Roma
Cinque secoli e mezzo fa moriva il frate di Fiesole oggi beato. Dopo oltre cinquant’anni dall’ultima esposizione dedicata all’artista rinascimentale martedì si inaugura una grande rassegna che ne celebra il genio
Saranno esposte tutte opere di attribuzione certa, anche quelle meno note al pubblico, tra cui la predella di Zagabria, l’Annunciazione di Dresda, il San Giovanni di Lipsia e il trittico dei «Beati e Dannati» che arriva da Oltreoceano
Angelico è il pittore del Paradiso
DI GIOVANNI MORELLO (Avvenire, 03.03,2009).
«Il beato propagandista del Paradiso», così Elsa Morante titolava una appassionata prefazione al primo catalogo moderno delle opere dell’Angelico, redatto da Umberto Baldini, apparso nella benemerita collana dei «Classici dell’Arte Rizzoli», nel 1970. Ed effettivamente nessuno meglio di fra’ Giovanni da Fiesole è riuscito a presentare agli occhi meravigliati di noi comuni mortali le atmosfere mistiche e le realtà soprannaturali della fede cristiana.
I suoi angeli eterei e carnali, rivestiti da preziose vesti colorate, sembrano sempre in procinto di spiccare il volo dispiegando le loro surrealistiche ali multicolori. Le sue Madonne, giovani e delicate, costituiscono non solo un inno terreno alla dolcezza della maternità, ma anche, o forse soprattutto, dell’umile e convita accettazione della volontà di Dio. Il suo Paradiso, a cui si accede danzando, condotti per mano dagli angeli, come nel Giudizio Finale degli Uffizi o in quello di Berlino, raffigurano il momento culminante di quella «Storia della Salvezza» che ha costituito il leit-motiv dell’opera pittorica del frate domenicano a cui ora viene dedicata una grande mostra a Roma, nei Musei Capitolini, sotto l’egida del Comitato Nazionale per le celebrazioni del 550° anniversario della morte del Beato Angelico.
Sono esattamente cinquantaquattro anni, dal lontano 1955, che all’Angelico pittore non viene dedicata una grande mostra monografica, e anche nel mondo il panorama non è molto affollato in questo senso, se si esclude la grande mostra al Metropolitan Museum of Art di New York del 2004. Senza voler essere maliziosi e ritenere che ciò possa derivare da un inconscio tentativo di rimozione da parte di una certa cultura egemone, ancora impregnata di dogmi laici e certezze terrene, c’è da dire che a differenza di quasi tutti gli altri grandi artisti l’esistenza di un Museo, nel convento di San Marco a Firenze, quasi ad personam interamente dedicato all’opera dell’Angelico, ha garantito al pittore domenicano una sorta di «esposizione permanente» della gran parte dei suoi capolavori rendendo così meno pressante la realizzazione di mostre monografiche.
Il 24 febbraio 1955 Pio XII, con un ispirato discorso, aveva inaugurato in Vaticano, nelle sale adiacenti alla splendida Cappella Niccolina, mirabilmente affrescata con le storie dei diaconi Lorenzo e Stefano da fra’ Giovanni da Fiesole, una grande mostra dedicata alle opere del frate domenicano, sintetizzava la valenza culturale dell’arte angelichiana, collocata lungo le vie maestre della cultura occidentale, come pilastro insostituibile, «sia come interprete della sua epoca, sia come effigie promotore dell’avanzamento di quella». Da quel discorso prendeva il via un com- plesso processo culturale ed ecclesiale, concluso il 3 ottobre 1982 con il motu proprio di Giovanni Paolo II che riconosceva ufficialmente il culto liturgico, con il titolo di ’beato’, a fra’ Giovanni da Fiesole.
Nella mostra capitolina «Beato Angelico. L’alba del Rinascimento», che aprirà i battenti il prossimo 7 aprile, per continuare fino al 5 luglio, sarà possibile seguire, il percorso artistico del frate pittore, attraverso tavole, disegni e manoscritti miniati, dalle prime opere giovanili, come la Tebaide degli Uffizi o la Madonna di Ceri del Museo Nazionale di Pisa, alle ultime della sua maturità romana, come la Madonna con il Bambino di Santa Maria sopra Minerva, già ritenuta opera del suo discepolo Benozzo Gozzoli, o la predella della Pala di Bosco ai Frati, dell’omonimo Museo fiorentino, restaurato per l’occasione, così come il trittico con Giudizio finale, Ascensione e Pentecoste, della Galleria Corsini. Roma fu infatti la città dove per circa dieci anni egli realizzò importanti cicli pittorici, purtroppo quasi tutti perduti, tranne quello della vaticana Cappella Niccolina. Roma fu anche la città dove egli chiuse gli occhi sul mondo, per riaprirli in quel Paradiso da lui dipinto e sempre agognato. Roma è la città che ne conserva, alla venerazione dei fedeli, la tomba nella domenicana basilica di Santa Maria sopra Minerva.
La scelta delle opere è stata compiuta tenendo presente due direttrici: da un lato ha osservato criteri di qualità ed autografia, con una significativa campionatura delle varie fasi della produzione dell’Angelico (tra i dipinti figurano un capolavoro assoluto come il Paradiso degli Uffizi, il grande trittico di Cortona completo della sua predella, la luminosa e policroma Annunciazione di San Giovanni Valdarno, e due dei quattro straordinari pannelli dell’Armadio degli Argenti del Museo di San Marco), dall’altro ha mirato a far conoscere opere meno note, o mai esposte, per offrire agli studiosi e al grande pubblico una occasione privilegiata di approccio al mondo artistico e spirituale del Beato Angelico. Saranno così visibili per la prima volta la notevole e complessa predella di Zagabria ( Stimmate di san Francesco e Martirio di san Pietro), la problematica Annunciazione di Dresda (riassemblata nel XVI secolo), il pregevole frammento con San Giovanni Battista di Lipsia (forse collegabile alla pala di San Marco), i due raffinati laterali di trittico con i Beati e i Dannati (1430 c.) oggi in collezione privata americana.
Proprio quest’ultima emozionante opera, probabili pannelli laterali di un trittico che doveva avere al centro un Giudizio Finale perduto, ci riporta al Paradiso dell’Angelico. I due pannelli mostrano su un lato i beati che ascendono festosi nelle loro bianche vesti verso il cielo, dall’altro i dannati che precipitano disperati nelle fiamme dell’Inferno. Questo moto, ascensionale da un lato e discendente dall’altro, non doveva essere ignoto a Michelangelo per il suo Giudizio della Cappella Sistina. D’altro canto il Buonarroti era un fervente ammiratore dell’Angelico, di cui conservava gelosamente nella sua casa romana un resto di affresco con la Vergine, proveniente dalla distrutta cappella in San Pietro, opera del pittore del Mugello.