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REGGIO CALABRIA. BOMBA ALLA PROCURA GENERALE. NAPOLITANO: «PIENO SOSTEGNO A MAGISTRATI».

domenica 3 gennaio 2010
Un ordigno ad alto potenziale, costruito artigianalmente, con esplosivo collegato a una bombola del gas
Bomba esplode davanti alla Procura Generale di Reggio Calabria
lo hanno posto due uomini col volto coperto da caschi alle 4,50 di domenica mattina *
REGGIO CALABRIA - Un ordigno è stato (...)

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> REGGIO CALABRIA. BOMBA ALLA PROCURA GENERALE. --- Tesori sequestrati e maxi condanne, ecco perché i boss hanno alzato il tiro (di Francesco Viviano).

lunedì 4 gennaio 2010


-  Bomba al tribunale di Reggio Calabria, l’ira dei clan per i beni nel mirino
-  In Calabria un pezzo del pool di Palermo: ed è scattata la sfida

-  Tesori sequestrati e maxi condanne
-  ecco perché i boss hanno alzato il tiro

di FRANCESCO VIVIANO *

I BOSS della ’ndrangheta avevano già preso le loro contromisure il giorno stesso dell’arrivo da Palermo del nuovo procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone. Correva la primavera del 2008. Qualcuno era riuscito a piazzare una microspia nell’ufficio di uno dei sostituti più impegnati della Dda, Nicola Gratteri. Così, sperava di carpire le conversazioni fra i magistrati e gli investigatori sulle inchieste cruciali riguardanti la ’ndrangheta, quelle sui traffici di droga, gli appalti, la sanità, i rapporti fra mafia e politica. Ma uno dei primi atti di Pignatone fu quello di disporre una bonifica elettronica della Procura. Niente altro che un atto di routine, che subito fece saltare fuori la microspia.

L’inchiesta, finita per competenza a Catanzaro, ha appurato che il dispositivo elettronico aveva breve gittata. Chi ascoltava, dunque, si trovava probabilmente all’interno del palazzo di giustizia calabrese. Gli inquirenti sembrano non avere ormai più dubbi: la ’ndrangheta potrebbe contare su alcune talpe. Quella cimice doveva essere il benvenuto dei padrini a Pignatone e alla sua squadra.

Il nuovo procuratore si è portato appresso un altro mastino, Michele Prestipino, oggi procuratore aggiunto: con lui in Sicilia ha coordinato tante inchieste sulla mafia, l’ultima quella sul capo dei capi di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, ammanettato da Renato Cortese, oggi capo della squadra mobile di Reggio Calabria. La corazzata antimafia ha subito dato man forte a quei pubblici ministeri, e tra questi Nicola Gratteri, che danni conducono delicate inchieste sulla ’ndrangheta.

La nuova squadra dell’antimafia preoccupa e molto i mafiosi calabresi. Di recente, è arrivato anche il nuovo corso della Procura generale, ora guidata da Salvatore Di Landro, a cui saranno consegnati a breve processi d’appello delicati, quelli sull’omicidio di Salvatore Fortugno, sulla strage di Duisburg e sulle infiltrazioni mafiose sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Tutti processi che in primo grado si sono conclusi con numerosi ergastoli e pesantissime condanne.

La ’ndrangheta, che mai prima d’ora aveva utilizzato segnali così forti come le bombe per intimidire magistrati ed investigatori, ha capito che le cose sono cambiate. Negli ultimi due anni, da quando si è insediato Pignatone, la Procura di Reggio insieme a quella di Palermo è quella che ha registrato più operazioni antimafia con centinaia e centinaia di arresti. Sono stati individuati i canali di approvvigionamento della cocaina, del riciclaggio; sono stati arrestati capi storici da sempre latitanti, come Giuseppe Di Stefano, ritenuto il Provenzano della Calabria, o Giuseppe Colucci, bloccato in Canada. I magistrati hanno messo in campo un’offensiva senza precedenti, che la ’ndrangheta probabilmente temeva, ma che non si sarebbe mai aspettata in tempi così brevi.

Quel che più preoccupa le cosche è adesso il metodo investigativo importato da Pignatone e dai suoi colleghi, che in pochi mesi di lavoro hanno già sferrato un vero e proprio attacco agli immensi patrimoni della ’ndrangheta. I tesori dei boss sono sparsi non soltanto nella regione, dove da sempre sono sotto controllo gli appalti pubblici e i grandi insediamenti turistici e commerciali, ma anche nel resto d’Italia e all’estero. Di recente, le inchieste hanno portato al sequestro di decine di beni tra i quali lo storico Cafè de Paris di via Veneto, a Roma, e di altri locali che in pochi anni erano passati nelle mani della criminalità organizzata calabrese. Tutti colpi durissimi che hanno messo in allarme i capi bastone, adesso alle prese con i tentativi di infiltrazione nei lavori per il ponte sullo stretto di Messina.

Ecco, probabilmente, perché adesso i padrini hanno scelto di cambiare strategia, passando alle maniere forti. Ma i magistrati e gli investigatori non hanno alcuna intenzione di indietreggiare nel loro percorso. Dicono all’unisono: "Quanto è accaduto è un evidente tentativo di intimidazione della magistratura reggina, ma che certamente non avrà risultati. A cominciare dal procuratore generale, noi continueremo a fare il nostro lavoro con impegno ancora maggiore e ringraziamo il capo dello Stato che ha espresso la sua solidarietà e la sua attenzione".

© la Repubblica, 4 gennaio 2010


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