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L’AMORE GRATUITO ("CHARITAS") DI SUOR EMMANUELLE. Una lezione di vita e una "lezione" (inedita) sull’Annunciazione del Beato Angelico.

domenica 22 marzo 2009
L’ARTE, LA FEDE E I POVERI: UN INEDITO DI SUOR EMMANUELLE
L’Annunciazione per i non credenti
Una tela come quella del Beato Angelico, con la rappresentazione dell’invisibile attraverso il gioco dei colori, sembra fatta per colpire profondamente chi non ha fede.
Ma alla vera bellezza, come (...)

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> L’AMORE GRATUITO ("CHARITAS") DI SUOR EMMANUELLE. --- Beato Angelico. Lo splendore della sua luce ... A 550 anni dalla morte, una rassegna in Campidoglio (di Antonio Pinelli).

lunedì 27 aprile 2009


-  Beato Angelico
-  Lo splendore della sua luce

-  A 550 anni dalla morte, una rassegna in Campidoglio esalta il legame del "santo frate" con l’umanesimo rinascimentale

-  di Antonio Pinelli (la Repubblica, 27.04.2009)

ROMA. Promossa dal Comitato nazionale per i 550 anni della morte dell’Angelico, la mostra che si è inaugurata in Campidoglio giunge con quattro anni di ritardo («Beato Angelico. L’alba del Rinascimento», Palazzo Caffarelli, a cura di A. Zuccari, G. Morello e G. De Simone, fino al 5 luglio). Ma puntualità a parte, va dato atto ai promotori di aver realizzato la maggiore esposizione dedicata all’Angelico in Italia, dopo quella ormai mitica che si tenne in Vaticano e a Firenze nel 1955, in occasione del V centenario della morte del grande frate pittore.

Soprattutto va riconosciuto al Comitato di aver concepito questa rassegna come il punto di approdo di un percorso pluriennale costellato di iniziative meritorie, quali il Convegno di studi tenutosi a Roma nel 2006, il finanziamento di restauri condotti su opere presenti in mostra (il Trittico della Galleria Corsini di Roma e la predella della Pala di Bosco ai Frati) ed infine la campagna di indagini riflettografiche effettuate dal Laboratorio della Normale di Pisa su un significativo campione di opere dell’Angelico, che rivelandone la preparazione grafica soggiacente alla superficie dipinta (il cosiddetto underdrawing) apportano nuove conoscenze sulle modalità operative del pittore, confermandone quella nitida sicurezza di disegno (rarissimi i pentimenti) di cui già tessevano le lodi gli scrittori d’arte suoi contemporanei.

Guido di Piero - questo al secolo il nome dell’Angelico - nacque a Vicchio nel Mugello tra il 1395 e il 1400, e si avviò precocemente alla pittura, tanto che già nel 1418 è documentato con la qualifica di magister. Poco dopo prese i voti ed assunse il nome di Fra’ Giovanni da Fiesole, pur continuando ad esercitare infaticabilmente quella professione di pittore e miniatore, che lo impose ben presto come uno dei massimi protagonisti della scena artistica del primo Rinascimento. Egli fu attivo soprattutto a Firenze, dove il convento domenicano di San Marco custodisce un così gran numero di sue testimonianze figurative da esser divenuto una sorta di suo Museo personale, e nella Roma dei papi Eugenio IV e Niccolò V, dove si recò a più riprese per dipingere in Vaticano, e passò a miglior vita nel 1455, mentre era intento ad affrescare il chiostro di S. Maria sopra Minerva, la chiesa domenicana dove fu sepolto con tutti gli onori.

Fu una monografia di Argan, anch’essa del 1955, a dare l’ultima spallata al mito romantico e ottocentesco del «santo frate» che dipingeva visioni paradisiache in preda ad estasi mistica. Un mito duro a morire, tanto che una ventina d’anni fa il pittore ha beneficiato dell’inflazione promossa da Giovanni Paolo II, ottenendo il crisma dell’ufficialità vaticana a quel titolo di Beato di cui l’aveva gratificato l’Ottocento nazareno e preraffaellita.

Il succo del pensiero di Argan sull’argomento è che non si tratta di mettere in dubbio la profonda religiosità del frate pittore, ma di diradare quell’alone abbagliante di misticismo, che a partire dall’appellativo di Angelico (come il domenicano San Tommaso, «doctor angelicus») donatogli da un confratello poco dopo la sua morte e dalla definizione di pittore «al ben ardente» coniata da Giovanni Santi, padre di Raffaello, in un crescendo che passa attraverso il ritrattino vasariano di un Fra’ Giovanni che dipingeva solo dopo aver pregato e si commuoveva davanti ai propri Crocifissi dipinti, per culminare negli «sfoghi del cuore di un monaco» di Wackenroder o alle beatificazioni preraffaellite di Rio e John Ruskin, finiva per ottenebrare la sostanza rinascimentale dell’arte angelichiana, ed in particolare la sua perfetta dimestichezza con i teoremi della prospettiva.

Quello del frate - sosteneva Argan - è un umanesimo cristiano, un rinascimento in chiave tomista, che non ignora la rivoluzione prospettica e attraversa anche la sua fase «antiquaria», come dimostrano gli affreschi di quel gioiello rinascimentale che è la Cappella Niccolina in Vaticano, in cui tra citazioni classiche e solenni cerimoniali liturgici ambientati in scenari architettonici che evocano le mura aureliane e le basiliche paleocristiane, Fra’ Giovanni pronuncia la sua più alta ed eloquente «orazione latina».

Oggi, pur avendo fatto tesoro di questa decisiva «apertura» arganiana, gli studi di cui questa mostra vuol essere il compendio espositivo puntano giustamente a valorizzare più che il legame di Angelico con la «rivoluzione» umanistica di Masaccio e Donatello, quello con il «riformismo» umanistico di Masolino e Ghiberti. Un riformismo che non ignora l’Antico né la prospettiva, ma nemmeno taglia del tutto i ponti con il Medioevo. Studi che valorizzano gli scambi reciproci tra la pittura angelichiana e quella fiamminga di Van der Weyden e di Jean Fouquet. E che nel peculiare luminismo del frate pittore, in quello splendore metafisico di una luce che non si limita a modellare le forme dall’esterno, ma ne accende misticamente i colori gemmei dall’interno, individua uno dei fondamenti della «pittura di luce» del Rinascimento, quella tendenza che passa attraverso Angelico e Domenico Veneziano, per approdare nella metafisica sacralità prospettica dell’arte di Piero della Francesca.


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