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Fuori dalla "preistoria". Al di là della “concezione edipica del tempo”(Vattimo).

DANTE, VIRGILIO E IL ’CODICE’ DI MELCHISEDECH. DIO è AMORE (Charitas), in ‘volgare’!!! E LE RADICI DELLA TERRA SONO “COSMICOMICHE”! Un’ipotesi di ri-lettura della DIVINA COMMEDIA, e un omaggio a Ennio Flaiano e a Italo Calvino

Con Lutero, oltre. Sacerdotalità e Sovranità - universali.
domenica 24 giugno 2007 di Federico La Sala
[...] Anche il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli sicuramente ricordava: divenuto papa, prenderà il nome di Giovanni XXIII ... e cercherà di correre ai ripari. Una nuova Chiesa, per credenti e non-credenti, che sappia essere finalmente, “Mater et Magistra” ... come la Maria di Gesù e la Beatrice di Dante! “Pacem in terris”: un nuovo Concilio, subito!!! [...]
MELCHISEDECH A SAN GIOVANNI IN FIORE, TRA I LARICI “PISANI”.
AL DI LA’ DELLA TRAGICA (...)

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> EU-ROPA: PER DANTE, LE RADICI SONO COSMICOMICHE !!! Un’ipotesi di ri-lettura della DIVINA COMMEDIA, e un omaggio a Ennio Flaiano e a Italo Calvino

sabato 15 luglio 2006

L’IMPRESA DELL’EDITRICE SALERNO SARÀ ULTIMATA ENTRO IL 2021, SETTIMO CENTENARIO DELLA MORTE Dante contro Dante Guerra aperta tra gli studiosi per la nuova opera omnia commentata di Alessandro Barbero (La Stampa, 14.07.2006)

Mentre i sindaci delle metropoli italiane discutono di nebulose candidature olimpiche, per date come il 2016 o il 2020 che agli occhi del pubblico si perdono in un remoto futuro, in Italia c’è qualcuno che sta già lavorando concretamente in vista del 2021. Sono gli studiosi di Dante: giacché in quella data cadrà il settimo centenario della morte, e in un campo vastissimo come quello degli studi danteschi una quindicina d’anni, per mettere in cantiere e portare a compimento un’impresa, sono appena sufficienti (nel 2065 avremo poi l’ottavo centenario della nascita: e in qualche riunione di filologi si comincia già a parlarne, scherzando ma non troppo).

L’ultimo anniversario, quello del 1921, vide la pubblicazione della gloriosa Edizione del Centenario, capolavoro della filologia italiana d’impianto ottocentesco, sotto la direzione di Michele Barbi. Oggi quell’edizione, pur ammirata come un monumento, è in larga misura superata e di molte opere sono usciti testi più attendibili: la Commedia, per esempio, non si legge più nel testo del ’21 ma in quello stabilito dal Petrocchi nel 1966-67. Ma se il testo è, tradizionalmente, la massima preoccupazione dei filologi, i segni dell’invecchiamento pesano soprattutto sui commenti. L’idea che oggi ci facciamo della civiltà medievale è in così rapida trasformazione, e così incalzante la rivalutazione di un’epoca sempre più considerata come un crogiolo della modernità, che leggere un’opera di Dante con un commento non aggiornato è un po’ come visitare la Cappella Sistina prima del restauro.

Ecco dunque che la casa editrice Salerno, diretta da un noto dantista, Enrico Malato, annuncia il progetto di pubblicare entro il fatidico 2021 una nuova edizione di tutte le opere di Dante, garantendo un commento aggiornato, sotto la guida d’un comitato direttivo che riunisce filologi e italianisti, latinisti e paleografi, storici della lingua e della filosofia. Che nella persona di Malato coesistano lo studioso e l’editore garantisce alle sue iniziative, evidentemente, una marcia in più. Il progetto dell’edizione dantesca, ad esempio, si è tradotto in tempo reale in un volume di quasi duecento pagine, Per una nuova edizione commentata delle Opere di Dante, in cui tutti gli aspetti del problema sono sviscerati e presentati alla valutazione della comunità scientifica.

Di fronte alla modernità di questa sinergia, che garantisce a Malato una libertà progettuale e una rapidità di esecuzione irraggiungibili dai colleghi, non ha tardato a coagularsi la resistenza di chi sente minacciate vecchie posizioni di potere. La Società Dantesca Italiana, ente morale riconosciuto dallo Stato e destinatario di munifici finanziamenti pubblici, è intervenuta a ricordare acidamente che spetta a lei, per statuto, promuovere l’Edizione Nazionale delle opere di Dante, sollevando dubbi sull’utilità dell’operazione. Malato, che è anche un polemista senza peli sulla lingua, ha pubblicato per i propri tipi un volumetto al vetriolo (soavemente intitolato In difesa della Società Dantesca Italiana) in cui, dopo aver ricostruito la storia gloriosa dell’ente, denuncia una serie di aspetti imbarazzanti della sua gestione recente.

Lasciamo pure stare il fatto che la suddetta Edizione Nazionale, in programma fin dalla fondazione della Società nel 1888, dopo 118 anni è ancora lontana dall’essere completata. Soffermiamoci, invece, sui meccanismi della gestione societaria, come li descrive Malato con tanto di pezze d’appoggio. Questo ente il cui bilancio, di difficile accesso anche per i soci, pare si aggiri sugli 835.000 euro l’anno, è diretto da un consiglio che negli ultimi quarant’anni è stato sempre eletto per corrispondenza, coll’invio ai soci di una scheda prevotata, in cui tutte le cariche sono già attribuite (ai soci rimane la facoltà, se vogliono, di sostituire uno o più nomi, cosa che pare accada molto di rado). E può capitare, com’è accaduto l’anno scorso, che un presidente rieletto ininterrottamente per 38 anni si dimetta senza darne comunicazione ai soci; e che nella successiva assemblea, presenti 23 soci su 301 iscritti (ma il verbale rileva, in un momento di sincerità, che «mai assemblea è stata più numerosa»), gli subentri alla presidenza, in virtù d’un cavillo statutario, il socio che nell’ultima elezione era risultato secondo, forte di ben quattro voti.

Ma l’aspetto forse più surreale dell’intera vicenda è che quell’assemblea ha approvato un nuovo statuto, in virtù del quale non può essere socio della Dantesca, e dev’esserne espulso qualora già ne faccia parte, chiunque svolga «attività in concorrenza con quelle svolte dall’associazione»: in altre parole chiunque studi o pubblichi Dante al di fuori della sorveglianza della Società. Una norma che obbliga a rifiutare l’iscrizione, per esempio, a chi osi tenere in pubblico una lettura di Dante al di fuori delle Lecturae Dantis sponsorizzate dalla Società, si chiamasse anche Roberto Benigni; e naturalmente a chi, come Enrico Malato, si accinga a pubblicare un’edizione integrale di Dante impiegandoci soltanto 15 anni invece di 150. Gli storici del futuro sono avvertiti: quando vorranno spiegare ai loro lettori increduli che cosa ha voluto dire il parastato e la sua tenace capacità di sopravvivenza, dall’Italietta umbertina a quella del terzo millennio, troveranno qui un dossier bell’e pronto.


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