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EUROPA ED EVANGELO. LA ’CROCE’ DI CRISTO ("X" = lettera alfabeto greco) NON HA NIENTE A CHE FARE CON IL "CROCIFISSO" DELLA TRADIZIONE COSTANTINIANA E CATTOLICO-ROMANA.

venerdì 6 agosto 2021
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L’amor (charitas) che muove il Sole e le altre stelle ... non ha niente a che fare con "mammona", "mammasantissima", "padrini", e... "andranghatia".
"CHI" SIAMO NOI IN REALTA’. Relazioni chiasmatiche e civiltà. Lettera da ‘Johannesburg’ a Primo (...)

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> EUROPA ED EVANGELO. ---- IL MALE OSCURO DELL’EUROPA... La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi. Vale la pena ricordarlo, nell’ora in cui un fatto criminoso isolato, ma emblematico, forse ci risveglia un po’ (di Barbara Spinelli)..

mercoledì 21 marzo 2012

Il male oscuro dell’Europa

di BARBARA SPINELLI *

TUTTI ci stiamo trasformando, senza quasi accorgercene, in tecnici della crisi che traversiamo: strani bipedi in mutazione, sensibili a ogni curva economica tranne che alle curve dell’animo e del crimine. L’occhio è fisso sullo spread, scruta maniacalmente titoli di Stato e Bund, guata parametri trasgrediti e discipline finanziarie da restaurare al più presto. Fino a quando, un nefasto mattino, qualcosa di enorme ci fa sobbalzare sotto le coperte del letto e ci apre gli occhi: un male oscuro, che è secrezione della crisi non meno delle cifre di bilancio ma che incide sulla carne viva, spargendo sangue umano. La carneficina alla scuola ebraica di Tolosa è questo sparo nel deserto, che ci sveglia d’un colpo e ci immette in una nuova realtà, più vasta e più notturna.

Come in una gigantesca metamorfosi, siamo tramutati in animali umani costretti a vedere quello che da mesi, da anni, coltiviamo nel nostro seno senza curarcene. Il naufragio del sogno europeo, emblema di riconciliazione dopo secoli di guerre, e di vittoria sulle violenze di cui Europa è stata capace, partorisce mostri. Non stupisce che il mostro colpisca ancora una volta l’ebreo, capro espiatorio per eccellenza, modello di tutti i capri e di tutti i diversi che assillano le menti quando son catturate da allucinazioni di terrene apocalissi.

In tedesco usano la parola Amok (in indonesiano significa "uccisione-linciaggio in un impulso d’ira incontrollata"), e tale è stato l’attacco di lunedì alla scuola di Tolosa. Uno squilibrato, ma abbastanza freddo da uccidere serialmente, ammazza in 15 minuti il maestro Jonathan Sandler, due suoi figli di 4 e 5 anni (Gabriel e Arieh), una bambina di 7, Myriam. Chi cade preda dell’amok è imprevedibile e socialmente reietto, ma se ha potuto concepire il crimine (e spesso parlarne sul web) vuol dire che per lungo tempo non si è badato al pericolo, che l’ambiente da cui viene era privo di difese immunitarie. I massacri nelle scuole sono considerati episodi tipici del comportamento amok. Nella cultura malese l’assalto amok evoca lo stato di guerra, ma l’omicida seriale interiorizza la guerra. La spedizione militare è condotta da individui che vivono nel nascosto, ed escono allo scoperto in una sorta di raptus.

Non dimentichiamo che il nazismo quando prese il sopravvento aveva caratteristiche affini, e assecondava la furia amok: "Marcia senza approdo, barcollamento senza ebbrezza, fede senza Dio", così lo scrittore socialdemocratico Konrad Heiden descriveva, nel 1936, la caduta di milioni di tedeschi nel nazismo e nell’"era dell’irresponsabilità". È nelle furie di quei tempi che hanno radice i contemporanei massacri palingenetici, e anche lo spavento stupefatto che scatenano. Non era stato detto, a proposito delle fobie annientatrici: "Mai più?". Invece tornano, perché un tabù infranto lo è per secoli ancora. Il piccolo racconto di Zweig (Amok è il titolo) racconta proprio questo: l’esplosione in mezzo a bonacce apparenti di una "follia rabbiosa, una specie di idrofobia umana... un accesso di monomania omicida, insensata, non paragonabile a nessun’altra intossicazione alcolica". Un torbido passato ha fatto del medico protagonista un mutante: nella solitudine si sente "come un ragno nella sua tela, immobile da mesi". Amok è scritto nei primi anni Venti: un’epoca non meno vacillante della nostra. Già prima del ’14-18, Thomas Mann vedeva l’Europa sommersa da "nervosità estrema".

"L’amok è così - spiega Zweig nel racconto - all’improvviso balza in piedi, afferra il pugnale e corre in strada... Chi gli si para davanti, essere umano o animale, viene trafitto dal suo kris (pugnale, in malese, ndr), e l’orgia di sangue non fa che eccitarlo maggiormente... Mentre corre, ha la schiuma alle labbra e urla come un forsennato... ma continua a correre e correre, senza guardare né a destra né a sinistra, corre e basta. L’ossesso corre senza sentire... finché non lo ammazzano a fucilate come un cane rabbioso, oppure crolla da solo, sbavando". Ci furono opere profetiche, negli anni ’20-’30: i film Metropolis e Dottor Mabuse di Fritz Lang, o il racconto di Zweig. Dove sono oggi opere che abbiano quell’orrida e precisa visione del presente? Se fosse un caso isolato non ne parleremmo come di un fatto di cultura, colmo di presagi. Ma non è un evento isolato, solo criminale. Quest’odio del diverso (dell’ebreo o del musulmano o del Rom: tre figure di capro espiatorio) pervade da tempo l’Europa, mescolando storia criminale e storia politica. E ogni volta è una fucilata subitanea, che interrompe finte normalità. Fu così anche quando nella composta Norvegia scoppiò la demenza assassina del trentaduenne Behring Breivik, il 22 luglio 2011. L’attentato che compì a Oslo fece 8 morti. Il secondo, nell’isola Utoya, uccise 69 ragazzi.

Fenomeni simili, non immediatamente mortiferi, esistono anche in politica e mimeticamente vengono imitati. Nell’America degli odii razziali, in prima linea: l’odio suscitato da Obama meteco tendiamo a sottovalutarlo, a scordarcene. Ma l’Europa è terreno non meno fertile per queste idrofobie umane, peggiori d’ogni intossicazione alcolica. Colpisce la loro banalizzazione, più ancora del delitto quando erompe. In Italia abbiamo la Lega, e banalizzati sono i suoi mai sconfessati incitamenti ai linciaggi. Nel dicembre 2007, il consigliere leghista Giorgio Bettio invita a "usare con gli immigrati lo stesso metodo delle SS: punirne dieci per ogni torto fatto a un nostro cittadino". Lo anticipa nel novembre 2003 il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni, che menzionando un gruppo di clandestini sfrattati prorompe: "Peccato. Il forno crematorio di Santa Bona è chiuso". Il gioco di Renzo Bossi (vince chi spara su più barche d’immigrati) è stato tolto dal web ma senza autocritiche.

Com’è potuto succedere che gli italiani divenissero indifferenti a esternazioni di questa natura? Com’è possibile che l’Europa stessa guardi a quel che accade in Ungheria alzando appena le sopracciglia? Eppure il premier Viktor Orbán, trionfalmente eletto nell’aprile 2010, non potrebbe esser più chiaro di così. Il suo sogno è di creare un’isola prospera separata dal turbinio del mondo: una specie di autarchia nordcoreana. A questo scopo ha pervertito la costituzione, le leggi elettorali, l’alternanza democratica, scagliandosi al contempo contro l’etnicamente diverso. A questo scopo persegue una politica irredentista verso la diaspora ungherese in Europa. Il sacrificio di due terzi del territorio nazionale, imposto al Paese vinto dal trattato di Trianon del 1920, è definito "la più grande tragedia dell’Ungheria moderna". Ben più tragica dello sterminio di 400.000 ebrei e zigani nel 1944. Il vero scandalo dei tempi presenti è la punizione inflitta alla democrazia greca, e la non-punizione dell’Ungheria di Orbán. I parametri economici violati e gli spread troppo alti pesano infinitamente più dell’odio razzista, della banalizzazione del male che s’estende in Europa, della democrazia distrutta.

In due articoli sul Corriere della Sera, il 7 e 12 marzo, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha difeso lo Stato-nazione oggi derubato di sovranità: lo descrive come "unico contenitore della democrazia", poiché senza di lui non c’è autogoverno dei popoli. È una verità molto discutibile, quantomeno. Lo Stato nazione è contenitore di ben altro, nella storia. Ha prodotto le moderne democrazie ma anche mali indicibili: nazionalismi, fobie verso le impurità etnico-religiose, guerre. Ha sprigionato odii razziali, che negli imperi europei (l’austro-ungarico, l’ottomano) non avevano spazio essendo questi ultimi fondati sulla mescolanza di etnie e lingue. La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi. Vale la pena ricordarlo, nell’ora in cui un fatto criminoso isolato, ma emblematico, forse ci risveglia un po’.

* la Repubblica, 21 marzo 2012


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