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EQUIVOCATO O EQUIVOCO? BENEDETTO XVI O BERLUSCONI, NESSUNO COMPRERA’ LE NOSTRE PAROLE . Note di Maria Novella Oppo

sabato 5 settembre 2009
Fronte del video
Papa equivocato o equivoco?
di Maria Novella Oppo (l’Unità, 13.03.2009)
Forse noi atei non devoti eravamo rimasti gli ultimi a credere, anzi a non credere, nel dogma della infallibilità pontificia. Fatto sta che è stato abbastanza scioccante sentire nei tg stralci del documento (...)

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> EQUIVOCATO O EQUIVOCO? BENEDETTO XVI COME BERLUSCONI .... LA BILANCIA SPEZZATA (E LE CORDE VOCALI ANCHE). LA NECESSITA’ DELLE PRECISAZIONI: IL "TALENTO" DIMENTICATO DALL’ITALIA (di Filippo Di Giacomo).

mercoledì 4 agosto 2010


-  LA TEOLOGIA DEL MENTITORE, LA CHIESA DI COSTANTINO, E LA SOVRANITA’ DEL PAPA. Un’analisi di Vito Mancuso

-  PER UNA NUOVA TEOLOGIA E PER UNA NUOVA CHIESA.
-  L’INDICAZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI GIOVANNI PAOLO II: LA RESTITUZIONE DELL’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE.
-  Il loro successore ha il cuore di pietra e se lo tiene ben stretto.
-  Per lui Dio è Valore e tutto ha un caro-prezzo ("Deus caritas est")!!!


Il «talento» dimenticato dall’Italia

-  di Filippo Di Giacomo (l’Unità, 04.08.2010)

L’Italia non ha ratificato il trattato sulle bombe a grappolo; le bombe tanto amate dagli eserciti occidentali quando vanno ad esportare democrazia con i caccia bombardieri. L’unica voce che si è espressa, con l’abituale fermezza, contro la codardia di governi subalterni a chiunque produca soldi, anche a costo di distribuire morte agli inermi e agli innocenti, è stata quella del Papa, domenica scorsa, dopo la recita dell’Angelus. Codardia, dicevamo: infatti, Benedetto XVI ha invitato i cosiddetti potenti di questo mondo ad avere il coraggio di schierarsi a favore del diritto umanitario.

E anche memoria, perché politicamente parlando, la mancata ratifica del governo italiano è l’ennesimo brutto segno dell’involuzione culturale e morale che l’ Italia sta soffrendo nel campo della sua politica internazionale. È ancora difficile stabilire se sia stato per ricaduta diretta o solo per concomitanza ideale che Roma e l’Italia, specie negli anni del pontificato wojtylano, diventarono due laboratori del diritto umanitario internazionale.

Come ricordato dalla stampa straniera dopo l’aprile del 2005 (ma anche durante il viaggio di Benedetto XVI in Turchia) gli italiani furono i più solleciti costruttori di argini da porre ai neocon che nell’America di Bush teorizzavano - con politiche ed azioni - il clash delle civiltà. Dopo Assisi 2002, e dopo oltre cinquecento manifestazioni-evento, molte di spessore internazionale svoltesi in gran parte della Penisola, fu l’italianissimo ministro Pisanu che fece firmare a tutti i suoi omologhi dell’Unione Europea, durante un semestre di nostra presidenza, quella «carta europea della sicurezza sociale» che ha trasformato in «cultura europea» le categorie e il metodo del dialogo interreligioso e interculturale. Non per nulla il nostro Paese è stato membro fondatore della «commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza» e ha finora partecipato attivamente alle attività dell’osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia.

Firmataria e sollecita ratificatrice della convenzione Onu contro la tortura del 2002 (altra perla della nostra diplomazia che alla sua stesura ha molto contribuito), l’Italia ha subito trovato nella Roma di oggi la sede per la sua «città della vita», la rete internazionale di città-rifugio per i perseguitati del mondo: se qualcuno dell’attuale amministrazione capitolina lo ricordasse, rischierebbe solo di far fare bella figura ad una giunta per tanti versi impresentabile.

Anche durante il G8 di Genova, e nonostante le contestazioni e le violenze gratuite, l’Italia riuscì a far rientrare l’Africa sull’agenda dell’organizzazione internazionale e dei «grandi» del mondo. E se oggi, tra mille tentennamenti, l’Unione Europea parla di cura e prevenzione dell’aids e accetta di dialogare per la soluzione dei problemi politici e sociali di Darfur, Togo, Ruanda, Congo e Costa d’Avorio ciò avviene come continuazione della vocazione umanitaria che, al di là delle gestioni politiche, le istituzioni italiane coltivano da decenni.

Anche la battaglia per la messa al bando delle mine antiuomo, sancita con il conferimento del premio Nobel alla «campagna mondiale» che l’ha ottenuta, deve parte del suo successo all’aiuto determinante del governo e delle Ong italiane. E siamo stati il primo Paese a ratificare, nel febbraio 2002, la legislazione internazionale contro i bambini soldati contribuendo a farla progredire velocemente (era iniziata nel 1998) sia al consiglio permanente sia all’assemblea generale dell’Onu.

Anche la campagna contro la pena di morte ha tra i suoi più convinti fautori un gran numero di istituzioni e di associazioni del nostro Paese: nessuno, all’estero, nega l’origine tutta italiana della moratoria votata all’Onu. In un Paese dove si trovano fondi per una serie indefinita di sciocchezze, nessuno però trova i mezzi per conservare all’Italia il diritto umanitario, un «talento» saldamente posseduto. Da far fruttificare, anche perché non ha particolari debiti con i miti della Roma della tradizione, ma sembra piuttosto un frutto maturo della nostra società civile.

Un tesoro di competenze costruito grazie ad una rete di organizzazioni volontarie che presentano cifre da capogiro: 18.293 riportate negli appositi registri nazionali, altrettante non registrate. Con un incremento, negli ultimi dieci anni, del 120%. Una vasta rete di rapporti, spesso non ufficiali, rischia purtroppo di entrare in crisi (nonostante rappresenti un asso nella manica per la nostra politica estera) per i tagli decisi dall’attuale finanziaria nel campo della cooperazione. Eppure quando coopera con i Paesi poveri l’Italia parla la lingua dei diritti universali con un’ottica umanistica, capace di far comprendere anche ai potenti più sbadati che i poveri del mondo non possono sempre stare a guardare. Non è certo questo il momento di distrarci e di diventare afoni.


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