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Lo storico della filosofia Franco Volpi in coma. Gravissime le sue condizioni.

martedì 14 aprile 2009
FILOSOFO FRANCO VOLPI IN COMA PER INCIDENTE *
VICENZA - Lo storico della filosofia Franco Volpi lotta fra la vita e la morte nel reparto Rianimazione dell’ospedale di Vicenza in seguito a un incidente stradale di cui è rimasto vittima ieri mentre era in sella alla sua bicicletta.
L’incidente (...)

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> Lo storico della filosofia Franco Volpi in coma. Gravissime le sue condizioni. ----- ADDIO A FRANCO VOLPI. Un ricordo di Sergio Givone, Antonio Gnoli, e di Armando Torno.

mercoledì 15 aprile 2009

Addio a Franco Volpi

Da Nietzsche a Heidegger la filosofia come passione critica

Ha tenuto lezioni da Padova agli Usa. Tra i suoi volumi quello dedicato al nichilismo. Il suo lavoro ha permesso l’edizione di testi fondamentali. Studioso, curatore, esegeta dei maestri della modernità. È scomparso ieri, vittima di un incidente stradale

di Sergio Givone (la Repubblica, 15.04.2009)

Raramente, come in Franco Volpi, il filosofo italiano a cui tutti dobbiamo tantissimo, sia come esegeta e curatore di grandi testi del pensiero moderno e contemporaneo, sia come indagatore di problemi storici e di questioni speculative, la passione e l’intelligenza si intrecciano così bene nel difficile lavoro dell’interpretazione. In lui l’acribia più rigorosa è tutt’uno con lo sguardo capace di portare alla luce non solo l’intenzione profonda dell’autore ma, al di là di essa, la parola non detta, la domanda nascosta, l’apertura di un nuovo orizzonte critico.

Esemplari sono le sue curatele, per Adelphi, di molte delle più importanti opere heideggeriane, alcune delle quali, e in particolare Segnavia, L’essenza della verità, e, in ultimo, i Contributi alla filosofia, rappresentano un modello insuperato di edizione da tutti i punti di vista: traduzione, note, apparati. Geniali le sue proposte, sempre per Adelphi, di opere minori di Schopenhauer, da cui ha saputo trar fuori quella accattivante miscela di filosofia popolare e filosofia alta che era nascosta in esse. Preziosa la sua monografia per Villegas Editores che accompagna l’Opera Omnia di un eccentrico di talento come Nicolás Gómez Dávila.

Allievo di Giuseppe Faggin, l’indimenticato studioso di Plotino, Volpi ha imparato fin dagli anni del liceo che quanto più si è interpreti fedeli e attenti, tanto più si è pensatori originali e in proprio. Appunto secondo l’esempio fornito da colui che più e meglio di chiunque altro trasmise all’occidente cristiano il lascito della filosofia classica. Plotino, che era greco di formazione, insegnava a Roma. Le sue lezioni si svolgevano per lo più in forma di commento e discussione delle tesi dei maestri del passato. Ma da quel suo esporre il pensiero altrui senza presunzione d’originalità sapeva ricavare approfondimenti che lasciano stupefatti per forza innovativa e capacità di penetrazione.

Qualcosa di simile si deve dire di Volpi. Ovunque egli tenesse cattedra (titolare in quelle di Padova e di Witten/Herdecke, oltre che visiting professor in alcune delle principali università europee e nordamericane), sempre si presentava quale in effetti era: storico della filosofia. Verrebbe da dire: filologo della filosofia. Ma filologo che sa la potenza e lo smalto della parola, oltre che la sua fallibilità: ciò che impone un di più di scrupolo, di dedizione, di "amore per il logos". Sono precisamente questi i tratti che caratterizzano l’impegno di Volpi, il suo limpido argomentare, il suo instancabile leggere e rileggere i testi. Ciò di cui il suo Dizionario delle opere filosofiche (Bruno Mondadori) è un’eloquente testimonianza.

E quando gli accade di confrontarsi con i grandi temi che abbracciano intere epoche storiche, allora il risultato inevitabilmente è di quelli che costringono a sostare e a riflettere. Si potrà non essere d’accordo con lui. Impossibile però ignorare le sue indicazioni. Prendiamo ad esempio il volume da lui dedicato ormai qualche anno fa a Il nichilismo (Laterza). È ancora attualissimo.

Volpi sa bene che il nichilismo è un fenomeno tipicamente moderno, sviluppatosi quasi interamente fra Ottocento e Novecento, e in quanto tale da indagare specialmente lungo l’asse Nietzsche-Heidegger. Ma sa anche che questo fenomeno viene da lontano, visto che alla sua radice c’è l’esperienza del nulla. Si può ignorare questa esperienza? O chi la ignorasse - chiede Volpi citando uno dei suoi maestri - non si metterebbe senza speranza fuori della filosofia? C’è tutto Volpi, in questo rilanciare le grandi questioni. E cioè nel suo restare in ascolto delle voci parlano dalle profondità di una tradizione tutt’altro che finita. Ma anche nel suo coraggioso riproporcele. E pensando a lui, al suo pensiero così aperto e vero, ci viene naturale farlo al presente, non al passato.


Spirito inquieto e anti-accademico

Cinquantasette anni, visse l’università con insofferenza, estraneo al potere

Cominciò a collaborare a "Repubblica" con un articolo sull’autore dello "Zarathustra"

di Antonio Gnoli (la Repubblica, 15.o4.2009)

Franco Volpi è morto. E il primo pensiero va alla lunga amicizia che ci ha legato nel corso degli anni. Guardo con gratitudine a quel legame che è stato intenso e singolare. Il professore e il giornalista. C’eravamo conosciuti in occasione di una polemica che aveva diviso la scena filosofica italiana e che riguardava Nietzsche e il suo presunto testo La volontà di potenza. Mi colpì l’intervento che Volpi fece su queste pagine: demoliva i colpevolisti - coloro che imputavano a Nietzsche la sciocchezza di essere un nazista ante litteram - con garbo e competenza. Dietro lo stile preciso e l’argomentazione esauriente si scorgeva un’inquietudine antiaccademica che col tempo imparai a conoscere.

Gli chiesi se avesse voglia di collaborare con Repubblica e mi rispose che per lui sarebbe stato come evadere da una gabbia. Visse l’università con insofferenza: si sentiva estraneo alle beghe accademiche, ai rapporti di potere, ai programmi normalizzanti. Eppure era all’apparenza un tradizionalissimo filosofo venuto su con il pane di Aristotele e di Plotino, con i timidi affacci in Germania, dove aveva cominciato a specializzarsi su Heidegger.

Del filosofo della Selva Nera sapeva tutto, aveva letto tutto, frugato negli archivi, conosciuto le persone che gli erano state vicine e che potevano offrire una testimonianza di prima mano. Come il figlio Hermann, che andammo a trovare in una giornata di sole pallido, mentre tornavamo da Wilflingen, dove il giorno prima avevamo incontrato Ernst Jünger. Lungo la strada Volpi mi disse: «Sai, da queste parti abita il figlio di Heidegger. Non c’entra nulla con la filosofia, però gestisce l’intera eredità spirituale del padre». Gli chiesi se si poteva intervistare. Rispose che era molto difficile, e che aveva sempre rifiutato di incontrare i giornalisti. «Forse farà un’eccezione se sei tu a chiederglielo», replicai. Ci fermammo a pochi chilometri da Friburgo davanti a una cabina telefonica. Volpi lo chiamò e, con sorpresa di entrambi, Hermann Heidegger ci ricevette il giorno dopo.

Quell’intervista fece il giro del mondo. Se ripenso ai nostri viaggi, in Germania, in Francia, in Italia, mi torna in mente la sua velocità di pensiero. Sembrava un elfo contagiato dall’inquietudine. Credo si sentisse libero solo in movimento. Poteva coprire in macchina migliaia di chilometri su e giù per l’Europa - ha insegnato in molte università - o in aereo al di qua e al di là degli oceani, senza risentirne. Non so come facesse: un seminario a Nizza, una lezione a Jena, un convegno a Buenos Aires. Era un filosofo poliglotta.

Non ho mai conosciuto nessuno che avesse la versatilità per le lingue che aveva Volpi. Di tutti i viaggi fatti, di tutte le persone incontrate, di tutte le esperienze condivise - i luoghi, gli individui, i libri - mi resta chiarissima una frase che amava ripetere: «Sbagliano quelli che pensano che la vita si spiega con la filosofia. Per quanti sforzi il pensiero faccia, il risultato è sempre lo stesso: la filosofia arranca dietro la vita che se la ride». Volpi pensava da filosofo, ma agiva da uomo che vede il mondo andare in tutt’altra direzione.

Era convinto che i filosofi avessero perso la curiosità, il gusto di meravigliarsi, di lasciarsi sorprendere, di gioire del nuovo. Credevano di avere in pugno il mondo e avevano in pugno solo se stessi.

Pochi giorni fa ci sentimmo per un articolo sulle posizioni espresse dal Papa su Nietzsche. Fu puntuale come al solito. La nostra amicizia cominciò con Nietzsche e si è interrotta con lui. Continueremo a seguire da lontano gli amici che se ne vanno. La loro morte è parte della nostra morte che si annuncia attraverso il lutto e il dolore. Ma è anche la vita che ci donano come esempio e ricordo. È l’immagine che si fa traccia, che supera il pianto e ci fa dire: ho avuto la fortuna di conoscerti.


Franco Volpi, la filosofia al di là del nichilismo

Lo studioso di Heidegger, travolto in bicicletta da un’auto, si è spento ieri sera a Vicenza

di Armando Torno (Corriere della Sera, 15.04.2009)

Franco Volpi era nato a Vicenza nel 1952 e inse­gnava Storia della filosofia all’Università di Pado­va. È morto in un incidente stradale (lunedì era in bicicletta sui monti Berici, è stato travolto da un’au­to), come Roland Barthes. Al suo nome sono legati, oltre a libri di alta e buona divulgazione, gli studi sul nichilismo, sul pensiero tedesco moderno e contem­poraneo, e soprattutto il corpus delle opere di Mar­tin Heidegger pubblicate da Adelphi. Volpi ha fatto molto per la cultura italiana e per la diffusione della filosofia in un periodo in cui l’antica disciplina di Pla­tone e Aristotele è diventata una passione popolare. Cerchiamone il ritratto aprendo semplicemente i suoi libri.

Fu uno dei migliori allievi dell’«aristotelico» Enri­co Berti, anzi è stato il più contemporaneista tra loro: ha esordito con il saggio Heidegger e Brentano (Ce­dam, 1976) e con il suo maestro ha firmato il terzo volume di una Storia della filosofia (Laterza, 1991) che conobbe una certa fortuna nei licei italiani.

Ave­va la vocazione dell’organizzatore oltre che quella dello studioso. Sotto questo aspet­to va elogiato per il Dizionario del­le opere filosofiche (Bruno Monda­dori, 2000) che reca il suo nome al frontespizio, ma si avvale di de­cine e decine di collaboratori per le singole voci. Di più: Volpi, insie­me ad altri, curò nel 1988 l’edizio­ne tedesca di questo Lexicon der philosophischen Werke, poi ampliata nel 1999; infine la sistemò per gli italiani. Le polemiche corse all’usci­ta sono ormai evaporate e oggi ci rendiamo conto che l’aver dimenticato - o volutamente non ospita­to - i Principles of Mathematics di Bertrand Russell, non è peccato che richiede assoluzioni speciali.

Del resto, la sua eccellente conoscenza del tedesco lo portò a realizzare l’edizione italiana di alcune tra le più importanti opere di Heidegger. Se oggi riusciamo a leggere - e in Italia i professori che possono permettersi la lingua originale sono davvero pochi - pagine fondamentali di questo filosofo, dobbia­mo ringraziare Franco Volpi. Senza di lui non avrem­mo nella prestigiosa «Biblioteca filosofica» Adelphi opere di Heidegger quali Segnavia, Parmenide, L’es­senza della verità. Sul mito della caverna e sul «Tee­teto » di Platone, gli importanti Contributi alla filoso­fia o I concetti fondamentali della filosofia antica.

Certo, c’è stato anche un Volpi che si impegnava a diffondere, attraverso la collaborazione a Repubbli­ca, le idee filosofiche (e con Antonio Gnoli firmò, tra l’altro, L’ultimo sciamano, Bompiani) o quello che si concedeva il lusso di arricciare il naso dinanzi alla nuova traduzione di Essere e tempo di Heidegger rea­lizzata da Alfredo Marini (Mondadori), e ripropone­va la vecchia versione di Pietro Chiodi, limitandosi ad aggiungere degli apparati critici alla fine.

Franco Volpi rimarrà per il suo saggio su Il nichili­smo (Laterza). Si legge facilmente e insegna che la crisi della ragione, la perdita del centro, la decaden­za dei valori si presentano a noi ogni giorno con il proprio nome o sotto altre sembianze. Nietzsche de­finiva tutto ciò «ospite inquietante». Si aggira in ca­sa nostra ed è quasi impossibile metterlo alla porta. Anche se Volpi era convinto che prima o poi se ne sarebbe andato e preparava, per questo, una prospet­tiva «oltre il nichilismo


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