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PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI ... di Federico La Sala

martedì 4 novembre 2014
CRISI COSTITUZIONALE (1994-2011). DUE PRESIDENTI GRIDANO: FORZA ITALIA!!! LA DOMANDA E’: CHI E’ "PULCINELLA"? CHI IL MENTITORE?
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA L’INVITO A RIPRENDERSI LA "PAROLA" E A RIDARE ORGOGLIO E DIGNITA’ A TUTTO IL PAESE: FORZA, VIVA L’ITALIA, VIVA L’ ITALIA!!!
ITALIA: LA (...)

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> PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. --- Napolitano evita la Corte. “Mia deposizione inutile” (di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza)

martedì 26 novembre 2013


-  Napolitano evita la Corte
-  “Mia deposizione inutile”
-  Doveva testimoniare nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia
-  Ma il Capo del Quirinale ha invece scritto sottraendosi alle domande

-  di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (il Fatto, 26.11.2013)

Palermo Non ha nulla da riferire ai giudici perché non ha mai ricevuto da Loris D’Ambrosio alcun “ragguaglio o specificazione” su quelle che Napolitano definisce le “ipotesi - solo ipotesi - da lui enucleate” e sul “vivo timore, di cui il mio consigliere ha fatto generico riferimento sempre nella drammatica lettera del 18 giugno”. Il capo dello Stato, inoltre, non si è mai intrattenuto con il suo consigliere giuridico su vicende relative ad anni nei quali neppure lo conosceva, impegnato (da presidente della Camera) in funzioni pubbliche del tutto “estranee a responsabilità” in tema di antimafia.

Ecco perché Giorgio Napolitano, nella lettera depositata ieri mattina in cancelleria, chiede al presidente della Corte d’assise di Palermo Alfredo Montalto che sta celebrando il processo sulla trattativa Stato-mafia di valutare “il reale contributo” che le sue dichiarazioni “potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso”, suggerendo apertamente la norma del cpp che gli permetterebbe di fare marcia indietro: il ricorso alla revoca (prevista dall’articolo 495, comma 4) del-l’ordinanza con cui la Corte ha ammesso la sua testimonianza.

DEL “VIVO timore” di D’Ambrosio di essere stato un “utile scriba”, usato come scudo per “indicibili accordi”, tra l’89 e il ’92, Napolitano, dunque, non sa nulla e in quattro punti (denominati a, b, c, d) ricostruisce il contenuto dei suoi ultimi incontri con il consigliere giuridico, lanciando frecciate ai giornalisti, sospettati di non avere riportato “correttamente” le conversazioni tra D’Ambrosio e Mancino.

Il capo dello Stato esordisce ricordando di aver pubblicato lui stesso, spontaneamente, la tormentata lettera di D’Ambrosio nella raccolta “Sulla Giustizia” (“un’iniziativa non dovuta”), sottolineando “l’intento di massima trasparenza nel documentare e onorare il travaglio umano e morale’” del consigliere giuridico, provocato “dalla diffusione, sulla stampa, di testi registrati (non si sa quanto correttamente e integralmente riprodotti) di conversazioni con il senatore Mancino, intercettate dalla Procura di Palermo”, e da cui venivano ricavati elementi di “grave sospetto” sui comportamenti tenuti dal suo collaboratore.

UNA LETTERA, quella dello spin doctor del Quirinale, che Napolitano descrive come “caratterizzata da profonda amarezza e sgomento” e “anche indignazione per interpretazioni (dello scambio di telefonate con il senatore Mancino) e, più in generale, arbitrarie insinuazioni che colpivano la costante linearità della condotta tenuta da D’Ambrosio, in modo particolare rispetto all’impegno dello Stato nella lotta contro la mafia”.

Così l’inquilino del Colle ricorda come il giorno seguente, il 19 giugno 2012, invitò D’Ambrosio nel suo studio, alla presenza del segretario generale Donato Marra, “per tentare di rasserenarlo, e per confermargli stima e fiducia e farlo anche per iscritto, consegnandogli la lettera, con la quale lo invitavo a mantenere l’incarico di mio consigliere”. Ma né durante quell’incontro, né in altre occasioni, Napolitano ricevette da D’Ambrosio notizie ulteriori: “L’essenziale - scrive Napolitano - è comunque il non aver io in alcun modo ricevuto da D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le ‘ipotesi’ da lui ‘enucleate’ e il ‘vivo timore’, di cui il mio consigliere ha fatto generico riferimento, sempre nella drammatica lettera del 18 giugno, rinviando al suo scritto inserito, come sapevo, nel recente volume di Maria Falcone’’. E precisa: “Né io avevo modo e motivo - neppure riservatamente, nel colloquio del 19 giugno - di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera, né mai... ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo”. E dunque: “Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo”.

Da ieri la lettera del capo dello Stato è all’esame della Procura di Palermo e delle difese: le parti, dopo averla valutata, dovranno esprimere il loro parere - forse già nella prossima udienza il 28 novembre - sulla sua acquisizione agli atti. Se decideranno all’unanimità di acquisirla al fascicolo processuale, si riaprirà la discussione sulla testimonianza del presidente. È la prima volta, infatti, che un capo dello Stato chiede di deporre in un processo in modo unilaterale e per iscritto, sottraendosi alle domande delle parti. Una garanzia che non è indicata dalla legge (che prevede all’articolo 205 la testimonianza presidenziale) e che, di fatto, estenderebbe le guarentigie presidenziali ben al di là di quelle previste dalla Costituzione, spianando il terreno alle polemiche.


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