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ELVIO FACHINELLI (1928-1989). Per il ventennale della morte.

giovedì 18 febbraio 2010
Per il Ventennale della morte di Elvio Fachinelli (1928-1989)
sull’impossibile formazione degli analisti
Conversazione di Sergio Benvenuto con Elvio Fachinelli - http://www.ildialogo.org/stampa/ELVIOFACHINELLIn.pdf] (1928-1989)”, questa “intervista alla quale teneva in modo particolare”. (...)

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> ELVIO FACHINELLI (1928-1989). ---- Per ricordare il crollo del comunismo ...confrontando tra loro Kant, Hegel e Marx (di Piero Stefani - Vent’anni dopo).

lunedì 9 novembre 2009

Vent’anni dopo

di Piero Stefani (Koinonia-Forum, n. 171, 08 novembre 2009)

Per ricordare il crollo del comunismo ci sia lecito percorrere, sia pure ingenuamente, un largo tratto del pensiero occidentale, confrontando tra loro Kant, Hegel e Marx.

Verso la fine della sua vita, Kant scrive un piccolo trattato dal titolo ambizioso: Per una pace perpetua. Quelle pagine non si limitano a individuare le modalità di tregue prolungate che possano garantire una tranquilla convivenza tra gli stati: esse prospettano un esito più alto in cui la pace sarà condizione permanente per tutta l’umanità. Il libretto non ha l’andamento del sogno, al contrario assume piuttosto la veste di progetto, fornendo regole per fondare un diritto cosmopolitico (noi diremmo internazionale) in grado di garantire a tutti una pacifica convivenza. Esse sono presentate come idee razionali e non già come fantasie, per questo possono diventare un modello.

Nelle ultime righe dell’opera Kant scrive: «Se è un dovere, ed anche una fondata speranza, realizzare uno stato di diritto pubblico [vale a dire attuare le condizioni che consentono di stabilire un effettivo diritto internazionale], anche se solo con una approssimazione progressiva all’infinito, allora la pace perpetua, che succederà a quelli che sono stati sino a ora falsamente denominati trattati di pace (propriamente, armistizi), non è idea vuota». Dovere e fondata speranza assumono l’aspetto di tangenza all’infinito: non li si raggiungerà mai, ma ci si può avvicinare sempre. La vera meta diviene così un continuo camminare. Proprio l’aver rinunciato a un definitivo congiungimento evidenzia il carattere laico e progettuale del pensare di Kant.

A molti pensatori del XIX sec., a cominciare da Hegel, questo modo di procedere non sembrò né razionale, né realistico e l’idea apparve davvero vuota. Il punto di incontro tra l’agire umano e quanto accade perché deve accadere non è la speranza: è la storia. Il grande bacino di raccolta di tutte le acque lo si trova lì. I rivoli delle azioni di individui, collettività e stati scorrono inevitabilmente verso il mare della storia che li rimescola facendone un tutt’uno. Ogni fiume perde la propria specificità per realizzare la sua destinazione più autentica: fornire il proprio contributo perché si realizzi l’immensa e unitaria distesa delle acque. Nella sua accezione più autentica il termine «storia» va sempre coniugato al singolare.

Tenendo conto di ciò il pensoso sguardo di Hegel si rivolse dunque al presente e al passato (dal mare ai fiumi), non al futuro. I confini del mare non si possono tracciare, né conoscere in modo preventivo. La filosofia non può prevedere, il suo compito è di comprendere il presente e il passato. Assieme allo slancio utopico, in tal modo è riposto nel cassetto anche ogni senso forte legato al dover essere. Possiamo avere grandi ideali, ma essi da soli non ci garantiscono che diverranno realtà. A darci ragione deve essere in primis la storia. Tuttavia è regola aurea affermare che la storia ci dà ragione solo se noi diamo ragione ad essa.

Nel corso dell’Ottocento a qualcuno parve che la meta ultima della storia, più che come pace perpetua fondata su un diritto internazionale, dovesse essere pensata come l’avvento di una società giusta. È vano parlare di pace là dove vi sono ricchi che sono tali in virtù del loro sistematico sfruttamento del lavoro dei poveri. È ingannevole prospettare un’uguaglianza formale di diritti politici là dove la disuguaglianza sociale celebra i propri trionfi. L’affermarsi di una società giusta e ugualitaria va spogliata dall’aspetto, insoddisfacente, di tangenza all’infinito. Quell’esito doveva essere fondato solidamente sulla storia, la quale era dalla nostra parte appunto perché noi siamo dalla sua. Marx e il socialismo furono le punte di diamante di questa maniera di pensare e di agire.

Molte e non lievi furono le differenze di intendere i modi in cui la storia avrebbe confermato quella prospettiva. Per alcuni l’esito era a tal punto iscritto nell’ordine delle cose che bastava attendere che il sistema capitalista crollasse a motivo delle sue insanabili contraddizioni interne; per altri occorreva passare attraverso le doglie di una rivoluzione violenta. Per tutti la storia avrebbe comunque dato ragione a loro e torto agli altri. Milioni di persone hanno ritenuto che davanti a loro splendesse realmente il bel sol dell’avvenire. Per questo hanno vissuto e combattuto.

Nel XX sec. alcuni stati hanno sperimentato quello che si è definito il socialismo reale. Il potere è passato in quelle mani, ma la società giusta non si è realizzata. Per un certo periodo si è detto che si trattava di un’epoca di transizione e che a poco a poco le società socialiste avrebbero dimostrato la loro solidità e la loro superiorità storica. L’avvenire era ancora da quella parte. Verso lo scadere del secolo contraddizioni insanabili e collassi interni hanno travolto i sistemi socialisti e non quello capitalista. Il socialismo reale è crollato: la storia gli ha dato torto. Con esso sembra definitivamente tramontata anche la prospettiva di poter conseguire una società giusta. Tuttavia poiché il nesso tra giustizia e pace appare ancora inscritto nell’ordine delle cose, la mancanza del primo termine comporta anche quella del secondo: a essere perpetua è la guerra, non la pace.

Qualcuno però ancora si interroga se davvero la nascita, lo sviluppo e la scomparsa del socialismo reale abbiano costituito la fine senza rimedio di ogni speranza di conseguire una società giusta. A questa domanda si può rispondere in modo affermativo, aggiungendo però che ciò vale per quel tanto in cui il socialismo si è appoggiato sulla storia ed ha affidato a essa il compito dell’ultima conferma. Chi crede di avere ragione dalla storia non ha scampo quando essa gli dà invece torto. L’ideale è crollato per quel tanto che si è voluto presentare come reale.

Il nesso tra pace e giustizia e la volontà di non rassegnarsi a società profondamente e strutturalmente ingiuste è tuttora il fronte su cui si misura una politica alta, degna di questo nome. Si tratta, ai nostri giorni, di merce rarissima. È tale anche perché a essa è precluso di operare secondo i termini otto-novecenteschi di storia, progresso, sviluppo, crescita.

La politica internazionale deve assumersi a pieno titolo un compito inedito per le passate generazioni umane e alieno alla mentalità sia capitalistica sia socialista: salvaguardare, per quel che è ancora possibile, le condizioni nelle quali la terra possa essere un habitat confacente alla specie umana. Su questo fronte Hegel e Marx non hanno nulla da dirci; altro è il discorso per il significato del limite perno su cui ruota il pensiero kantiano.

Piero Stefani


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