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VATICANO: CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO. Benedetto XVI, il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava l’intera Costruzione ... e anche la maschera!

giovedì 18 ottobre 2018
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Introduzione:
AL DI LA’ DELLA LEZIONE DI PAOLO DI TARSO: "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio (...)

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> VATICANO: CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO. ---- L’aiuto non cade dal cielo. Caritas e spiritualità:"l’impulso che ho cercato di avviare con l’enciclica Deus caritas est" (Benedetto XVI)

sabato 11 febbraio 2012

      • IN MEMORIA DI LUISITO BIANCHI: "(...) io sono giunto ormai al termine della mia corsa. E se ho un testimone da trasmettere alla nuova staffetta che sta per iniziare la sua corsa per tradere a sua volta, eccolo: guardate alla radice dei termini che, nel Nuovo Testamento, indicano gratuità e gioia; è la stessa, char: char-is per gratuità, charà per gioia" (Gratuità nel ministero, "Il Regno", n. 20, 2006)


La Condivisione del pane come fondamento della carità cristiana

di Benedetto XVI (Corriere della Sera, 11.02.2012)

Nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli, San Luca descrive la Chiesa nascente con quattro caratteristiche che ne connotano la vita: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Alcuni versetti dopo, Luca ritorna nuovamente su quanto aveva detto: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46). Lo spezzare il pane, nominato due volte, appare come elemento centrale della comunità cristiana e ci ricorda l’incontro del Risorto con i discepoli di Emmaus (Lc 24,30 ss.), che a sua volta ci rimanda all’ultima cena (Lc 22,19). Questa è una parola che nella molteplicità dei suoi significati lascia trasparire il centro portante e al tempo stesso tutta l’ampiezza dell’esistenza cristiana.

Certo, essa si riferisce innanzitutto a qualcosa di molto semplice, di quotidiano. Nel mondo ebraico era compito del padrone di casa spezzare il pane dopo una preghiera e distribuirlo tra i commensali; questo sia durante pranzi familiari, o convivi, che in occasione di pasti di carattere rituale, come la sera della Pesah. Gesù padrone di casa e ospite paterno dei suoi ha raccolto questa usanza la quale, nella cena alla vigilia della sua agonia, acquista tuttavia un nuovo significato. Infatti, in quell’ora, Gesù non distribuisce solo pane, ma se stesso: Egli si dona. Già nel pasto quotidiano lo spezzare il pane ha un doppio significato: è allo stesso tempo un gesto di condivisione e di unione. In virtù del pane condiviso la comunità a tavola diventa una: tutti mangiano dello stesso pane. La condivisione è un gesto di comunanza, di donazione, che rende partecipi della famiglia anche gli ospiti.

Questo condividere e unire raggiunge nell’ultima cena di Gesù una profondità mai immaginata prima. Nello spezzare il pane egli compie quel «li amò sino alla fine» (Gv 13,1) in cui egli dona se stesso e diventa pane «per la vita del mondo» (Gv 6,51). Evidentemente il particolare gesto con cui Gesù spezzò il pane è penetrato profondamente nelle anime dei discepoli, come possiamo evincere dal racconto dei discepoli di Emmaus. Ricordando quel gesto, essi vi hanno visto racchiuso tutto il mistero della consegna di sé messa in atto da Gesù.

L’espressione «spezzare il pane» nella Chiesa nascente andò così a designare l’Eucaristia, dunque ciò che la caratterizzò e la tenne unita come nuova comunità. Dal ricordo dell’ultima cena però emergeva anche chiaramente che l’Eucaristia è più di un semplice atto di culto che si esaurisce nella celebrazione liturgica. Lo spezzare il pane era di per sé un’immagine di comunione, dell’unire attraverso la condivisione. I cristiani ora possono vedere nell’atto di spezzare il pane compiuto da Gesù un’immagine dell’ospitalità di Dio, nella quale il Figlio incarnato dona se stesso come pane di vita. Di conseguenza la frazione del pane eucaristico deve proseguire nello «spezzare il pane» della vita quotidiana, nella disponibilità a condividere quanto si possiede, a donare e così unire. È semplicemente l’amore in tutta la sua immensità che si manifesta in questo gesto, e con esso il nuovo concetto cristiano di culto e di cura per il prossimo: l’Eucaristia deve divenire «spezzare il pane» a tutti i livelli, altrimenti il suo significato non si compie. Deve divenire «diaconia», servizio e dono nella vita quotidiana. E specularmente la premura sociale della caritas non è mai solo agire pragmatico, bensì sorge dalle radici profonde della comunione con il Signore che si dona, dalla dinamica dell’amore partecipe di Dio per noi.

Mi rallegro che il cardinale Cordes abbia raccolto e spiegato, con grande energia, l’impulso che ho cercato di avviare con l’enciclica Deus caritas est. Saluto come parte della sua fatica questo suo libro L’aiuto non cade dal cielo. Caritas e spiritualità, in cui viene mostrato da varie prospettive quanto è racchiuso nella parola fondamentale caritas - amore. Perciò auguro a questo libro l’ascolto attento che penetra nei cuori e, andando oltre la ricezione e la lettura, conduce ad agire con amore e a una comunione più profonda con Gesù Cristo.


Il primato dell’amore alla luce della ragione

di Maria Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 11 febbraio 2012)

«All you need is love», cantavano i Beatles in una delle più famose canzoni di tutti i tempi. Ben due encicliche (su tre) dell’attuale Papa, a cominciare dalla prima, Deus caritas est (Natale 2005) seguita nel 2009 dalla Caritas in veritate, hanno a proprio oggetto l’Amore, la Carità, a partire dalla definizione della prima Lettera di Giovanni apostolo: «ò Theos agape estìn», «Dio è Amore», «God is Love».

Come se la prima e fondamentale urgenza di Benedetto XVI, il Papa teologo, il Papa della ragione, sia stata quella di richiamare la Chiesa cattolica e l’umanità a questa fondamentale novità del cristianesimo, che ne è stato il motore dalle origini: l’Amore, l’Agape, un amore di intelligenza, di ragione, di comprensione, benevolenza.

Ratzinger ha fatto insomma sulla parola «Amore» un’opera costante (direbbe Wikipedia) di disambiguazione, che continua nella prefazione - che qui a fianco anticipiamo - di un libro del cardinale tedesco Paul Josef Cordes, L’aiuto non cade dal Cielo (Cantagalli), oggi in libreria.

L’obiettivo di Ratzinger è quello di sottrarre la parola a tutti i riduzionismi (il sentimentalismo, il buonismo e il sociologismo) in cui facilmente il suo uso decade se lo si separa dalla radice.

Il «mondo classico conosce il principio di identità: io sono io», scrive, nel saggio che conclude il volume, il filosofo della politica, Rocco Buttiglione. L’amore, per Diotima nel Simposio di Platone, ma anche per la poetica di Friedrich Hölderlin più di duemila anni dopo, rimane pur sempre una follia, divina, ma follia. Un’illusione: perché è un fuori-uscire da sé. Non importa se nell’erotismo o nella filantropia. La Caritas, l’Agape, è, invece, elemento intrinseco della communio, di una vita come eu-charis-to, «rendimento di grazie».


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