La fede di Prini fra verità e dialogo
intervista a Walter Minella
a cura di Roberto Cutaia (Avvenire, 28 dicembre 2013)
P ietro Prini (14 maggio 1915-28 dicembre 2008) è stato uno dei più importanti filosofi cattolici del Novecento e tra i massimi esperti dell’esistenzialismo cristiano. Il filosofo di origini piemontesi ha lasciato un inedito, un corposo testo intitolato Ventisei secoli nel mondo dei filosofi, che verrà prossimamente pubblicato dalla Lateran University Press. Ne parliamo con il curatore, Walter Minella, autore di una biografia intellettuale di Prini, premessa al testo.
Quali sono le caratteristiche di questo inedito?
«Si tratta di una serie di schede o medaglioni su molti dei più importanti filosofi occidentali, dalla Grecia antica fino alla prima metà del Novecento. Prini ha lavorato a quest’opera negli ultimi anni, fino alla stremo delle sue forze fisiche e intellettuali, ma non è riuscito a rifinirla. Il libro presenta dunque marginali difetti di carattere formale (che hanno reso indispensabile un minimo di intervento redazionale), alcuni dislivelli di approfondimento, qualche lacuna. Detto questo, l’opera è sostanzialmente compiuta, lo stile è accattivante, semplice e scorrevole».
È un’autobiografia?
«Indirettamente sì. Credo che, nelle intenzioni dell’autore, quest’opera dovesse rappresentare una sorta di sintesi conclusiva, un ultimo colloquio con i grandi del pensiero che lo avevano accompagnato tutta la vita».
Quali sono gli autori con cui Prini si confronta in modo puntuale e convincente?
«Direi Platone, Plotino e Agostino per quanto riguarda la filosofia antica, Pascal, Vico e Kant per la filosofia moderna, Heidegger, Jaspers e Marcel per la filosofia contemporanea. Sono tutti filosofi nei cui confronti Prini è variamente debitore, con cui instaura un dialogo aperto e affascinante. Esemplare è il confronto con la genialità straordinaria e debordante di Agostino».
Come si inserisce quest’opera nello sviluppo del pensiero
complessivo di Prini?
«Il principio ispiratore di tutta la produzione filosofica di Prini è la sua fede cristiana: un’esperienza personale, che a suo parere non era derivabile da un atto di ragione, né era dimostrabile dalla ragione, ma che poteva essere mostrata, tanto nella testimonianza personale (Prini era particolarmente affezionato san Francesco, inteso come la più alta espressione di una civiltà dell’essere contrapposta alla civiltà dell’avere) quanto nelle tracce di bellezza, di bene, di armonia riscontrabili nel creato. Detto questo, per Prini esisteva un’altra caratteristica fondamentale del cristianesimo».
Di che si tratta?
«Del rapporto tra dimensione metastorica e storicità. Prini era convinto che occorresse distinguere, all’interno del cristianesimo, tra il Vangelo come “buona notizia”, messaggio metastorico, universale, di salvezza e di gioia, e l’incarnazione storica di questo messaggio, che era necessariamente transitoria e storicamente mutevole. A suo parere era un grave errore confondere questi due livelli, e ritenere che l’inculturazione del cristianesimo nelle categorie della tarda grecità (che aveva studiato e che amava) fosse esaustiva della pienezza esuberante del messaggio cristiano (come avevano capito i gesuiti già nel XVII secolo) ».
Certe critiche dagli ambienti cattolici non gli sono state
risparmiate. Alla luce di questo
inedito,
perché?
«Questo inedito è un testo filosofico e serve a confermare che la preoccupazione di Prini, anche
nella stesura del volume
Scisma sommerso,
era fondamentalmente filosofica: i dati statistici di
sociologia religiosa erano da lui citati nel testo soltanto come esemplificazione, certo importante,
del suo discorso, non come fondamento o come pilastro dell’edificio argomentativo. La
preoccupazione filosofica di Prini, come ho detto prima, era relativa all’inculturazione del
cristianesimo nella modernità, caratterizzata dalla cultura scientifica e dalla consapevolezza della
libertà della coscienza dell’individuo, che deve essere convinto, non oggetto di un comando o di
un’intimidazione. Prini pensava che la fede cristiana fosse indipendente dalla filosofia o dalla
scienza, ma riteneva anche che le singole affermazioni della religione cristiana, in cui la fede si
incarna, dovessero essere compatibili con “la cultura più accreditata del tempo”.
In questo senso
scriveva nel 1967 che “la scienza non è certamente la chiave ermeneutica della Rivelazione: ma può
liberarne il senso da interpretazioni certamente false”. E nel 1998 che “il linguaggio simbolico che è
proprio del Sacro non può essere confuso con il linguaggio fattuale che è proprio della narrazione
profana”».
Nonostante ritenesse “virtuosismo inconcludente” il pensiero debole, di Prini oggi sono molto
interessati, almeno all’apparenza, coloro che tendono a fare un’ermeneutica del cristianesimo
al di fuori della Tradizione...
«Prini ha sempre combattuto il nichilismo. Contemporaneamente è sempre stato un uomo del dialogo, ha sempre cercato un confronto critico e serrato con correnti filosofiche anche lontane dalla sua impostazione, oltre che con le scienze naturali e le scienze umane. Per quanto riguarda la Tradizione, Prini ne accettava integralmente lo spirito, mentre combatteva il tradizionalismo, perché riteneva che la ricezione letterale o formale della Tradizione ne distruggesse il senso più profondo».
L’attualità del pensiero di Prini?
«Penso all’immagine di papa Francesco, secondo la quale il pastore deve entrare in stretto contatto con le sue pecore, avere il loro stesso odore. Credo che con lo Scisma sommerso ( oggi introvabile) Prini ponesse la stessa esigenza di principio. Ma forse allora i tempi non erano ancora maturi. Forse oggi abbiamo più strumenti per capire il senso del lavoro di Prini, che era anzitutto un dono alla sua Chiesa».