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O CHE "BEL" NATALE: E CHE "BUON" ANNO !!! IL PRESIDENTE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’" GIA’ PREPARA LO SPETTACOLO "IO SONO NAPOLITANO" E CANTA: "FORZA ITALIA"!!!

lunedì 15 marzo 2010
(Per leggere e ... credere, cliccare sul rosso)
1994-2010: LA LUNGA E BRILLANTE CAMPAGNA DI GUERRA DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA. Alcuni documenti per gli storici e i filosofi del presente e del futuro
NUOVO GOVERNO. FEDELTA’ ALLA REPUBBLICA E ALLA COSTITUZIONE. Giuramento di (...)

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> Ieri un editoriale su Repubblica di Aldo Schiavone terminava con questa affermazione: «Non abbiamo bisogno di intelligenze "al di sopra delle parti", né abbiamo bisogno di edulcorare le nostre asprezze». ... Oggi: Le vere riforme per il "bene comune".

lunedì 11 gennaio 2010


-  "PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!

-  COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA.....

-  IL BERLUSCONISMO E IL RITORNELLO DEGLI INTELLETTUALI.


Le vere riforme per il "bene comune"

di Aldo Schiavone (la Repubblica, 11 gennaio 2010)

In questi giorni abbiamo ascoltato voci diverse, anche molto autorevoli - a cominciare da quelle dei presidenti della Repubblica e della Camera - invitare i protagonisti della nostra politica ad avere più a cuore l’«interesse nazionale» e il superiore valore dell’unità del Paese.

Si tratta di indicazioni che meritano la dovuta attenzione, e non soltanto per le personalità da cui ci giungono. Stiamo entrando in una campagna elettorale difficile, e la maggioranza annuncia di voler fare dell’anno che comincia «l’anno delle riforme». Sarà bene dunque riflettere pacatamente sul clima mentale con cui affrontare questi appuntamenti, per cercar di capire cosa fare per allontanare da noi quello «stato marziale dell’anima» (per dirla con James Hillman) che sembra ormai avvolgere tutta la politica italiana.

Dirò subito che non credo che formule come quella che abbiamo appena sentito del «partito dell’amore» (così il Presidente del Consiglio) ci facciano fare davvero passi avanti. Mi guardo bene
-  sia chiaro - dal sottovalutare l’orizzonte cui si allude con questa formula. Credo anzi che l’amore verso il prossimo - diciamo anche la questione della fraternità come regola universale nei comportamenti sociali della nostra specie - sia il più grande nodo etico che la civiltà umana abbia di fronte, reso attuale e ineludibile dalla forma stessa che la storia del mondo sta prendendo sotto i nostri occhi. Se non saremo capaci di compensare con una autentica rivoluzione intellettuale morale del nostro paesaggio interiore (delle nostre "anime", appunto) lo straordinario aumento di potenza trasformatrice - della nostra stessa naturalità e dell’ambiente intorno a noi - di cui ormai disponiamo, potremmo arrivare all’abisso. Ma si tratta, per ora, di un tema etico, non politico: trasportarlo così meccanicamente su quest’ultimo piano ha qualcosa di intrinsecamente improprio e quasi grottesco, che non fa bene. La politica - quella che conosciamo e che ancora conosceremo abbastanza a lungo - non è amore: è distinzione, conflitto, regole, mediazione. E non vi si porge - se non per calcolo - l’altra guancia.

Il problema che abbiamo innanzi è invece un altro. E cioè di come far sì che in una democrazia compiuta - che è sempre una democrazia dell’alternanza, fondata in qualche modo sulla bipolarizzazione dell’offerta politica - l’inevitabile conflitto fra le parti non oscuri nella coscienza collettiva quel sentimento di unità, di appartenenza condivisa e di riconoscimento reciproco costitutivo in modo primario di ogni comunità nazionale. Un sentimento che in Italia, per ragioni legate alla nostra storia profonda, fa sempre fatica ad affermarsi, senza essere prima misconosciuto, deformato o svenduto. Ed è proprio perciò, per proteggerci da questa nostra fragilità, che dobbiamo guardarci dal trasformare quegli inviti all’unità in una spinta verso accordi al ribasso, in una sollecitazione ad abdicare ai nostri princìpi, pur di ripristinare a ogni costo uno spirito di trattativa e di intesa. Non è di questo che abbiamo oggi bisogno. E non è stato così nei momenti alti della storia repubblicana: quando l’unità si è conquistata attraverso il raggiungimento di sintesi superiori e più avanzate rispetto alla dialettica che le aveva precedute, che non oscuravano le opposte posizioni di partenza, ma le trascinavano tutte su un terreno più solido e rischiarato. È accaduto per la nostra Costituzione.

Quegli ammonimenti vanno intesi piuttosto come un’indicazione alle parti politiche perché ciascuna sappia uscire dal proprio guscio, e trovi l’ispirazione e la forza per rivolgersi non solo alla propria gente ma all’intero Paese - un’attitudine che dovrebbe diventare una bandiera della sinistra che vorremmo - e perché ciascuna, nella chiarezza delle distinzioni, sappia accantonare tornaconti immediati - e per quanto riguarda la destra e il suo leader addirittura personali - in nome di un’idea condivisa di bene collettivo. Ma il punto è proprio questo: esiste oggi un simile patrimonio ideale? Esso non cade dal cielo, né è innato in un corpo sociale, e non lo si può invocare dandone per scontata la presenza. È un risultato e non un presupposto, frutto delle scelte storiche, delle esperienze stratificate nel tempo, e, per dir così, di una quotidiana pedagogia democratica. E richiede da parte di tutti un rigoroso rispetto delle regole. Non si può avere la pretesa di riformare su punti cruciali il funzionamento e la struttura stessa dell’ordinamento dello Stato, se si assume verso quelle stesse istituzioni su cui si dovrebbe intervenire "sine ira et studio", un atteggiamento di insofferenza che non esita ad assumere le tonalità della rivolta, e richiama a tratti quel "sovversivismo dall’alto" che ha sempre segnato i momenti più rovinosi nella storia delle nostre classi dirigenti. Non si può riformare, mentre si cerca di manomettere: ricordarlo all’attuale maggioranza e al suo leader non è una provocazione; significa solo far realisticamente presenti gli ostacoli da rimuovere per rendere possibile un dialogo. Quale può essere oggi "il bene comune" per il Paese? Due cose, direi, innanzitutto. La prima. Una riforma nel funzionamento della nostra macchina democratica, che ridia sicurezza, agilità e velocità alla decisione politica, trasparenza alla gestione del potere, e ruolo alle rappresentanze parlamentari.

La seconda. Creare le condizioni culturali e civili per un confronto limpido, serrato, e non disturbato dalla presenza di situazioni improprie, fra le due o tre idee d’Italia che stanno cominciando a delinearsi, e da cui dipenderà l’arresto o meno del nostro declino: quella "cattoleghista" di Tremonti e Bossi; quella della destra repubblicana di Fini e Casini; e infine quella (ancora nebulosa, ma con grandi potenzialità) di una sinistra plurale, aperta e riconciliata con il futuro. Il nostro "interesse nazionale" è tutto nella realizzazione di questa cornice.


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