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VISITA DI BENEDETTO XVI IN SINAGOGA. UNA TRISTE FARSA - di Gherush92

domenica 17 gennaio 2010
Gherush92
Committee for Human Rights
ECOSOC Organization
LA TRISTE FARSA DELLA VISITA
DEL PAPA IN SINAGOGA
I preparativi della visita del papa in sinagoga, così come riferito in un empio articolo apparso su Radio Vaticana, continuano a seminare sconcerto, dolore e rabbia. L’organo del (...)

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> VISITA DI BENEDETTO XVI IN SINAGOGA.... Le parole di Wojtyla contro le persecuzioni e il sogno di Toaff (di Luigi Accattoli).

domenica 17 gennaio 2010

Le parole di Wojtyla contro le persecuzioni e il sogno di Toaff

di Luigi Accattoli (Corriere della Sera, 17 gennaio 2010)

C’era chi piangeva tra gli ebrei quando Wojtyla entrò nella sinagoga e a noi giornalisti maschi avevano dato la kippah da mettere in testa: sono le immagini più vive che conservo. Wojtyla e Toaff si abbracciarono due volte. Il papa chiamò «fratelli» quattro volte gli ebrei, che gli batterono le mani nove volte. La parola più importante di Giovanni Paolo fu quella con cui deplorò le «persecuzioni» che gli ebrei ebbero a subire nella storia da parte dei Papi.

Anche l’evento del 13 aprile di 24 anni fa cadde di domenica pomeriggio, come quello di oggi. Con me nella sinagoga c’era Elèmire Zolla, che era affascinato dal copricapo del rabbino e mi faceva domande alle quali non sapevo rispondere: «Incredibile, è più solenne del Papa!» Il suo pezzo per il Corriere della Sera avrebbe avuto un incipit folgorante, a ricordo di quando l’apostolo Pietro parlò per la prima volta in Roma, per l’appunto in una sinagoga e da lì «ebbe inizio il nostro ciclo storico».

Il Papa recitò il salmo 133 e il rabbino il salmo 124. «Com’è bello e com’è dolce / che i fratelli vivano insieme» disse Wojtyla. «Chiedete pace per Gerusalemme, / vivano sicuri quelli che ti amano» rispose Toaff. Non era solo la prima volta che un Papa entrava in una sinagoga, ma era anche la prima preghiera pubblica di un Papa con un ebreo. A sorpresa Giovanni Paolo chiamò «fratelli» gli ebrei, anzi: «fratelli maggiori». «Cari amici e fratelli ebrei e cristiani» disse iniziando il discorso. Poi ricordò l’apertura ai «fratelli ebrei» di Giovanni XXIII. Insistendo sul legame tra ebraismo e cristianesimo esclamò: «Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori». Infine invitò ebrei e cristiani di Roma a una convivenza «animata da amore fraterno».

Il massimo degli applausi l’ebbe quando deplorò le persecuzioni: «Ancora una volta, per mezzo mio, la Chiesa deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo da chiunque. Ripeto: da chiunque». Non nominò i Papi che furono responsabili di maltrattamenti degli ebrei, ma quella ripetizione delle parole «da chiunque» stava appunto a chiarire che il riferimento era anche a loro. Poco prima, del resto, aveva parlato il presidente della Comunità ebraica di Roma Giacomo Saban ricordando i Papi che facevano bruciare i libri ebraici e Paolo IV che istituì il ghetto nel 1555, riducendo gli ebrei «a miseria economica e culturale, privandoli di alcuni dei più fondamentali diritti».

Dopo che il Papa se ne era andato, rientrando nella sinagoga Toaff si incontrò con don Vincenzo Paglia, oggi vescovo di Terni e allora parroco di Santa Maria in Trastevere: «Non sembra un sogno?» gli chiese. «E’ un sogno dal quale non mi voglio svegliare», gli rispose don Paglia.


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