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ROMA BRUCIA. GRAZIE AL "TIMES" PER L’ALLARME, MA LONDRA NON RIDA (E ABBIA MIGLIOR CURA DI FREUD). L’incendio è generale. Un omaggio alla Sapienza di Oxford

domenica 19 settembre 2010
Materiali per riflettere
un ’libro’ da esplorare e da leggere
(ogni articolo rimanda a molteplici approfondimenti. Buona esplorazione)
a cura di Federico La Sala:
DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA.
A FREUD (Freiberg, 6 (...)

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> LONDRA, OLIMPIADI 2012. E’ possibile costruire la Santa Città di Gerusalemme tra gli oscuri, diabolici mulini della rivoluzione industriale? (di Gianni Riotta - La storia come un macigno)

sabato 28 luglio 2012

Olimpiadi Londra 2012

-  La storia come un macigno
-  Show? No, esame di coscienza

-  Humour, classe e cultura: è stato un trionfo per lo spirito britannico.
-  È forte la speranza per il futuro, persino Elisabetta si prende in giro

di GIANNI RIOTTA (La Stampa, 28/07/2012 )

Londra «And was Jerusalem builded here among these dark Satanic mills...?» si chiede il poeta William Blake nell’inno Jerusalem, scritto nel 1808 e musicato da Sir Parry nel 1916: davvero è possibile costruire la Santa Città di Gerusalemme tra gli oscuri, diabolici mulini della rivoluzione industriale? È la domanda che il regista della cerimonia di apertura delle Olimpiadi a Londra, Danny Boyle, ha posto agli 80.000 spettatori dello Stadio Olimpico e ai milioni intorno al mondo con i versi di Blake e le note di Parry. Il nostro tempo, orfano dell’agricoltura, che ha aperto le scene con le rurali immagini di una fattoria dell’Inghilterra prima che ferrovia, vapore e industria tessile portassero all’industria, sopravviverà alla crisi?

Boyle, autore dei film Transpotting e Millionaire, aveva una sfida non facile, tutte le cerimonie dei Giochi sono noiose e banali come una festa del sabato al Villaggio Vacanze in Mondovisione, balletti mediocri per masse assonnate. Allora Boyle ha usato per la prima volta il pubblico non come comparsa scema cui fare alzare ogni tanto una bandierina colorata o chiedere una ola da Serie B, e neppure, come pure è stato ieri notte allo Stadio Olimpico, palette multicolori con luci elettriche. No, Boyle ha usato il pulpito che i Giochi gli hanno offerto per un dibattito politico in diretta globale. Abbiamo perduto le oche e i mulini che ha portato allo stadio, con pazienti cavalli e pecore così buone da sembrare sedate (gli animalisti han protestato, gli organizzatori negano maltrattamenti), stiamo perdendo quei mulini industriali che Blake trovava satanici ma che hanno dato da mangiare a generazioni, dopo secoli di fame agricola che i poeti cantavano invece come armoniosa. Che ci resta?

«Io non credo in Dio, ma credo nella gente che crede in Dio» dice Boyle. E agli spalti, ogni tanto spazzati da vera pioggia che ha irriso le false nuvole dello spettacolo e i palloni rilasciati fino alla stratosfera, non ha dato uno show, ma un esame di coscienza. Non freddo come il segretario Onu Ban-Ki Moon che mentre la guerra infuria in Siria chiede piatto «pace dai Giochi», ma ricordando come è finito il sogno agricolo, come sta finendo il sogno industriale. Chi è arrivato a Stratford, ultimo quartiere di Londra che portava ancora i segni del Blitz di Hitler e dei razzi V1 e V2, ha visto sotto gli occhi i militari, le crocerossine, gli scioperi, gli operai, le femministe del secolo che lo storico inglese Hobsbawm ha venduto a tutti in un suo libro come «secolo breve», il Novecento, ma che invece è stato lunghissimo, infinito, come mai nessuno prima cambiando la vita degli esseri umani. Perfino il Servizio sanitario inglese ha avuto un balletto, e magari il candidato repubblicano Romney che si oppone alla riforma sanitaria di Obama ha storto il naso.

C’erano allo stadio gli ultimi reduci dei Giochi del 1948, ricordavano una città che aveva perduto l’Impero e vinto la guerra, ma che doveva ritrovare, in pace e austerità una nuova anima. E mentre a Hyde Park, parco della democrazia, 60.000 persone seguivano i Duran Duran e al ponte di Waterloo la polizia arrestava i ciclisti di Critical Mass per invasione di corsia preferenziale olimpica, il premier David Cameron ha posto agli inglesi la domanda che i Giochi dovranno sciogliere: «Vogliamo essere il paese dei Blur e dei Beefeater?» Inglesi che amano i Guardiani della Torre, Beefeater, con le ancestrali divise rosse e nere, corpo fondato da Enrico VII nel 1485, o inglesi che si riconoscono nella musica rock alternativa dei Blur, il cui cantante Damon Albarn ha per divisa T-shirt nere, nati nel 1988?

Referendum: passato o futuro? E la Regina Elisabetta II, che come nonno Edoardo nel 1908 e papà Giorgio nel 1948 ha aperto i Giochi, ha detto a tutti gli inglesi a Londra e nel mondo: futuro. Accettando di recitare in un piccolo show con Daniel Craig 007, lei che finge di paracadutarsi con un elicottero Agusta da Buckingham Palace in diretta allo stadio. Guardate su Youtube il primo appello televisivo di Elisabetta ancora ragazza, Natale 1957, algida, maestosa. Ora, matriarca, la Regina è la star del videogioco in cui Boyle ha trasformato la cerimonia. Si prende in giro, come l’attore Atkinson, Mr Bean, prende in giro il film Oscar Momenti di Gloria.

E così tutti ci siamo presi in giro nel presepe di Boyle, chiuso a notte dal Beatles Paul McCartney, Hey Jude, don’t carry the world upon your shoulders, the movement you need is on your sholders... non portare il mondo sulle spalle... il movimento di cui hai bisogno è sulle tue spalle...

La storia che Boyle ha sceneggiato ci pesa addosso, ma come i nostri padri e nonni possiamo cambiare noi, se perfino la Regina è cambiata, ride di sé. E se, con il padre di internet, Berners Lee, appare la Rowling, mamma di Harry Potter, e legge Peter Pan, favole con la magia dell’umanità a salvare il mondo.

È stato un trionfo per lo spirito britannico, humour, classe, cultura. Shakespeare e Calibano dalla Tempesta, l’isola delle meraviglie, cantanti e balletti pop. Dateci pure degli anglofili a oltranza, ma davanti a gente con questo stile, perché non alzarsi con i londinesi a cantare God save the Queen, salvi l’ironia, la tradizione, l’innovazione, i Guardiani della Torre e il Rock duro dei Blur, la Regina, l’industria e 007? L’abbiamo fatto e quando, benissimo vestiti da Armani in blu, incasinati, goliardi, felici a scattare foto con l’iPhone son passati gli Azzurri d’Italia davanti al presidente Napolitano abbiamo di nuovo applaudito, come già con tutti gli atleti dello squadrone che si chiama Terra. Forza ragazzi.


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