acquistata un recupero almeno parziale del suo valore;

2. Occorre introdurre subito la ricevuta fiscale stampata in automatico dal tassametro. È un altro duro colpo per i tassisti! Ma giacché il governo non se li è certo ingraziati con l’attuale decreto, tanto vale completare l’opera e porre le basi di un effettivo rinnovamento del servizio. Così potrà anche monitorare i guadagni effettivi dei tassisti e graduare la liberalizzazione del servizio sulla loro capacità di recuperare almeno una parte del valore perso;

3. Per ridurne l’opposizione bisogna offrire ai tassisti delle chance: per esempio la possibilità di alternarsi su più turni sullo stesso mezzo; la reintroduzione del trasporto dei disabili finanziato dai servizi sociali; la concessione ai titolari di licenze già in essere di nuove licenze per i coadiuvanti familiari e delle licenze, con facoltà di recesso, per i servizi innovativi: quelli basati sulla condivisione del veicolo tra una pluralità di utenti;

4. Occorre soprattutto predisporre normative e agevolazioni per l’acquisizione delle tecnologie necessarie all’innovazione: tassametri a ripartizione di tariffa; display che segnalino la destinazione del veicolo, per consentire la raccolta di nuovi passeggeri lungo il percorso; display e corsie differenziate in base alla destinazione in tutti i grandi poli di attrazione (aeroporti, stazioni, stadi, ospedali, centri commerciali, quartieri dei divertimenti); interconnessioni, software e terminali per servizi su chiamata estemporanea per passeggeri con percorsi e orari compatibili. E poi, servizi a chiamata sostitutivi del trasporto di linea in zone periferiche e orari di morbida; promozione e agevolazione di convenzioni con utenti collettivi: imprese, enti, categorie.


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