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CITTADINANZA E "DIRITTO DEL SOLE" ("IUS SOLIS"): AL DI LA’ DEL DIRITTO DEL SANGUE ("IUS SANGUINIS") E DELLA TERRA ("IUS SOLI"). Una nota di Michele Ainis - a c. di Federico La Sala

domenica 1 gennaio 2012
“Ius soli” cade il tabù
di Michele Ainis (La Stampa, 11 gennaio 2010)
La prima riforma degli Anni Dieci non ha il timbro della legge, né tantomeno della legge
costituzionale. Viaggia su una vettura più dimessa, più modesta: la circolare ministeriale. Quella
con cui il ministro Gelmini ha (...)

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> CITTADINANZA E DIRITTO DEL SOLE ("IUS SOLIS"): AL DI LA’ DEL DIRITTO DEL SANGUE ("IUS SANGUINIS") E DELLA TERRA ("IUS SOLI"). -- Come si diventa italiani. Il sangue e il suolo (di sergio Romano)

domenica 23 ottobre 2016

Come si diventa italiani,

Il sangue e il suolo

risponde Sergio Romano (Corriere della Sera, 23.10.2016)

      • Mi piacerebbe conoscere il suo parere circa lo «jus soli» come criterio per concedere la cittadinanza, rispetto allo «jus sanguinis» finora seguito in Italia (una legge su questa materia è tuttora in discussione in Parlamento). Sul Corriere di sabato 15 ottobre, Goffredo Buccini definisce lo jus soli come «il sacrosanto principio vigente negli Stati Uniti, secondo il quale chi nasce in un Paese ne diventa cittadino». A me pare che non ci sia niente di sacrosanto in questo principio: è semplicemente una scelta giuridica, particolarmente utilizzata da alcuni Paesi in via di sviluppo (come era all’origine il caso degli Stati Uniti) per incrementare il numero dei loro cittadini.
        -  Alberto Angelucci

Caro Angelucci,

Jus sanguinis è un concetto apparentemente fondato sulla convinzione che il popolo di ogni Stato abbia caratteristiche comuni, distinte da quelle di altri popoli. Appartiene alla mitologia degli Stati nazionali ed è servito a creare il sentimento della comune appartenenza a una stessa «stirpe» quando le masse stavano facendo il loro ingresso sulla scena politica. Si temeva allora che fosse pericoloso dare il voto a cittadini che non si sentissero storicamente uniti da un legame storico; e per ovviare a questo rischio fu inventato in molti Stati un passato leggendario, popolato da antichi antenati di cui tutti erano lontani nipoti. Accadde persino in grandi democrazie, come la Francia, dove nelle scuole della III Repubblica gli insegnanti spiegavano agli alunni che i francesi discendevano dai galli. Paradossalmente questo accadeva in un periodo in cui il Paese, per le esigenze della propria economia, importava mano d’opera, in particolare dall’Italia e dalla Polonia.

Anche in Italia, soprattutto in epoca fascista, fu spiegato che nelle vene degli italiani scorreva sangue latino e più tardi, nell’ultima fase del fascismo, addirittura sangue ariano. Nella realtà, tuttavia, l’Italia ha sempre adottato uno «jus sanguinis» mitigato e corretto. Il ragazzo nato in Italia da genitori stranieri diventava italiano alla maggiore età se accettava di fare il servizio militare, mentre la ragazza straniera diventava automaticamente italiana se sposava un cittadino italiano.

Da allora molte leggi sono state ritoccate e lo «jus sanguinis» è ormai un concetto colorato di razzismo che si preferisce menzionare il meno possibile. Ma negli anni Novanta è stato pur sempre applicato dal governo italiano con molta liberalità ai discendenti di emigrati soprattutto nelle Americhe. Prevale tuttavia, in linea di principio, lo «jus soli», ma non senza qualche attenuazione. L’Europa non è l’America, dove il bisogno di nuove braccia ha reso lo «jus soli» una necessità nazionale.

Nei Paesi europei il regime della naturalizzazione varia da un Paese all’altro. È particolarmente liberale in Francia dove il cittadino straniero può chiedere la cittadinanza dopo avere vissuto nel Paese per cinque anni. È più avaro in Italia dove sono necessari dieci anni e il giovane nato qui da genitori stranieri diventa italiano alla maggiore età.


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