PROVE DI DIALOGO
Ratzinger in sinagoga tra le polemiche
Oggi la visita del Pontefice a Roma dopo il gelo con la comunità ebraica *
CITTÀ DEL VATICANO Un omaggio ai «fratelli maggiori», sulla scia di papa Wojtyla, per rilanciare il dialogo tra cattolici ed ebrei. Da lui fortemente voluta, la visita che oggi pomeriggio Benedetto XVI renderà alla Sinagoga e alla Comunità ebraica di Roma ha proprio il senso di un gesto visibile, concreto per rinsaldare l’amicizia e lasciarsi alle spalle le incomprensioni che negli ultimi tempi hanno rischiato di minare i rapporti tra le due fedi.
L’evento, già giudicato «storico», avviene tra l’altro nell’annuale giornata specialmente dedicata al dialogo tra cattolici ed ebrei. Il Tempio Maggiore romano, dove a fare gli onori di casa ci sarà il rabbino capo Riccardo Di Segni, è la terza sinagoga ad essere visitata, dopo l’elezione al pontificato, da Benedetto XVI, che era già stato in quelle di Colonia (agosto 2005) e di Park East a New York (aprile 2008). La visita avviene inoltre a 24 anni dal memorabile ingresso di Giovanni Paolo II nella Sinagoga romana, il 13 aprile del 1986: ad accoglierlo fu l’allora rabbino capo, Elio Toaff, con il quale papa Wojtyla strinse nell’arco del pontificato una solida amicizia. Fu allora che il pontefice polacco disse agli ebrei: «Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori».
Un analogo richiamo alle radici comuni delle due religioni sarà fatto oggi anche da Benedetto XVI, proprio nell’ottica di rafforzare quella fratellanza speciale troppo spesso messa in ombra da polemiche e incomprensioni. Non mancherà, nelle parole del papa, un’esplicita sottolineatura della validità della Nostra Aetate, la dichiarazione conciliare che ha ridefinito, e rinnovato in modo irreversibile dopo gli odi del passato e le accuse di «deicidio», i rapporti tra Chiesa cattolica e fede ebraica. Significativo, da parte del pontefice tedesco, sarà anche l’omaggio alla lapide che ricorda la tragica deportazione del Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, quando 1.021 ebrei romani furono mandati dai nazisti verso i campi di sterminio, da dove solo 17 tornarono vivi. La volontà è quella di fare piazza pulita di ogni «malinteso», a partire dalle polemiche sulla preghiera per la conversione degli ebrei contenuta nella messa in latino del Venerdì Santo, fino alle accese dispute sulla revoca della scomunica ai lefebvriani, compreso il vescovo antisemita e negazionista Richard Williamson, e sull’impulso dato da Ratzinger alla beatificazione di Pio XII, sempre al centro degli strali da parte ebraica per i suoi asseriti silenzi sulla Shoah. Tanto che anche la visita di Ratzinger alla Sinagoga accende ancora qualche mal di pancia all’interno del mondo ebraico.
«Questa visita del Papa è un segno visibile per superare i malintesi», ha detto ieri alla Radio Vaticana padre Norbert Hofmann, segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Con questo appuntamento, la Chiesa cattolica «esprime la sua volontà: continuare con slancio, con la volontà di mettere in primo piano le questioni importanti per il dialogo con gli ebrei». E in questo specifico campo, secondo il direttore dell’Osservatore Romano, lo storico Giovanni Maria Vian, proprio Joseph Ratzinger rappresenta un figura-chiave. «Pochi sono i cattolici del Novecento - ha scritto - che hanno fatto tanto quanto Joseph Ratzinger, come teologo, come vescovo, come responsabile dell’organismo custode della dottrina cattolica e ora come Papa, per avvicinare ebrei e cristiani».
* La Stampa, 17/1/2010 (8:10)