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PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI ... di Federico La Sala

martedì 4 novembre 2014
CRISI COSTITUZIONALE (1994-2011). DUE PRESIDENTI GRIDANO: FORZA ITALIA!!! LA DOMANDA E’: CHI E’ "PULCINELLA"? CHI IL MENTITORE?
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA L’INVITO A RIPRENDERSI LA "PAROLA" E A RIDARE ORGOGLIO E DIGNITA’ A TUTTO IL PAESE: FORZA, VIVA L’ITALIA, VIVA L’ ITALIA!!!
ITALIA: LA (...)

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> PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. --- Trattative Stato - mafia. Le Due Verità e quelle Domande senza Risposta (di Giovanni Bianconi)

venerdì 11 gennaio 2013


-  Trattative Stato - mafia
-  Le Due Verità e quelle Domande senza Risposta
-  Una tacita Intesa, senza un Mandato politico

-  di Giovanni Bianconi (Corriere della Sera, 10.01.2013)

Sembra la versione «moderata» del presunto patto fra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi: la trattativa ci fu, o quantomeno fu tentata per poi lasciare il passo a una «tacita intesa», ma senza alcun mandato politico dei vertici delle istituzioni. E in ogni caso senza risultato, giacché lo Stato non fece concessioni significative e anzi scatenò una reazione senza precedenti contro gli «uomini d’onore».

È l’ultimo atto parlamentare di un politico di lungo corso come Beppe Pisanu - democristiano e post democristiano passato dal centrodestra al centro, che si appresta a lasciare le assemblee legislative dopo quarant’anni di quasi ininterrotta presenza, ma chissà che non possa aspirare a nuove importanti cariche.

Il presidente dell’Antimafia ha messo in fila gli eventi così come sono emersi dal lavoro della commissione e degli uffici giudiziari che continuano ad arrovellarsi sul biennio sanguinoso e ancora oscuro 1992-1994, per trarre un giudizio politico che resta sospeso nei confronti di chi è sottoposto a indagini e processi, ma suona come un’assoluzione per i vertici istituzionali rimasti fuori dalle aule giudiziarie. E fa intravedere, fino a farlo diventare esplicito in alcuni passaggi, un contrasto con il lavoro della Procura di Palermo di cui non a caso Antonio Ingroia - il pubblico ministero che s’è fatto politico - ha approfittato per attaccare lo stesso Pisanu, ormai avversario dello schieramento opposto. Il rappresentante della commissione parlamentare sostiene, riferendosi ai contatti tra i carabinieri del Ros e l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, che «ci fu almeno una trattativa tra uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di Cosa Nostra», a loro volta «privi di un mandato univoco e sovrano».

Nell’atto d’accusa con il quale ha chiesto il processo per gli ex ufficiali dell’Arma Mori, De Donno e Subranni, al contrario, la Procura di Palermo sottolinea che i tre carabinieri cercarono Ciancimino e altri uomini collegati alle cosche «su incarico di esponenti politici e di governo». Dunque con un preciso mandato, almeno para-istituzionale, dettato da una «inconfessabile ragion di Stato».

Ancora. Pisanu afferma che dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro morto un anno fa (il quale riferì di non avere mai saputo niente né della trattativa né degli avvicendamenti al vertice dell’amministrazione penitenziaria, da cui scaturirono le mancate proroghe di oltre trecento decreti di «carcere duro» per altrettanti detenuti) «non possiamo mettere in dubbio la parola e la fedeltà alla Costituzione e allo Stato di diritto».

Fosse stato ancora vivo, invece, Scalfaro sarebbe oggi indagato per falsa testimonianza dai pm di Palermo. Bastano questi due accenni per comprendere la differenza d’impostazione tra chi crede che le istituzioni vadano sostanzialmente assolte e chi ha chiesto il giudizio penale per alcuni loro esponenti dell’epoca, ma ritiene che ci siano ulteriori livelli di responsabilità e consapevolezza da scoprire.

Tra chi considera il caso politicamente chiuso, nonostante le molte domande rimaste senza risposta, e chi invece pensa che ci sia da scavare ancora. Tra chi pensa che lo Stato abbia vinto («una cosa sono gli obiettivi della mafia, un’altra i risultati») e chi che abbia perso: Pisanu da un lato, la Procura di Palermo dall’altro.

Al di là delle interpretazioni e delle divergenze d’opinioni, però, restano i fatti. E l’immagine di ciò che era lo Stato al tempo della «strategia della tensione» scatenata da Cosa Nostra dopo le condanne definitive al maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una rappresentazione che coincide nelle carte dell’Antimafia e in quelle delle Procure (non solo Palermo, ma anche Caltanissetta e Firenze): le istituzioni e i loro apparati poco meno che in ginocchio e una classe politica incapace di trovare le risorse per reagire all’offensiva mafiosa. Rappresentanti dei partiti e dello Stato quasi increduli e impreparati di fronte a boss che avevano deciso di chiudere vecchi conti, una volta rotto il «clima di convivenza e, a tratti, perfino di collaborazione, che aveva lungamente caratterizzato il rapporto mafia-politica-istituzioni», come scrive il presidente della commissione parlamentare. A cominciare dall’omicidio del «garante» Salvo Lima, che di Pisanu fu compagno di partito.


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