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ECCLESIA DE EUCHARISTIA (Giovanni Paolo II, 2003). Il cristianesimo non è un "cattolicismo": il ’cattolicesimo’ è morto.

INDIETRO NON SI TORNA: GIOVANNI PAOLO II, L’ULTIMO PAPA. PER IL DIALOGO A TUTTI I LIVELLI: UT UNUM SINT. Un omaggio a WOJTYLA: UN CAMPIONE "OLIMPIONICO", GRANDISSIMO. W o ITALY !!! - di Federico La Sala

Il "Dio" dei nostri ’padri’ e delle nostre ’madri’ è il "Dio" dei viventi, non dei morti !!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO". E’ ORA DI RESTITUIRE "L’ANELLO DEL PESCATORE" A GIUSEPPE, PER AMARE BENE MARIA!!!
domenica 1 maggio 2011
[...] Che Egli viva in eterno, nella verità e nella pace - e nella memoria e nel cuore del nostro tempestoso presente storico, in lotta per portare alla luce una nuova - e più degna di noi stessi e di noi stesse - concezione dell’umano e del divino [...]
“DUE COLOMBI”, “DUE SOLI”. A KAROL J. WOJTYLA - GIOVANNI PAOLO II, in memoriam (03.04.2005)
GUARIRE LA NOSTRA TERRA. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro (...)

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> INDIETRO NON SI TORNA: GIOVANNI PAOLO II, L’ULTIMO PAPA. PER IL DIALOGO A TUTTI I LIVELLI: UT UNUM SINT. Un omaggio a W O ITALY !!!

domenica 9 luglio 2006

W O ITALY: KAROL J. WOJTYLA e L’ITALIA.


Così è entrato nel cuore dell’Italia

Lo storico Andrea Riccardi commenta il legame fortissimo di Papa Giovanni Paolo II con la sua seconda patria (Avvenire, 03 Aprile 2006).

Un «senso» fortissimo «di Roma e dell’Italia». Alimentato continuamente dalla consapevolezza «della funzione storica dell’Italia sia in Europa che nel mondo». E che in breve tempo «lo portò a entrare in profondità nel tessuto della Chiesa italiana, e della società». Giovanni Paolo II, vescovo di Roma e primate d’Italia. Un rapporto profondo e intenso con la sua «seconda patria» che, nella lettura dello storico del Cristianesimo Andrea Riccardi, tra i fondatori della Comunità di Sant’Egidio, ha segnato profondamente il lungo Pontificato wojtylano. «Aveva compreso che quello italiano, essendo un cristianesimo di popolo, era un cristianesimo complesso - dice - e, di questo popolo, s’è fatto guida».

Giovanni Paolo II e la sua «seconda patria». Come si è caratterizzato questo rapporto così speciale?

«Innanzitutto bisogna ricordare che è stato il primo Papa non italiano dopo secoli. Quindi i primi passi di Papa Wojtyla sono stati spesi per "sintonizzarsi", per così dire, con questa Chiesa e con la sua storia di santità, come testimoniano i suoi pellegrinaggi ad Assisi nel 1978 e a Loreto l’anno successivo. Poi direi che a mano a mano questo approccio iniziale s’è sviluppato nel suo farsi presente nelle diocesi e, mi sembra, nella manifestazione del suo fortissimo "senso" di Roma. Per questo, a proposito di quelle caratteristiche delle quali chiedeva, direi che il suo legame con l’Italia si sia sviluppato da una parte attorno all’universalità di Roma e, dall’altra, attorno al ruolo, al senso della funzione dell’Italia per la Chiesa, e non solo per la Chiesa».

In che senso?

«Per Giovanni Paolo II l’Italia aveva una funzione storica sia in Europa che nel mondo. Ed è questa funzione che lui, come abbiamo visto tante volte, ha sempre valorizzato, anche intervenendo a difesa dell’unità e della storia del nostro Paese di fronte a possibili frazionismi o secessionismi. Vorrei dire che questo Papa non italiano ha avuto fortissimo il senso dell’Italia, dell’essere vescovo di Roma e primate d’Italia: è il Papa che ha girato di più, che ha incontrato più italiani, che ha stretto più mani. Che in ogni città in cui è stato ha sempre esaltato le ricchezze locali».

Aveva iniziato a parlare dei primi passi di Papa Wojtyla. Come s’è dunque evoluto quel rapporto?

«In parte lo ho già anticipato. In ogni caso direi che il Convegno ecclesiale di Loreto, nel 1985, è stato un po’ il momento chiave. Il Papa che andava conoscendo e si faceva conoscere è, per così dire, entrato più in profondità nel tessuto della Chiesa italiana, e della società. Se ricordiamo quegli anni, si discuteva molto allora di quale dovesse essere il "modello" di presenza dei cattolici: lui è venuto a dare l’orientamento, proponendo non un semplice modello o una formula, ma uno stile profondamente radicato nella nostra storia e nella nostra cultura, ricordandoci che un cristianesimo senza radici è destinato a divenire irrilevante. E lui stesso ha guidato questo cammino».

In che modo?

«È stato il Papa delle parrocchie e dei movimenti, dei gruppi, dei santuari, dei circoli culturali, dei religiosi. Ha compreso che quello italiano, essendo un cristianesimo di popolo, era un cristianesimo complesso e, di questo popolo, è stato guida. E non ha solo predicato, s’è fatto evangelizzatore, andando incontro alle persone fisicamente. Così abbiamo potuto assistere al realizzarsi di un paradosso: se la sua era una predicazione senza sconti, sine glossa, lui è stato un Papa col volto della simpatia. In questo senso è riuscito a conquistare tutti questi cuori differenti e, come si è visto negli ultimi anni, non solo quelli dei credenti ma di tutti. In questo senso, nel realizzarsi cioè di questo paradosso, si può dire che Giovanni Paolo II non è stato forse tanto l’uomo del "progetto" o della "strategia", ma sicuramente l’uomo della "visione", che aveva il coraggio di fermarsi davanti a tanti uomini e a tante donne, di stringere le loro mani e guardarli in faccia».

Un uomo, s’è detto, di «passione».

«È proprio così, Papa Wojtyla è stato un uomo di grande passione umana, una passione radicata nella preghiera profonda. Anche anziano, l’abbiamo sempre visto animato da questa passione che era capace di trascinare, che poi era una vera passione per il Vangelo la quale, però, lo portava in mezzo alle piazze degli uomini».

Qualcuno, in riferimento a questa caratteristica, proprio circa il suo rapporto con l’Italia ha parlato di un prima e un dopo Wojtyla. È così?

«Non mi sembra. Guardando alla storia del Novecento, a me sembra che sia tutto un crescendo: Pio XII, che fu il primo a uscire dal Vaticano, Giovanni XXIII, Paolo VI... Non credo si possa parlare di una cesura così netta, quanto piuttosto di una pienezza nella storia della sintesi tra Italia e Papa».

Quanto ha influito questa presenza nella vita civile italiana?

«Mi sembra che Papa Wojtyla abbia voluto essenzialmente "fare il vescovo", non si è mai sentito leader di una forza e, forse proprio per questo, ha finito per incidere di più dal punto di vista sociale. Qui bisognerebbe anche riandare a quella che è stata la storia della Dc e della fine del partito unico dei cattolici, che per Giovanni Paolo II non è stato un dramma in quanto lui aveva l’idea di una Chiesa che veniva da lontano e aveva un grande futuro. Ha voluto raccogliere le idee dei suoi predecessori, riservandosi una parte importante del volto pubblico del cristianesimo, il volto simpatico, forte, umano del cattolicesimo italiano».

Magari, talvolta, facendo anche da parafulmine.

«Di certo era un uomo che si prendeva le proprie responsabilità, su questo non c’è dubbio».

Che si può dire del suo rapporto con i vescovi italiani?

«È stato molto importante, sicuramente. Ha sempre creduto nell’importanza di incontrarli, nel fatto di essere il loro Primate, ha partecipato ai grandi Convegni ecclesiali di Loreto e Palermo, sempre attentissimo a quello che cresceva nel cattolicesimo italiano. Ed è significativo sottolineare i rapporti personali che ha intrattenuto con molti dei vescovi. Perché Giovanni Paolo II aveva una grande stima per l’intelligenza italiana, riconoscendo come questa, così come la santità storica dell’Italia, avesse un ruolo fondamentale nell’universalità della Chiesa».

Salvatore Mazza


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