Vendola, presidente della Puglia, credente e gay: più pericolosa per la famiglia l’onda liberista!
"INGIUSTA L’OMOFOBIA DELLE GERARCHIE"
di Giovanna Casadio (la Repubblica, 11/12/2006)
Roma - «Quando la Chiesa torna ossessivamente contro i diritti delle persone omosessuali, esprimendo un certo grado di omofobia, deve sapere non tanto che rischia le contestazioni che sono il sale e il pepe della democrazia, ma che rischia di ferire le persone e l’intenzione universalistica del proprio messaggio, Non drammatizzerei il volantinaggio del Manifesto contro il Papa: nell’epoca della spettacolarizzazione della politica, ciascuno sceglie i propri segnali di fumo». Nichi Vendola è appena tornato dal convegno delle Acli. Primo politico a ricevere Benedetto XVI appena diventato Papa («E mi ricordo ancora l’emozione»), il presidente della Regione Puglia è di Rifondazione comunista, cattolico e omosessuale. Dice di non volere polemizzare ma riflettere sulla famiglia e la laicità.
Vendola lei, omosessuale, sente l’urgenza e la necessità dei Pacs?
«Sento soprattutto la necessità di una riparazione simbolica e giuridica di un torto grave».
Anche se in Italia non ci saranno matrimoni gay e neppure si parla di Pacs ma di riconoscimento dei diritti individuali delle coppie di fatto, le va bene?
«La strada italiana, se riusciremo a partorire una legge che assume il richiamo della Consulta alla non discriminazione e promuove nuovi diritti di cittadinanza, va bene perché tiene conto delle diverse sensibilità sociali. Ma questa è una soglia minima di decenza».
La Chiesa ha alzato steccati. L’Osservatore Romano accusa la politica (della sinistra) di volere «sradicare la famiglia». Un’invasione di campo indebita?
«Il primo problema è l’impoverimento della politica. C’è un deficit progettuale per cui la Chiesa cattolica svolge quasi un ruolo di surroga essendo depositaria di un pensiero forte e di una grande narrazione sulla vita, sui valori, sulla società. La Chiesa occupa quasi naturalmente un vuoto e questo produce molti effetti negativi; la politica ha delegato alla Chiesa una sorta di monopolio sulle questioni legate alla dimensione etica dei problemi».
I teodem si sentono sotto assedio.
«La polemica di oggi mi sembra la polemica di ieri, come se davvero ci fossero guelfi e ghibellini. Mi fermerei a riflettere su un fatto quasi paradossale: la fine dell’unità politica dei cattolici nella Dc ha messo in discussione un confine più certo tra autonomia dello Stato e autonomia della Chiesa. È come se i cattolici in politica nell’epoca della diaspora si sentano meno vincolati dai principi della laicità dello Stato e della politica, come se la laicità fosse percepita come relativismo e laicismo, mentre uno dei fondamenti della laicità è nei Vangeli: "A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio". Poi c’è il cuore della questione».
E qual è?
«Le gerarchie ecclesiastiche sollevano il tema della famiglia, del suo confine, dei suoi valori. Ma cosa ha minato alle fondamenta la rete connettiva della istituzione-famiglia? È stato l’emergere di nuovi stili di vita, soggettività che fuoriuscivano dal ghetto e dalla clandestinità - gli omosessuali, le rivendicazioni femministe - oppure la lunga onda liberista che ha infierito sul welfare? Il nemico della famiglia è la libertà o la paura? Io penso la paura».
E intanto il braccio di ferro laici-cattolici continua?
«Dobbiamo dimostrare che sono in gioco temi che non vanno contrapposti. L’articolo 29 della Costituzione che scolpisce il valore fondativo della nostra società nella famiglia non esclude gli articoli 2 e 3 della Carta che prevedono l’universalismo dei diritti di cittadinanza e la tutela di quelle formazioni sociali che possono essere una cosa differente dalla famiglia».