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ECCLESIA DE EUCHARISTIA (Giovanni Paolo II, 2003). Il cristianesimo non è un "cattolicismo": il ’cattolicesimo’ è morto.

INDIETRO NON SI TORNA: GIOVANNI PAOLO II, L’ULTIMO PAPA. PER IL DIALOGO A TUTTI I LIVELLI: UT UNUM SINT. Un omaggio a WOJTYLA: UN CAMPIONE "OLIMPIONICO", GRANDISSIMO. W o ITALY !!! - di Federico La Sala

Il "Dio" dei nostri ’padri’ e delle nostre ’madri’ è il "Dio" dei viventi, non dei morti !!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO". E’ ORA DI RESTITUIRE "L’ANELLO DEL PESCATORE" A GIUSEPPE, PER AMARE BENE MARIA!!!
domenica 1 maggio 2011
[...] Che Egli viva in eterno, nella verità e nella pace - e nella memoria e nel cuore del nostro tempestoso presente storico, in lotta per portare alla luce una nuova - e più degna di noi stessi e di noi stesse - concezione dell’umano e del divino [...]
“DUE COLOMBI”, “DUE SOLI”. A KAROL J. WOJTYLA - GIOVANNI PAOLO II, in memoriam (03.04.2005)
GUARIRE LA NOSTRA TERRA. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro (...)

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> INDIETRO NON SI TORNA: GIOVANNI PAOLO II ---- «Elio Toaff. Un secolo di vita ebraica in Italia»: "Come non ricordare ... fra i momenti alti, la visita di Giovanni Paolo II in Sinagoga, nel 1986, e il clima di calore intenso che la caratterizzò?" (di Anna Foa - Toaff, impresa da traghettatore)

lunedì 26 aprile 2010

Toaff, impresa da traghettatore

di Anna Foa (Il Sole 24 Ore, 25 aprile 2010)

In un articolo pubblicato sul mensile «Pagine Ebraiche» nell’imminenza della visita in Sinagoga di Benedetto XVI, e poi ripubblicato sull’«Osservatore Romano», l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Mordechai Lewy si domandava come mai sono così pochi i rappresentanti dell’ebraismo a partecipare attivamente al dialogo ebraico-cristiano. Una domanda, questa, non solo interessante, ma anche nuova, che Lewy si poneva soprattutto a proposito degli ebrei ortodossi in Israele e nel mondo, ma che può essere allargata anche al mondo ebraico italiano, non solo geograficamente tanto vicino alla Chiesa cattolica.

E in effetti, da questa radicale trasformazione dei rapporti tra Chiesa ed ebrei iniziata negli anni Sessanta e proseguita, tra alti e bassi, nel corso dei decenni, il mondo ebraico italiano non sembra essersi sentito troppo colpito o partecipe, tranne poche eccezioni. Tutte le riflessioni che sono state fatte sulla svolta conciliare e i suoi esiti hanno guardato soltanto alla sua ricaduta sulla pratica religiosa, catechistica e didattica, cioè hanno guardato alla Chiesa, ma nessuno o quasi si è interrogato sull’atteggiamento del mondo ebraico, quasi dando per scontato che questo cambiamento non potesse non essere accolto a braccia aperte dagli ebrei, coloro che erano stati l’oggetto del secolare insegnamento del disprezzo della Chiesa, e trovare difficoltà solo nel mondo di chi questo disprezzo lo aveva a lungo esercitato, il mondo cattolico.

Eppure, questo non era così ovvio. Il mondo ebraico italiano era uscito dall’esperienza della Shoah profondamente segnato, anche se non colpito quanto quello di altri paesi. Meno del 20% di morti, una percentuale però che sale al 30% fra i rabbini, oltre a sette lunghi anni di discriminazione e di umiliazione dopo le leggi del 1938.

I rapporti del mondo ebraico con la Chiesa cattolica, una volta passato il momento della riconoscenza per l’aiuto prestato nei conventi e nelle istituzioni ecclesiastiche, non furono dei più cordiali. Molti fatti e problemi vi pesarono, non ultima la conversione del rabbino capo di Roma, Israel Zolli, al cattolicesimo. In generale, la Chiesa sembrava, nonostante le denunce di molti cattolici, non voler rinunciare alla tradizione teologica antigiudaica e non volerne rimettere in discussione il ruolo nella diffusione dell’antisemitismo razziale. Fu questa, ritengo, la grande occasione perduta del pontificato di Pio XII, la continuità con la tradizione mantenuta negli anni del dopoguerra, anni in cui i primordi del dialogo ebraicocristiano non trovarono accoglienza nella Chiesa. La storia avrebbe poi dimostrato che il processo si era comunque avviato, anche se con tempi lunghi e complesse resistenze.

Se, in questo contesto, la svolta conciliare e poi la dichiarazione NostraAetate, che rappresentarono un mutamento radicale rispetto alla tradizione, incontrarono un mondo ebraico disposto a venire incontro al cambiamento e a farlo suo, questo fu merito dei pochi che si impegnarono a fondo, e fu a Roma merito precipuo del lungo periodo - un mezzo secolo esatto, dal 1951 al 2001 - di gestione della cattedra di rabbino maggiore da parte di Elio Toaff: una gestione in cui non soltanto il mondo ebraico si aprì senza preclusioni alla società italiana e alla sua ricostruzione, ma anche rimodellò la sua identità tanto sulle trasformazioni che interessavano direttamente l’ebraismo, in primo luogo la creazione dello Stato di Israele e la costruzione della memoria della Shoah, quanto su quelle che interessavano i suoi rapporti con il resto della società, in primo luogo il dialogo ebraico-cristiano.

In queste trasformazioni, il mondo ebraico si è mosso sostanzialmente nello stesso modo di quello non ebraico, con le stesse scansioni temporali e le stesse priorità, finendo per esercitare, nella società e nella cultura italiana, nonostante la sua esiguità numerica, un ruolo importante e in molti casi fin egemone.

È in quest’ottica, volta a sottolineare il ruolo di Elio Toaff nell’intera storia italiana del secondo Novecento, e non solo in quella ebraica, che si è mossa la Comunità ebraica romana, attraverso l’opera della Fondazione Culturale intitolata proprio a Elio Toaff, nel tributare al rabbino emerito di Roma, in occasione del suo novantacinquesimo compleanno, un riconoscimento degno della sua importanza: una mostra, un volume di contributi, tanto di ebrei che di non ebrei, sulla sua figura e sul suo ruolo (in uscita da Zamorani), un documentario, e numerose altre iniziative.

Toaff vi appare sempre più come un grande politico e un grande traghettatore, colui cioè che più ha contribuito a trasportare senza perdite e senza eccessive resistenze nella società italiana la piccola minoranza ebraica.

Un percorso comunque difficile, segnato da crisi e da momenti alti. Come non ricordare, tra le crisi, quella determinata dall’attentato del 1982 alla Sinagoga di Roma, con la morte del piccolo Stefano Taché, quando Toaff, dopo un iniziale momento di chiusura all’esterno, seppe sciogliere il dolore degli ebrei nell’abbraccio della città e delle istituzioni? e, fra i momenti alti, la visita di Giovanni Paolo II in Sinagoga, nel 1986, e il clima di calore intenso che la caratterizzò? Proprio in quanto rabbino, e non nonostante il suo essere rabbino, Toaff è stato un personaggio chiave dell’Italia del Novecento, contribuendo a fare della storia degli ebrei italiani un momento centrale di quella della società italiana tutta. Insomma, a rendere gli ebrei italiani, senza conflitti nè perdite, ebrei e italiani, italiani ed ebrei.

* AA.VV., «Elio Toaff. Un secolo di vita ebraica in Italia», Zamorani, Torino, pagg. 130, €18,00


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