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PROBLEMI DI ESTETICA (E NON SOLO). I VOLTI DELLA GRAZIA. Un saggio di Raffaele Milani - di Alessandro Zaccuri.

venerdì 15 gennaio 2021
iconografia
Una bellezza di nome Grazia
Raffaele Milani sulle tracce di quel «piacere secondo ragione», riflesso di una realtà sovrasensibile, che ha segnato l’arte occidentale
di ALESSANDRO ZACCURI (Avvenire, 30.01.2010)
Norma? E chi è, una ragazza che abita a Brooklyn? La battuta (...)

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>I VOLTI DELLA GRAZIA. ---- L’estetica della grazia come “aurora” della bellezza - chiave di lettura per L’Amore e Psiche di Canova e anche per quello di François Gérard esposti a Milano.

sabato 1 dicembre 2012


Amore e psiche

.***Nel Settecento con l’inizio degli scavi di Pompei ed Ercolano si sviluppa l’attenzione per i particolari archeologici: nasce l’estetica del Neoclassicismo

Quando esplose la passione per l’antico

di Anna Ottani Cavina (la Repubblica, 1.12.2012)

La passione bruciante per il mondo antico era scoppiata più o meno negli anni Quaranta del Settecento e coincide con la “resurrezione” delle città sepolte di Ercolano e Pompei e la conseguente caduta dei modelli correnti di conoscenza. L’incontro con i primi scavi era stato a dir poco uno choc, se l’eccitazione di quegli anni, segnati dalle scoperte archeologiche (130 campagne di scavo investirono la città di Roma nei soli cinque anni del pontificato di papa Pio VI), può essere còlta nella reazione esaltata di Giovan Battista Piranesi che «aveva escogitato di cuocere ogni domenica una grande caldaia di riso che potesse bastare per tutta la settimana» per potersi precipitare sui luoghi di scavo senza perdere un solo minuto. Nasceva allora il mito di un’antichità esemplare, origine e anche rimpatrio dell’anima classica, paradiso perduto e ancora promesso. Antichità come futuro.

Ma le “colorazioni” dell’età neoclassica, sull’onda di una nuova travolgente passione per l’antico, erano tante e molto diverse. Canova, nell’intero suo percorso di pittore e scultore, legge l’antichità filtrata dal pensiero di Winckelmann, che del Neoclassico era stato il profeta e il teorico. E sceglie il versante di una grazia intellettuale e sublime, tenera e sentimentale, nutrita dal mito di Atene: incontro fra bellezza e natura. Mentre il rapporto bellezza-libertà (dove l’ideale estetico veniva a coincidere con l’ideale politico) aveva alle spalle la fierezza di Sparta e l’etica austera della Roma repubblicana, trovando nelle icone statuarie del pittore Jacques-Louis David la sua definitiva consacrazione nel presente.

L’estetica della grazia come “aurora” della bellezza - chiave di lettura per L’Amore e Psiche di Canova e anche per quello di François Gérard esposti in questi giorni a Milano - fa riferimento a una grazia filtrata dall’intelletto, lontana dall’epidermica sensualità rococò che aveva caratterizzato il primo Settecento, reattiva invece alla purezza, all’innocenza e a quelle inclinazioni affettive, esaltate nell’età dei Lumi e poi di nuovo nell’età romantica.

Il manifesto di questa poetica della grazia è naturalmente in una dichiarazione di Winckelmann, che celebra l’eterea eleganza delle Danzatrici dipinte su fondo nero, scoperte in una villa romana a Pompei: «fugaci come un’idea, fluide quanto il pensiero e belle come se fossero fatte per mano delle Grazie». Da allora, le danzatrici-libellule della decorazione parietale romana si sono librate per un lunghissimo volo, conquistando l’Europa a un ideale di grazia immateriale e alessandrina.

Canova ne è folgorato. Risponde con una suite di disegni e di tempere su tela grezza, variazioni bellissime sul tema delle danzatrici. E butta all’aria in un soffio il lungo tempo di posa che aveva caratterizzato l’immagine antica. I giochi d’amore della civiltà ellenistica, conosciuti attraverso le campagne di scavo e riletti con lieve ironia, acquistano allora uno scatto e una tensione improvvisa, che affiora in quegli anni anche nelle odi di Foscolo («quando balli disegni, e l’agile corpo all’aure fidando... »).

Contro la lastra compatta di un nero che simulava l’encausto romano, le ballerine di Antonio Canova (oggi si vedono nel museo di Possagno) danzavano gonfiando le loro vesti moderne di mussola à pois, scintillanti ed estrose come in un girotondo di fate, inafferrabili a due passi da noi. Reintroducevano una cifra stilistica antica, ma erano anche l’emblema di una bellezza scattante e moderna che scivolava nel quotidiano della vita se è vero che un artista inglese, John Flaxman, disegnando “from Nature” (dal vivo) i giochi di due bimbe nel sole italiano, le ritrae a piedi nudi e vestite di veli, sulla falsariga delle danzatrici dipinte a Ercolano.

Come si vede, l’antico era un filtro inevitabile, un codice linguistico accettato e universale, fondato sulla validità del modello classico. Ma quel modello non era neutrale ed univoco. Il passato poteva essere inteso come mito rassicurante e positivo, come archetipo per potersi orientare e agire sul presente, attraverso il rilancio di quelle virtù civiche e politiche che furono il canone della Rivoluzione. Ma il passato, nell’età neoclassica, poteva essere percepito anche come fardello, per via della sua perfezione inattingibile e paralizzante.

La disperazione dell’artista davanti ai frammenti dell’antichità, immagine celeberrima disegnata da Füssli, è l’espressione di quella condizione frustrante, che una distanza infinita separa dalla grazia ellenistica di François Gérard e dalla bellezza adolescente, luminosa e spirituale che è il lascito di Antonio Canova.


Amore e Psiche

      • Dagli affreschi di Raffaello per la Villa Farnesina alle inquietudini di Munch
        -  Ecco come la leggenda ha ispirato i maestri attraverso i secoli

-  Il mito più amato dagli artisti

di Lea Mattarella (la Repubblica, 1.12.2012)

Amore e Psiche hanno attraversato tutta la storia dell’arte. Sono molti gli episodi della favola narrata da Apuleio che vengono rappresentati dai pittori e dagli scultori nel corso del tempo.

Nel Rinascimento ai due innamorati che si muovono tra la terra e l’Olimpo vengono dedicati cicli pittorici straordinari come quello che Raffaello e la sua scuola realizzano, tra il 1517 e il 1518, per La Farnesina, la villa di Agostino Chigi a Roma. Qui, in un trionfo di festoni di fiori e di frutta di ispirazione classica, sono raffigurati su finti arazzi gli episodi trionfali di questa storia d’amore piena di simboli e significati: Il concilio degli dei che acconsente alle nozze tra i due e Il banchetto degli dei in cui si festeggia Psiche, resa immortale da Giove, e unita per sempre in matrimonio ad Amore. È significativo come ciò che appare dipinto in questa celebre loggia corrisponda perfettamente alla storia narrata dall’Asino d’oro di Apuleio, come se Raffaello e compagni avessero davvero messo in scena una rappresentazione teatrale del testo. Tra nudi, danze, elmi, drappi, corone di fiori si celebra visivamente un rassicurante lieto fine.

Giulio Romano e Perin del Vaga fanno parte della pattuglia di artisti chiamati a collaborare da Raffaello. Entrambi dedicheranno alle storie di Amore e Psiche due decorazioni che finiranno per essere tra le più importanti della loro carriera. Celeberrimi sono il banchetto rustico e quello degli dei affrescati dal primo tra il 1527 e il 1530 nella Sala di Psiche di Palazzo Te a Mantova. Dove, tra l’altro, compaiono nelle lunette tutte le vicissitudini a cui la fanciulla va incontro dopo aver spiato le fattezze del suo amato: eccola tra Tristezza e Ansietà, oppure addormentata dopo essere stata investita dal sonno infernale di Proserpina, o circondata dalle formiche che la aiuteranno a dividere le diverse specie di semi secondo l’ordine ricevuto da Venere.

Qualche anno dopo, nel 1545, Perin del Vaga dipinge un fregio con dieci scene da Apuleio nell’appartamento di Paolo III in Castel Sant’Angelo. Qui fa la sua apparizione gloriosa il momento forse più amato dalla pittura successiva, quello in cui Psiche guarda furtivamente Amore e lo sveglia con una goccia di olio che cade dalla lampada con cui lo illumina. Perché il pontefice avesse scelto tale ciclo è presto detto: Psiche rappresenta in questo caso il percorso che l’anima deve compiere tra le traversie e le difficoltà del mondo per arrivare a Dio, allo spirito, all’immortalità. In chiave religiosa interpreta la vicenda di Psiche anche il pittore a cui si devono le decorazioni di Palazzo Spada-Capodiferro volute dal cardinal Girolamo Capodiferro negli anni del Concilio di Trento.

Nel Settecento invece questa storia appassionante diventa un po’ il manifesto della vittoria dell’amore sulle restrizioni sociali: se il dio si è innamorato di una mortale e l’ha portata con sé nell’Olimpo significa che ci si può scegliere per affinità e non per casta. I pittori colgono anche il lato sensuale della vicenda: Jacques-Louis David raffigura una Psiche addormentata accanto a un giovane Amore dall’aria soddisfatta e un po’ sorniona. Mentre François-Edouard Picot inquadra il dio che sta per andar via dopo una notte d’amore. Guardando l’abbandono della donna si capisce come dai due sia nata una figlia come Voluttà.

Tra i quadri a più alta gradazione erotica c’è sicuramente quello di Jacopo Zucchi che mostra in una specie di alcova dominata dal rosso una Psiche nuda ma ingioiellata che sveglia il suo amato: i fiori che coprono i genitali di lui sembrano alludere senza tanti preamboli al suo desiderio. Pieter Paul Rubens ne dà una versione dal forte impatto scenografico ritraendo la donna quasi persa in un paesaggio mentre accoglie l’aquila di Giove che la aiuterà a riempire il vaso con l’acqua del fiume infernale.

C’è anche chi preferisce interpretare la scena in termini malinconici come succede ad Andrea Appiani nella Villa Reale di Monza, o allo scultore Pietro Tenerani che la ritrae triste e sola come Psiche abbandonata oppure svenuta con le piccole ali di farfalla che sembrano aver perso i sensi con lei. Il disagio, la solitudine dell’uomo moderno non risparmia nemmeno Amore e Psiche. Guardate la versione di Edvard Munch: due figure che più che amarsi sembra si fronteggino, fluide, inafferrabili, ben lontane dall’abbraccio neoclassico.


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