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ITALIA

LA MANOVRA DEL NUOVO GOVERNO. L’interesse generale torna a prevalere sull’interesse particolare

sabato 1 luglio 2006 di Federico La Sala
[...] un insieme di misure strutturali, finalizzate a: i) prosciugare lo spazio normativo per l’evasione e l’elusione fiscale, in particolare nel settore delle compravendite immobiliari; ii) potenziare gli strumenti dell’Agenzia delle Entrate nella lotta ai comportamenti illeciti; iii) promuovere attività di ricerca, sviluppo ed innovazione; iv) rendere il sistema fiscale meno iniquo nel trattamento dei redditi da lavoro, attraverso l’eliminazione degli ingiustificati privilegi goduti dai (...)

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giovedì 13 luglio 2006

In taxi non si può aspettare Godot

di Guido Viale (ilmanifesto, 13.07.2006)

Il taxi è un servizio pubblico di valenza strategica perché è uno dei pilastri dei sistemi di mobilità flessibile che - integrati in soluzioni intermodali con il trasporto di linea - sono l’unica strada percorribile per riportare la mobilità urbana entro un quadro di sostenibilità. Nel momento in cui, grazie al decreto Bersani, vengono ridefinite e negoziate le condizioni generali di esercizio di questo servizio è quindi opportuno inquadrarle in una visione strategica dell’evoluzione futura della mobilità urbana. Anche perché, ove si presentino situazioni di stallo tra le parti, come è avvenuto con gli scioperi dei giorni scorsi, e come potrebbe verificarsi nuovamente nel corso della trattativa, l’unico modo per venirne a capo è quello di allargare l’ambito del negoziato, chiamando in causa altre parti in causa ( stakeholder) dirette o indirette, attuali o potenziali; non solo associazioni di consumatori, e comuni, ma anche grandi utenti: imprese e enti come ospedali, impianti sportivi, scuole, università, strutture del decentramento amministrativo, comitati, associazioni, ecc.

L’obiettivo strategico della ridefinizione del servizio è lo spostamento modale di una quota crescente della mobilità urbana e periurbana dall’auto privata al servizio pubblico e dal trasporto individuale al veicolo condiviso. Condizione indispensabile perché il servizio di linea possa rispondere e fare fronte a un trasferimento ( modal shift) consistente, ancorché graduale, di passeggeri dall’auto privata è la sua stretta integrazione con modalità di trasporto flessibile: car-pooling e car-sharing, rimanendo nell’area del trasporto privato; taxi, individuale e collettivo, nell’area del servizio pubblico. Il servizio pubblico non può infatti coprire il fabbisogno di mobilità creato dalla struttura e dall’organizzazione della città contemporanea con il solo trasporto di linea: in particolare nelle zone periferiche, nelle fasce orarie notturne e di «morbida» (cioè con poco traffico), o per particolari categorie di utenti, o in svariate circostanze saltuarie che possono intervenire nella vita di chiunque. Ma costringere il cittadino utente a tenere un’auto a propria disposizione per far fronte a questi bisogni è un invito a usarla sempre.

Di qui la necessità di un grande potenziamento dei servizi di taxi; potenziamento che tuttavia, nelle modalità della loro attuale organizzazione, incontra ostacoli quasi insormontabili, tutti riconducibili a tre categorie: il costo, la disponibilità di vetture, le modalità di erogazione.

Il costo del servizio dipende da diversi fattori: il contingentamento - e, conseguentemente, il costo di acquisizione - delle licenze; la congestione urbana - nelle metropoli italiane, maggiore che in qualsiasi altra città europea - che dilata tempi e costi di ogni spostamento; la scarsa trasparenza della tariffa, che non permette di evidenziare i ricavi netti dei tassisti, che non sono tenuti a rilasciare ricevute con valore fiscale. Partendo da quest’ultimo punto, non c’è nessun comparto in cui sia altrettanto facile accertare costi e ricavi di un’attività economica. I tassisti vendono un solo bene (i chilometri percorsi) certificati per legge dal tassametro e acquistano pochi input (veicoli, manutenzione, assicurazione, carburante e quote associative): tutti fatturati e/o certificabili. Come tutti i lavoratori autonomi, anche i tassisti piangono miseria, ma sapere quanto guadagnano effettivamente è condizione essenziale non solo per la lotta all’evasione fiscale, ma anche per modulare le eventuali compensazioni di una riduzione o di un azzeramento del valore delle licenze. Il quale attualmente è elevatissimo e incide in misura sostanziale sulla tariffa.

E’ evidente che se si vuole ridurre al minimo - compatibilmente con la salvaguardia dei diritti e delle condizioni di lavoro dei tassisti - il costo dei taxi, il valore della licenza va azzerato (le licenze vanno assegnate gratuitamente e restituite al comune quando il tassista si ritira). Ma è un’operazione che non si può fare di colpo: richiede almeno due o tre tempi, mettendo in vendita le nuove licenze a prezzi scontati (ma non all’asta: il loro valore tornerebbe su rapidamente) e destinando i proventi - come prevede il decreto Bersani - a compensare chi la licenza l’ha già pagata. Ma non in eguale misura a tutti. I tassisti che l’hanno comprata da dieci o dodici anni se la sono già ripagata abbondantemente; quelli che l’hanno comprata da poco rischiano invece il tracollo. Le compensazioni dovranno quindi essere differenziate; e per farlo occorre un quadro chiaro dei redditi degli interessati. Dopo di che, il livello della tariffa da praticare ai clienti potrà essere oggetto di una contrattazione collettiva con la controparte, che è il comune, tenendo conto del fatto che nella remunerazione dei tassisti dovrà essere compreso il costo di un’assicurazione che consenta loro a tempo debito un’uscita tranquilla dal lavoro: cosa che attualmente viene assicurata dalla cessione della licenza. Quanto alla congestione, è evidente che il problema non riguarda solo i tassisti, ma tutti coloro che devono spostarsi, sia con l’auto propria che con un servizio pubblico. Con un traffico scorrevole (basterebbe, per cominciare, sanzionare drasticamente il parcheggio in seconda fila) la velocità - e, quindi, anche la capacità complessiva - dei servizi pubblici, sia di linea che di taxi, potrebbe raddoppiare anche a parità di veicoli e di consumi (meno stop and go). Spostamenti più veloci, minore durata delle corse: cioè più corse e minor costo di ciascuna. Ma anche maggiore disponibilità di taxi liberi: cioè minor tempo di attesa.

La congestione, purtroppo, è un cane che si morde la coda: non si può limitare in misura sostanziale la circolazione di auto private - e, quindi, alleggerire la congestione - se non sono disponibili soluzioni alternative, a minor costo e altrettanto personalizzate (il taxi, in realtà, è più personalizzato dell’auto privata, perché fa un servizio porta-a-porta, mentre nessuno è più in grado di posteggiare la propria auto sotto casa o nei pressi delle sue destinazioni). Ma non si possono rendere disponibili queste soluzioni alternative se prima non si liberano le strade da un buon numero di auto private. Solo la moltiplicazioni di taxi a basso costo può permettere di uscire gradualmente da questo circolo vizioso. Secondo punto: la disponibilità di vetture in circolazione. I difensori dello status quo - i tassisti - sostengono che i taxi non sono pochi, che la domanda è inferiore all’offerta, tanto è vero che loro stanno spesso fermi per una parte rilevante della giornata. Ma con le tariffe attuali la domanda non può che essere quella che è e non può aumentare: pochi benestanti, più tutti coloro che sono rimborsati da una ditta o da un ente, più qualche situazione di emergenza. Se invece le licenze fossero libere, aumenterebbe il numero dei taxi e le tariffe non potrebbero che scendere fino a ridurre i tassisti alla fame (è la legge della domanda e dell’offerta). L’utenza certo aumenterebbe, ma in questa corsa al ribasso si degraderebbe anche la qualità del servizio.

Tra i due estremi occorre trovare una mediazione a cui il mercato da solo non potrà mai arrivare. Per questo sia le tariffe che il numero di licenze devono essere oggetto di una contrattazione con le autorità municipali. Ma per farlo occorre trasparenza: i redditi dei tassisti devono essere chiari come quelli dei metalmeccanici (e lo stesso vale, ovviamente, per qualsiasi altra categoria). Lo standard del servizio deve essere uguale per tutti i taxi in circolazione: se fosse differenziato per sigla o, peggio, per marchio (nel caso di cumulo delle licenze in capo a un’ impresa), la concorrenza sullo standard del servizio segmenterebbe l’offerta e si frantumerebbe la domanda (tra chi aspetta il taxi buono, e chi cerca quello a minor costo) e l’aumento delle licenze non comporterebbe più alcun vantaggio.

Comunque, se si riflette sui costi della situazione attuale, ci si accappona la pelle. Come ha già notato il liberista Giavazzi (ma non lasciamo ai liberisti il monopolio del buonsenso!) l’Italia sta spendendo cento miliardi di euro - in realtà sta solo lasciando un debito in eredità ai nostri figli - per l’alta velocità: un treno che tra Milano e Roma farà guadagnare poco più di un’ora; che poi si perde aspettando un taxi per mezz’ora sia all’arrivo che alla partenza. Lo stesso risultato potrebbe essere raggiunto senza alta velocità, e con un po’ di taxi in più.

Quanto all’organizzazione del servizio, il divieto del cumulo delle licenze è una salvaguardia della qualità del servizio, oltre che garanzia per le condizioni di lavoro dei tassisti. Introdurre in questo campo il lavoro salariato o, peggio, l’affitto a giornata del «medaglione» (la licenza), come succede negli Stati uniti, è come tornare alla mezzadria o alla colonìa in agricoltura: parassitismo, sfruttamento e inefficienza. Ma per quanto riguarda le modalità di erogazione del servizio, oggi ne esistono praticamente solo due: l’attesa del cliente al posteggio e la chiamata, o la prenotazione, telefonica del radiotaxi. Molti regolamenti comunali prevedono anche soluzioni di taxi collettivo, ma a parte qualche corsa per l’aeroporto, chi le ha mai viste? Nelle grandi città italiane i tassisti non vogliono neppure il numero unico per le chiamate, moltiplicando così - a spese del cliente - i tempi di attesa per l’arrivo di una vettura.

Eppure il taxi collettivo - accanto a quello individuale, che continuerà a esistere per le situazioni di emergenza e per i clienti che se lo possono permettere - è la vera soluzione per abbassare drasticamente il costo delle corse e per rendere il taxi una modalità di trasporto alla portata di tutti: per lo meno nelle situazioni in cui il trasporto urbano e periurbano di linea non è economicamente né ambientalmente sostenibile (i bus che viaggiano vuoti costano, inquinano, e non servono a nessuno). Integrato a un trasporto di massa potenziato lungo le linee di forza della mobilità urbana, il taxi collettivo moltiplicherebbe l’utenza (la domanda pagante) del servizio pubblico: sia quella propria che quella del trasporto di linea; e con essa l’offerta, cioè il numero delle vetture disponibili.

Le soluzioni gestionali (tariffe a ripartizione, convenzioni con grandi utenze, corsie differenziate per destinazione e display per orientare i clienti ai parcheggi, call center unificati, ecc.) e tecnologiche (apparati di localizzazione, connessione a banda larga on board, software di gestione) per riorganizzare i servizi di taxi e consentire la condivisione della vettura tra utenti diversi con percorsi e orari tra loro compatibili sono già tutte pronte. Ma queste soluzioni molti assessori nemmeno sanno che esistono. I tassisti non le vogliono, perché a loro le cose vanno bene così. Gli utenti non le hanno mai viste e non hanno idea di come funzionerebbero.

E aspettando Godot, il prezzo del petrolio continuerà a salire. Fino a che ci ritroveremo tutti a piedi.


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