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ELVIO FACHINELLI. Oltre Freud, una seconda rivoluzione copernicana - di Federico La Sala

sabato 7 agosto 2010
TESTO IN PDF, CLICCARE SUL TITOLO -> EVIDENZIATO: Fine della claustrofilia. Sulla spiaggia, dinanzi al mare...
ELVIO FACHINELLI.
Oltre Freud, una seconda rivoluzione
copernicana
Appunti e note, in memoria, per il ventennale della (...)

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> ELVIO FACHINELLI. ---- INATTUALE?! UNO PSICOANALISTA A MISURA DEL MONDO (di Franco Lolli).

sabato 19 dicembre 2009


-  Uno psicoanalista a misura del mondo
-  Le passioni cliniche e politiche

di Franco Lolli (il manifesto, 18.12.2009)

Sono passati più di cent’anni dall’invenzione della psicoanalisi e una definizione stabile e condivisa del suo compito sembra ancora impossibile. Tanto la comunità analitica, infatti, è concorde nell’affermare la priorità della propria vocazione terapeutica quanto è radicalmente divisa sulla considerazione della dignità - se non, addirittura, della legittimità - dell’impegno e del coinvolgimento attivo degli psicoanalisti nelle macrovicende collettive all’interno delle quali prende forma il percorso individuale dell’essere umano. In gioco non c’è solo la domanda su quanto sia pertinente alla psicoanalisi il coinvolgimento nelle faccende del mondo. Né la questione è solo di natura ideologica, perché va oltre la dialettica classica tra due differenti visioni del mondo, una che afferma la priorità della Storia sull’individuo (e, dunque, la determinazione politico-economica dei suoi sintomi) e l’altra che sostiene la supremazia assoluta dei fattori pulsionali intrapsichici.

Detto altrimenti, in ballo non c’è solo l’opposizione tra l’ottica interventista del freudo-marxismo, che considera l’impossibilità di curare l’individuo - il quale tenderebbe a identificarsi con le repressioni sociali che lo ammalano - e dall’altro la prospettiva astensionista, più vicina all’ortodossia freudiana, che situa nell’analisi dell’economia libidica soggettiva il fulcro esclusivo del proprio lavoro. C’è in più un pregiudizio assai diffuso nel complesso arcipelago psicoanalitico italiano, ossia che la partecipazione militante alla vita politica e sociale metterebbe in pericolo il valore etico della professione e, in qualche misura, inquinerebbe la propria presunta purezza di intenti. Dunque, la questione del rapporto tra lo psicoanalista e la città resta quanto mai aperta, e urgente la sua risoluzione. Gli eredi di Freud (che non a caso si vantava di «aver portato la peste») quando si rivelano poco attenti alle risorse personali contenute nei sintomi psichici corrono il rischio di divenire inconsapevoli complici di un sistema che non tollera devianze, e che tende a riassorbire ogni differenza individuale nel prototipo del cittadino tanto più rispettabile quanto maggiore è la sua capacità di consumo.

Proprio questo è il contesto in cui cade il ventennale della morte prematura di Elvio Fachinelli, lo psicoanalista trentino che ha lasciato una traccia tra le più significative nella recente storia italiana grazie all’intreccio fecondo tra il suo impegno politico-sociale e la sua rigorosa applicazione teorica e clinica del sapere psicoanalitico. Indifferente alle lusinghe della carriera, Fachinelli scelse di mantenersi in una volontaria marginalità istituzionale, che potenziò il valore del suo insegnamento e il suo ruolo di «maestro» nella formazione di molti analisti italiani. Fu proprio questa sua posizione periferica rispetto all’estabilishment psicoanalitico a consentirgli di coinvolgersi in orbite culturali e in esperienze precluse a chi limita la propria professione nell’ambito del setting. E dunque Fachinelli si interessò al movimento del ’68, allo studio del fenomeno del terrorismo e, più in generale, alle nostre vicende politiche, mettendo a frutto la sua passione per progetti innovativi come il Controcorso all’Università di Trento o la creazione dell’asilo di Porta Ticinese, il coinvolgimento nella redazione di importanti riviste culturali dell’epoca, l’avventura nella fondazione della casa editrice L’erba voglio, l’assidua frequentazione di intellettuali e psicoanalisti dissidenti: fra tutti, Jacques Lacan, dal quale ebbe l’onore di ricevere l’invito (peraltro, non accettato) a fondare la sua Scuola in Italia. A tutto ciò si aggiunge, naturalmente, la sua straordinaria dedizione al testo freudiano (di cui fu anche traduttore) che ha contribuito a renderne assolutamente singolare l’opera, capace di contenere al proprio interno visioni e prospettive di un’ampiezza insolita.

Allarmato dai primi segnali di degenerazione della psicoanalisi in strumento pedagogico di correzione sociale, Fachinelli si trovò a richiamare la comunità analitica al suo mandato originario di ascolto «dell’irregolare, del negativo, dell’aritmico»; convinto della necessità di fare della psicoanalisi uno strumento di indagine sociale, vide nel movimento di protesta giovanile una discontinuità storico-culturale da interrogare e da comprendere. Che non si trattasse di una ingenua adesione ideologica lo si capisce leggendo gli scritti che ci ha lasciato su quella esperienza. La sua analisi del fenomeno del ’68, così come altre sue letture di diversi temi di attualità, lo portarono a individuare questioni teoriche che restano tuttora un nostro punto di riferimento indispensabile: per esempio, la minaccia che soffre l’identità di ogni persona quando la sua dimensione legata al desiderio e alla progettualità viene ridotta a quella dei bisogni e della loro semplice soddisfazione; o l’individuazione di uno «stato di desiderio permanente» come unica possibilità di sopravvivenza di un gruppo minacciato nella sua identità; o la tendenza alla chiusura e alla settarizzazione dei gruppi alla ricerca di una loro autonomia; o il progressivo sbiadirsi della figura e della funzione del padre in una società sempre più sbilanciata verso la creazione di legami di dipendenza, che replicano quelli caratteristici della relazione «bipolare» tra la madre e il bambino. E, particolarmente importante, la centralità del meccanismo di ripetizione che attraversa l’esperienza umana in ogni sua manifestazione, e in particolare nelle forme psicopatologiche; ma attiva anche e implacabilmente laddove il nuovo pretenderebbe di affermarsi, ad esempio all’interno del movimento psicoanalitico o nei movimenti rivoluzionari. Ed è proprio concentrandosi su queste dinamiche ripetitive, e sulla rivendicazione di un desiderio soggettivo che trovi realizzazione liberandosi dalla gabbia delle sue esperienze originarie, che si conclude l’opera di Fachinelli.

Nel suo ultimo libro, La mente estatica, recentemente ripubblicato da Adelphi, Fachinelli sembra, infatti, indicare la possibilità del genere umano di uscire dalle sue costruzioni difensive e coattive: attraverso un generoso squarcio autobiografico - il racconto di un’esperienza di profonda riflessione vissuta in un pomeriggio ventoso di settembre, sulla spiaggia di San Lorenzo - lo psicoanalista trentino conduce il lettore in un campo inesplorato del pensiero dove all’Io viene riconosciuta la facoltà di emanciparsi dalla Ragione e dalle pretese della ripetizione, per aprirsi a dimensioni inedite: per aprirsi - finalmente - al nuovo. È così che nelle pagine iniziali del libro - una sorta di testamento a cui affida il proprio congedo dal mondo - scrive: «Non inibizione, rimozione, negazione, eccetera: i diversi stratagemmi, le difese parziali di un’impostazione difensiva generale. Dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all’orizzonte».


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