Inviare un messaggio

In risposta a:
Fuori dalla "preistoria". Al di là della “concezione edipica del tempo”(Vattimo).

DANTE, VIRGILIO E IL ’CODICE’ DI MELCHISEDECH. DIO è AMORE (Charitas), in ‘volgare’!!! E LE RADICI DELLA TERRA SONO “COSMICOMICHE”! Un’ipotesi di ri-lettura della DIVINA COMMEDIA, e un omaggio a Ennio Flaiano e a Italo Calvino

Con Lutero, oltre. Sacerdotalità e Sovranità - universali.
domenica 24 giugno 2007 di Federico La Sala
[...] Anche il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli sicuramente ricordava: divenuto papa, prenderà il nome di Giovanni XXIII ... e cercherà di correre ai ripari. Una nuova Chiesa, per credenti e non-credenti, che sappia essere finalmente, “Mater et Magistra” ... come la Maria di Gesù e la Beatrice di Dante! “Pacem in terris”: un nuovo Concilio, subito!!! [...]
MELCHISEDECH A SAN GIOVANNI IN FIORE, TRA I LARICI “PISANI”.
AL DI LA’ DELLA TRAGICA (...)

In risposta a:

> EU-ROPA: PER DANTE, LE RADICI SONO COSMICOMICHE !!! Un’ipotesi di ri-lettura della DIVINA COMMEDIA, e un omaggio a Ennio Flaiano e a Italo Calvino

sabato 3 marzo 2007

Per la prima volta in Italia la ricerca del medievista tedesco Kantorowicz sul «Christus vincit»: oggi acclamazione vaticana, ma nata per l’imperatore

Diventare re per una litania

Le «Laudes regiae», sorte in ambito carolingio per affermare la derivazione divina del potere civile, nel XII secolo e con la lotta per le investiture diventano invece segno liturgico della teocrazia

di Roberto Beretta (Avvenire, 03.03.2007)

Oggi le sue note fanno da refrain ai buchi di palinsesto della Radio Vaticana: «Christus vincit, Christus regnat, Christus Christus imperat!». Ma una volta questo ritornello era parte fondamentale delle «litanie cesaree», riservate all’incoronazione rituale di re e imperatori: senza di esse non si fece sovrano, dal Sacro Romano Impero in poi. Erano le Laudes Regiae: e questo è appunto il titolo di uno «studio sulle acclamazioni liturgiche e sul culto del sovrano nel Medioevo» che il grande medievista tedesco Ernst Kantorowicz (scomparso nel 1963) ha dato alla terza opera della sua fondamentale trilogia, la meno fortunata dopo I due corpi del re e Federico II imperatore; così negletta che ha dovuto aspettare sessant’anni per essere tradotta la prima volta in italiano, oggi grazie a Medusa.

Dunque Kantorowicz - del quale Alfredo Pasquetti discute in introduzione le modalità di acquiescenza al Terzo Reich (in realtà lo studioso, di origine ebraica, chiederà il pensionamento dall’università per motivi razziali due anni soltanto dopo aver vinto la cattedra e nel 1939 lascerà la Germania per gli Usa) - esamina un elemento apparentemente minore, diciamo pure erudito: la presenza ed evoluzione del «Christus vincit» nei messali dall’VIII al XIII secolo. Ma, oltre a introdurre con ciò (e forse per primo) i libri liturgici tra le fonti della «grande storia», riesce a ricostruire sulla minuzia della sua analisi un affresco credibile della regalità medievale: il suo prediletto terreno di studio. Eccolo dunque rintracciare le origini dell’acclamazione nelle grida che il senato o il popolo e i soldati rivolgevano agli imperatori romani durante il trionfo; constatare poi il consolidamento della triade litanica nella Chiesa gallo-franca dell’VIII secolo, secondo un’andatura marziale di sicura derivazione militaresca; in seguito seguirne l’introduzione anche nella liturgia romana, con significative trasformazioni «imperiali» in uso fino al XII secolo; quindi ritrovarla come grido di battaglia per i crociati in Terrasanta; e ancora esaminarne l’apparizione (anche in lingua greca) su monete normanne dal XII secolo in poi... «Una delle preghiere più virili, infiammate e potenti della Chiesa cattolica», le Laudes (la cui più antica versione risale al 785 circa, piena epoca carolingia) sono dunque invocazioni che - partendo dal Cristo vincitore e re - servivano ad acclamare in Lui i suoi vicari terreni, imperatori e sovrani dapprima, vescovi e papi poi.

E infatti nel testo vengono spessi menzionati i nomi dei re in carica, per i quali si invoca sì assistenza dal cielo, ma di cui nello stesso tempo si colloca in excelsis la fonte dell’autorità. In pratica, con il mantra della ripetizione corale, la preghiera assumeva - oltre al ruolo liturgico - anche la funzione di confermare nell’inconscio popolare e nell’opinione pubblica la derivazione divina dell’umano potere: come lo scintillìo dorato della corona posta sul capo dell’erede al trono (non per niente le laudes sono spesso collegate all’incoronazione), tal quale all’unzione che lo consacrava re in eterno.

La cosa curiosa è come sia stato proprio lo Stato il primo a sfruttare la liturgia cattolica per proclamare la sua preminenza o comunque emanciparsi dalla Chiesa. Lo nota lo stesso Kantorowicz: nei periodi in cui la monarchia era particolarmente forte (ad esempio con Carlo Magno), i formulari del Christus vincit allineavano prima i nomi del re e dei suoi santi patroni (la Madonna, gli arcangeli e Giovanni Battista), solo poi quelli del Papa e dei protettori collegati - gli apostoli.

Ciò per dire che le varie versioni delle laudes regiae costituiscono quasi un termometro dell’evoluzione dei rapporti tra Papi e imperatori, della teocrazia o all’inverso del cesaropapismo; erano insomma una faccenda di «teologia politica», un «accompagnamento vocale» al «culto medievale del sovrano» prima, e più tardi della presa di sopravvento clericale. A parere dello storico tedesco, anzi, esse «si collocano tra le più antiche testimonianze della storia politica occidentale del tentativo di stabilire una somiglianza con la "città di Dio"».

Così almeno fino all’XI-XII secolo. Ché poi avviene l’inversione della medaglia («Il diritto divino dei sovrani - scrive Kantorowicz - e il diritto imperiale dei pontefici sono manifestazioni diverse della stessa idea di fondo, in quanto entrambi derivavano dal modello del Cristo rex et sacerdos, che sia il re sia il vescovo emulavano»): la riforma del papato e la lotta per le investiture enfatizzano infatti la dimensione «temporale» del potere pontificale, anche il Papa cinge una corona (la tiara) e si guadagna le sue laudes, esemplate su quelle dell’imperatore - che da parte sua si è nel frattempo «laicizzato».

Insomma, niente di strano se il Christus vincit lascia le laudes regiae e durante la cattività avignonese penetra nel Pontificale romano. Dove però rimane a dormicchiare fino alla riscoperta, avvenuta per opera dei cultori del gregoriano alla fine dell’Ottocento, e al rilancio legato all’introduzione della festa liturgica di Cristo re (1925). Con una coda maligna, tuttavia: nel canzoniere dei piccoli balilla italiani, anno 1929, anche Benito Mussolini era salutato da un Christus vincit... Manco fosse Carlo Magno.

-  Ernst Kantorowicz
-  Laudes Regiae
-  Studio sulle acclamazioni liturgiche e sul culto del sovrano nel Medioevo
-  Medusa. Pagine 318. Euro 36


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: