Inviare un messaggio

In risposta a:
ECCLESIA DE EUCHARISTIA (Giovanni Paolo II, 2003). Il cristianesimo non è un "cattolicismo": il ’cattolicesimo’ è morto.

INDIETRO NON SI TORNA: GIOVANNI PAOLO II, L’ULTIMO PAPA. PER IL DIALOGO A TUTTI I LIVELLI: UT UNUM SINT. Un omaggio a WOJTYLA: UN CAMPIONE "OLIMPIONICO", GRANDISSIMO. W o ITALY !!! - di Federico La Sala

Il "Dio" dei nostri ’padri’ e delle nostre ’madri’ è il "Dio" dei viventi, non dei morti !!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO". E’ ORA DI RESTITUIRE "L’ANELLO DEL PESCATORE" A GIUSEPPE, PER AMARE BENE MARIA!!!
domenica 1 maggio 2011
[...] Che Egli viva in eterno, nella verità e nella pace - e nella memoria e nel cuore del nostro tempestoso presente storico, in lotta per portare alla luce una nuova - e più degna di noi stessi e di noi stesse - concezione dell’umano e del divino [...]
“DUE COLOMBI”, “DUE SOLI”. A KAROL J. WOJTYLA - GIOVANNI PAOLO II, in memoriam (03.04.2005)
GUARIRE LA NOSTRA TERRA. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro (...)

In risposta a:

> INDIETRO NON SI TORNA: GIOVANNI PAOLO II, L’ULTIMO PAPA. PER IL DIALOGO A TUTTI I LIVELLI: UT UNUM SINT. ---- IL PAPATO E L’USO POLITICO DELLE CANONIZZAZIONI CHE STA ASSUMENDP DIMENSIONI SCANDALOSE (di Francesco Zanchini di Castiglionchio).

lunedì 14 marzo 2011

Papato, l’uso politico delle canonizzazioni

di Francesco Zanchini di Castiglionchio* (Confronti, n. 2, febbraio 2011)

La questione che l’uso politico delle canonizzazioni propone sta acquistando con il tempo dimensioni scandalose. La tentazione della Curia romana di forzare i termini istruttori delle istanze provenienti dai postulatori viene da lontano: in germe, dall’accentramento deciso quasi un millennio fa da Gregorio VII [† 1085] che con la sua «riforma», gregoriana appunto, strappò alle chiese locali il diritto di prestare spontaneamente il debito onore ai defunti che avessero meritato, a loro insindacabile giudizio, una venerazione straordinaria.

E oggi, pur nelle mutate circostanze, la Curia sempre più esalta gli «amici», come il fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà de Balaguer (un uomo di potere canonizzato lo stesso anno, il 2002, in cui lo fu Juan Diego, l’umile indio della vergine di Guadalupe!), per trovare poi ogni pretesto per sbarrare il passo a quelli che non considera tali - clamoroso il caso di Oscar Arnulfo Romero, vescovo-martire dei poveri del Salvador. Che però la tradizione gregoriana non possa mantenere a lungo la pretesa di identificarsi con la Tradizione tout court (come vorrebbero i lefebvriani) lo mostra il timido inizio di un decentramento che, dopo il Vaticano II, ha restituito all’episcopato locale poteri quanto meno istruttori e propositivi, almeno nella procedura di beatificazione.

Ma rimane il mito dell’infallibilità papale a presidio dell’esclusiva competenza pontificia per la decisione finale di beatificare e poi di canonizzare un servo di Dio. Perciò la Curia continuerà a tenersi ben stretta la sua competenza per la parte più solenne e pubblica del riconoscimento delle «virtù eroiche» dei fedeli. Anche se non è affatto certo che risoluzioni del genere rientrino nell’esercizio dell’autorità di magistero, l’apparato curiale continua a comportarsi come se la Santa Sede fosse dotata, in materia, di prerogative di diritto divino. Il che lascia a tale apparato mano libera per manovrare in senso populista, ma sempre con finalità di dominio, una leva potente di consensus fidelium: secondo una linea di condotta tracciata con maestria, nello stile autoritario della sua leadership, dal più populista dei papi del Novecento, Giovanni Paolo II.

In tale contesto, assistiamo a quella che lo storico Etienne Fouilloux ha definito la strategia curiale di «autogiustificazione del papato», che opera mediante l’omologazione manipolata dei suoi modelli (non di rado fortemente contraddittori) di incarnazione nel tempo. Così papa Wojtyla nel 2000 ha beatificato, lo stesso giorno, papa Mastai Ferretti e papa Roncalli, bilanciando la glorificazione di Pio IX, l’ideatore dell’architettura autoritaria del Vaticano I che nel 1870 proclamò i dogmi del primato pontificio e dell’infallibilità papale, con quella di colui che aveva voluto il Vaticano II per correggere l’unilateralità del Concilio precedente (dove l’antica idea del servizio petrino finiva per mettere ai margini l’autorità dei vescovi fratelli). E, adesso, Ratzinger beatifica Wojtyla e tiene viva la procedura in corso per portare sugli altari Pio XII. Insomma, un papa fa santo l’altro papa, in una catena che tende a rendere santa e indiscutibile, di diritto e di fatto, l’istituzione papale e le sue scelte.

Nella sostanza, non si vuole che resti traccia di una discontinuità conciliare - quella innescata dal Vaticano II - rispettosa fin troppo delle prerogative papali, ma in cammino verso un rinnovamento profondo della Chiesa; nella quale, secondo la Curia, non c’è invece nulla da innovare, essendo tutto già scritto nell’uniforme continuità del papato gregoriano, quello di sempre, e della sua storia. Di qui la cura ossessiva della Curia nel sottolineare (in implicita confutazione delle tesi opposte della scuola bolognese animata da Giuseppe Alberigo) la «continuità» perfetta tra il Vaticano II, il Vaticano I e il Tridentino. Senonché, con buona pace della Curia, i papi non sono tutti uguali (come non lo sono i Concili); ed a colui che volle il Vaticano II la dialettica della storia assegna un posto, il cui segno sta nell’ascolto primaziale di un bisogno profondo di riforma in capite [nella testa] della Chiesa, di riforma cioè dell’istituto papale nei suoi rapporti con la pluralità delle Chiese: una pluralità, di cui il Concilio è l’espressione esponenziale più ovvia ed eminente.

Il 6 dicembre 2006, un gruppo di intellettuali cattolici, di cui tredici teologi (per la metà spagnoli),aveva ritenuto opportuno far pervenire testimonianza contraria alla glorificazione di Karol Wojtyla, in risposta a conforme e pubblica sollecitazione diramata nella diocesi di Roma, sei mesi prima, dall’Ufficio di postulazione della causa. Le sette obiezioni, che i teologi muovevano alla procedura, erano tanto chiare in tesi, quanto fondate su fatti incontestabili, perché notori. Ma nessuna delle ponderate e articolate obiezioni presentate ha meritato attenzione alcuna in corso di procedimento, neppure per disporre un supplemento di istruttoria tramite interrogatorio dei firmatari, o per far sapere a questi ultimi i motivi per cui le si ritenevano infondate, o addirittura irrilevanti. L’unica risposta pervenuta al riguardo è: Wojtyla sarà beatificato il primo maggio. Ancora una volta, il silenzio serbato dalla Curia sull’opposizione dei teologi è un atto di cieca arroganza del sistema e di noncuranza per le sue stesse regole. Si leggono cioè solo gli atti che si vogliono leggere, non quelli che contraddirebbero una decisione già presa in sede politica, nei palazzi del potere.

Ma un tale autoritarismo, tanto paternalista quanto monolitico, incontra una crescente resistenza nel corpo complessivo della Chiesa cattolica e della sua opinione pubblica; soprattutto al di là delle Alpi e al di là dei mari ma, per fortuna, anche in Italia. L’assunzione di visibilità dei cattolici del «disagio», e perfino del «dissenso», in fondo non è dovuta ad altro, se non al macigno che intasa la corrente del movimento conciliare dai tempi del pontificato di Giovanni Paolo II; macigno che proprio costui ebbe a rafforzare in funzione di diga autoritaria, opposta, nel nome di un integralismo che sa di Pio IX, a qualsiasi seria possibilità di ripresa della parabola che il progressismo conciliare aveva appena attraversato nel Novecento. Malgrado perciò fortissime resistenze (la Curia manterrà il suo atteggiamento di tenace opposizione alla innovazione, e tenterà di giustificarla con argomenti ideologici: nessuno cede volentieri il potere!), si avvicina sempre più il momento inesorabile di una revisione critica del primato papale di giurisdizione, revisione che ne metta in luce aporie dottrinarie e manipolazioni ideologiche; momento che mi pare un kairòs di questo tempo della Chiesa, e sul fronte non solo dell’ecumenismo.

E a chi insiste sul «continuismo», sarebbe bene ricordare che, a quanti contrastavano la riforma, i gregoriani opponevano l’antico brocardo (massima giuridica) secondo il quale il divin Maestro non aveva affatto detto di sé Ego sum consuetudo (sono la consuetudine) ma, piuttosto, Ego sum Veritas.

La Chiesa romana, d’altronde, è ormai sempre più investita da un diffuso, crescente bisogno di profonda revisione dei rapporti tra responsabilità docente e libertà di una coscienza (dei fedeli e delle chiese) autonomamente formata alla luce della fede. Voglia il cielo che questo avvenga entro il 20 settembre 2020, centocinquantesimo anniversario della breccia di Porta Pia e dell’inizio di una stagione troppo lunga di opportunismo e di vittimismo guelfo nel nostro paese.

*Ordinario di Diritto Canonico all’Università di Teramo


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: