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PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI ... di Federico La Sala

martedì 4 novembre 2014
CRISI COSTITUZIONALE (1994-2011). DUE PRESIDENTI GRIDANO: FORZA ITALIA!!! LA DOMANDA E’: CHI E’ "PULCINELLA"? CHI IL MENTITORE?
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA L’INVITO A RIPRENDERSI LA "PAROLA" E A RIDARE ORGOGLIO E DIGNITA’ A TUTTO IL PAESE: FORZA, VIVA L’ITALIA, VIVA L’ ITALIA!!!
ITALIA: LA (...)

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> PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. --- Una nuova storia per un Paese pronto a cambiare (di Clara Sereni). -

lunedì 14 novembre 2011


-  Una nuova storia per un Paese pronto a cambiare
-  Ci è già capitato di rimboccarci le maniche dopo le macerie della guerra. È la sfida che dobbiamo vincere anche oggi

-  di Clara Sereni (l’Unità, 14.11.2011)

Non c’è dubbio: se abitassi ancora a Roma, sabato sera sarei stata di fronte al Quirinale, a cantare e applaudire, a manifestare soprattutto gratitudine nei confronti del Presidente della Repubblica, di cui ci sentiamo in qualche modo tutti un po’ figli: perché lui si è costituito in Padre della Patria.

Da lui ci siamo sentiti protetti, e ne avevamo davvero bisogno. La sua tranquilla durezza nell’indicare la strada da percorrere è stata - è - un’assunzione di responsabilità tremenda che ci ha ricondotto tutti alla realtà, fuori da perifrasi e bizantinismi. Come quando un padre ti prende per mano, la tiene saldamente nella sua e - magari strattonandoti un po’ - ti fa incamminare nella direzione che serve.

Invece davanti a palazzo Grazioli probabilmente non sarei andata, perché malgrado le monetine io non le abbia mai tirate di fronte al Raphael in quel certo giorno idealmente c’ero anch’io, e non ne sono fiera, per quella rabbia nei confronti di Craxi che aveva dentro un elemento di violenza e ferocia. Lo stesso che ho sentito crescere dentro di me per ogni insulto, per ogni menzogna, e che nella gioia di ieri sera, per fortuna, non ho visto. E lo considero un piccolo miracolo, il segno di una maturità che non ero certa avessimo conquistato.

Oggi siamo in un altro mondo, dentro un’altra storia. In qualche modo più vicina, se è possibile un paragone, alla fine del fascismo che non ad eventi che la mia generazione ha vissuto in prima persona: come se martedì la maggioranza abbia vissuto il proprio 25 luglio, fra sabato e oggi stia accadendo qualcosa che assomiglia all’8 settembre, ma poi toccherà a tutti noi arrivare fino al 25 aprile. È facile obiettarmi che quel primo Cavaliere ha portato l’Italia in guerra, e che il secondo Cavaliere non ci lascia con i carri armati nelle strade: certo, ma le metafore e i parallelismi sono sempre approssimativi, la storia non si ripete mai nello stesso modo, anche se si può dire senza tema di smentita che i cavalieri, a questo nostro Paese, non portano fortuna. Del resto, mi sembra che almeno due elementi ci riportino a quei tempi, a quelle date, a quelle sfide. A tempi di guerra.

Intanto, perché la crisi in cui ci troviamo è una ferita, perdiamo sangue e le trasfusioni non bastano mai. Poi, perché il panorama che vediamo è di devastazione, di macerie: fisiche (lo scempio del territorio e le sue conseguenze), materiali (l’economia non è solo questione di banche, riguarda quel che riusciamo a mettere nel piatto oggi e domani e in futuro), istituzionali (Costituzione e Parlamento così strapazzati e stiracchiati non li avevamo mai visti), morali. E forse nel novero della macerie ho dimenticato qualcosa. Gli italiani sono come le olive, capaci di tirar fuori il meglio di sé quando sono sotto pressione, dunque credo che ce la faremo anche stavolta, e anche bene: le energie e le competenze dissipate in questi anni non sono perdute per sempre, si può ben tornare a coltivarle e farle crescere. Ma c’è almeno un elemento di difficoltà, rispetto al secondo dopoguerra: allora eravamo un Paese giovane, mentre ora siamo invecchiati e male.

E inoltre allora ereditavamo una struttura statuale devastata e fortemente inquinata e condizionata dal fascismo. Certo, niente di paragonabile a oggi. Eppure non possiamo dimenticare che i bombardamenti più duri hanno colpito in questi anni proprio le strutture portanti dello Stato: il Parlamento, l’istruzione e la cultura, la magistratura, il lavoro, il farsi stesso di leggi e provvedimenti.

Ci vuole lucidità, nell’affrontare tutto questo: non cedere al panico, non aspettarsi miracolistiche vie d’uscita. Prodi (che continuo a ritenere il miglior presidente del Consiglio che l’Italia abbia avuto) pagò la delusione di aspettative messianiche non suscitate certo da lui: vediamo di non ripetere l’errore. L’auspicabile governo Monti può cominciare a fare un primo ordine, e sarà già molto se riuscirà a far questo da qui alla scadenza naturale della legislatura - e insisto su naturale. Dopo, toccherà a tutti noi - di fronte a un panorama un po’ sgombrato dalle macerie - ricominciare a progettare. Sapendo di dover smettere di essere figli e farci compiutamente adulti. Sapendo di doverci liberare con un’analisi seria delle cellule di berlusconismo che si sono radicate dentro di noi, nessuno escluso. Con le radici profonde del fascismo l’Italia non ha mai fatto i conti fino in fondo, e non smettiamo di pagarne le conseguenze; ma proprio perché ne abbiamo già fatto l’esperienza, perché su questo nodo mai sciolto tante speranze si sono infrante e tanto dolore è nato, stavolta possiamo non ripetere l’errore. Se ne saremo capaci, allora sì che veramente potremo festeggiarci a pieno titolo, ed essere soggetti di una Storia nuova.


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