Le sfide della Chiesa di Ratzinger
di Marco Politi ("la Repubblica", 8 luglio 2006)
Avviato il rimpasto della Curia, un fatto colpisce più degli altri: la scelta di un Segretario di Stato proveniente dal Sant’Uffizio. Perché, al di là della persona, è il luogo stesso ad avere una valenza simbolica schiacciante, che finisce per rivelare molto sulla fisionomia e la prospettiva del pontificato di Ratzinger. Infatti, la Congregazione per la Dottrina della fede (come ora si chiama) è il luogo della Verità, che giudica l’Errore sparso nel mondo. Non è il luogo del confronto con la società, ma del giudizio sulle deviazioni dalla dottrina. Non è lo spazio dell’esplorazione, ma lo scranno dove si traccia la riga fra chi è dentro e chi fuori, fra chi è ubbidiente e chi è chiamato a correggersi. In quel luogo non c’è certo da attendersi la maturazione di mea culpa odi riflessioni autocritiche.
L’anno di rodaggio, che Benedetto XVI si è lasciato alle spalle, permette di intravedere alcune caratteristiche della strategia del pontefice tedesco. C’è un forte, fortissimo desiderio di mettere l’accento sull’identità del cattolicesimo e sulla spiritualità della Chiesa. Nasce da questo impulso parte del fascino che Ratzinger emana nei confronti dei fedeli, viene da questa spinta l’attrazione che lo rende interessante agli occhi di molti cattolici. Specialmente quando spiega il vangelo, Benedetto XVI evoca una percezione di «purezza», che arriva diritta al cuore di tanti credenti in ascolto.
Però il suo anelito si accompagna ad un profondo pessimismo sulla situazione del cristianesimo nel mondo occidentale. Nel palazzo apostolico si afferrano discorsi da cui risulta che Germania, Francia e Belgio (per non parlare dell’Olanda) sono nazioni praticamente perse, quanto a influenza della Chiesa nella società. E anche la Spagna viene considerata un paese in cui - Zapatero a parte - la secolarizzazione ha già morso profondamente il corpo sociale. Per non dire del mondo anglosassone, il cui clero sarebbe succube in larga parte dall’ideologia liberal.
L’Italia viene così ad assumere il ruolo di trincea, meglio sarebbe dire, di ultimo ridotto di una Chiesa popolare minacciata dal laicismo. Grave cosa se l’Occidente intero viene percepito come un deserto dei Tartari relativisti di fronte ai quali la Chiesa non può che serrarsi nella sua Fortezza Bastiani. Grave cosa, perché la Chiesa nel Novecento non ha mai guadagnato nulla dalla psicosi dell’assedio. E, invece, tutta la preparazione del grande convegno internazionale sulla famiglia, cui Ratzinger partecipa oggi e domani, gronda di allarme nei confronti di un mondo cattivo intento a disgregare i fondamenti del bene sociale, un mondo squassato da maligne correnti relativiste e in cui i mass media si agitano irridenti e distruttori.
C’è nella valanga di interventi solenni e autoritari, che le voci ecclesiastiche riversano da mesi sull’opinione pubblica, una profonda distanza dalla vita reale come si riscontra nella mentalità di milioni di uomini e donne, spesso sinceramente credenti o in ricerca o comunque sensibili a valori morali. C’è una presentazione astratta e idilliaca della famiglia, che contrasta con l’esperienza diretta e il giudizio personale di una massa enorme di persone, che stanno qui, intorno e accanto a vescovi, preti, a noi tutti. Perché la famiglia è già cambiata e certi cambiamenti sono irreversibili.
La gerarchia ecclesiastica ama ripetere spesso che non vuole imporre una visione di fede alla società pluralista, ma che è in gioco l’antropologia. Ecco, se antropologia non è una parola magica, ma significa semplicemente «visione dell’uomo», bisogna dire che delineare questa visione non spetta oggi esclusivamente ad alcune Chiese o scuole filosofiche, non è appannaggio né di Ruini né di Rutelli, né di Fassino né di Fini, né di Capezzone né dell’Avvenire.
Milioni di uomini e donne, compresi a stragrande maggioranza i cattolici, hanno già elaborato nei decenni trascorsi almeno tre giudizi di valore nuovi e fondamentali. Primo, è un «bene» sciogliere il matrimonio quando i partner sono diventati irrimediabilmente incompatibili. Secondo, è un bene regolare le nascite e non lasciare più che la donna sia un vaso in cui un seme si impianta casualmente. Terzo, è un bene il rapporto sessuale d’amore tra due persone libere. Basta andare tra la gente cosiddetta qualunque, per rendersene conto. Gente semplice, che va a messa, che è solidale, che tiene ad avere una sua moralità. Indietro non si torna. Perché il XXI secolo si presenta per l’Occidente veramente come il Secolo Libero. La stagione in cui, in una dimensione di massa sconosciuta a epoche passate, le moltitudini sono libere di credere o non credere, di appartenere ad una religione odi passare ad un’altra, di contestare le tavole della legge o di costruirle a misura della propria coscienza.
Pensare di ridurre - come è stato fatto di recente in Italia - una svolta epocale di tale profondità semplicemente al problema di una sinistra avvelenata dall’individualismo libertario, che sarebbe ormai incapace di capire i valori cattolici, significa rinchiudersi in una dimensione provinciale. La domanda è: la Chiesa di Ratzinger come intende misurarsi con questa nuova realtà? La sua Curia, il suo Vaticano come pensa di interloquire con la società occidentale di oggi? Perché non basta catturare l’assenso dei propri fedelissimi, è agli «altri» che la Chiesa cattolica deve riuscire a parlare da quando il Novecento ha definitivamente seppellito ogni velleità di ritornare ad una società organicamente cristiana. La riga del Sant’Uffizio qui non basta più.