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RESPONSABILITA’, DEMOCRAZIA, E LUCE ACCESA DI NOTTE A PALAZZO VENEZIA. Una nota di Francesca Rigotti

lunedì 22 febbraio 2010
La democrazia al tempo delle emergenze
di Francesca Rigotti (l’Unità, 16 febbraio 2010)
Nel 1979 il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas, emigrato negli Stati Uniti a causa delle persecuzioni razziali, pubblicò un libro che sarebbe divenuto una pietra miliare nel campo dell’etica pubblica: «Il (...)

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> RESPONSABILITA’, DEMOCRAZIA, E ---- La propaganda dell’emergenza (di Nadia Urbinati).

mercoledì 17 febbraio 2010

La propaganda dell’emergenza

di Nadia Urbinati (la Repubblica, 17.02.2010)

I poteri assoluti hanno sempre prodotto effetti contrari a quelli promessi o desiderati. Sono falliti e falliscono per una ragione endogena, connaturata cioè alla loro stessa natura: la centralizzazione delle decisioni e delle responsabilità in una persona si traduce invariabilmente nell’impossibilità di prendere buone decisioni e, soprattutto, decisioni oneste.

Perché il piú onesto ed efficiente dei capi non può sopperire a un limite umano: l’impossibilità di sapere, prevedere e comprendere tutto e quindi prendere decisioni su uomini e cose che siano sagge. Questo nel migliore dei casi; nel caso appunto che le cattive decisioni siano l’esito di un errore non intenzionale da parte di chi tiene in mano la catena del comando e non può umanamente controllare che tutti gli anelli siano integri. Non è necessario che ci sia intenzione malevola. Questo dimostra il vulnus insito nell’idea che la celerità di decisione richieda centralizzazione e potere discrezionale assoluto, o al di sopra della legge.

Il liberalismo e il costituzionalismo sono nati non a caso nella fucina della critica dei poteri assoluti che incrostavano la società e lo stato dell’antico regime. E il perno della loro critica, vincente è stato proprio questo: le decisioni su questioni complesse come quelle pubbliche hanno la possibilità di essere migliori quando sono prese da un gruppo più o meno ampio, un collettivo, secondo regole che tutti conoscono e che, soprattutto, demandano ad altri il controllo e il monitoraggio. I controllori non possono essere anche autori.

La risposta più radicale alle forme monocratiche di decisione è stata appunto la divisione dei poteri e delle funzioni. Se la gerarchia delle responsabilità serve a creare un team che opera celermente e bene è tuttavia su un sistema di controllo autonomo che riposa la possibilità di contare su buone decisioni. Questa vecchia regola è sempre nuova, e vale anche per la governance della Protezione civile o per qualunque organismo decisionale che si avvale di competenze diverse e soprattutto usa risorse pubbliche. Su questa base, assai semplice e intuitiva, si regge la possibilità di portare a termine decisioni che siano dettate da efficienza, competenza e trasparenza. La velocizzazione e l’efficienza delle decisioni non ha proprio nulla a che fare con le scorciatoie; mentre la trasparenza è una componente dell’efficienza e della competenza.

In questi anni di propaganda dell’emergenza si è fatto credere (chi ci governa ci ha fatto credere) che la politica sia la causa delle lentezze e della corruzione. Ma la politica dell’anti-politica ha generato una sottocultura dell’efficienza fittizia, quella fasulla celerità che pare venire naturalmente quando le regole e la giustizia sono aggirate. La politica dell’anti-politica si è tradotta nel mettere in moto un sistema arbitrario di decisori assoluti, un collage di zone d’ombra dove i radar della legge sono ciechi. Così sono nate agenzie cesaristiche e opere faraoniche. Così si è radicato l’aziendalismo nelle politiche pubbliche, un «fare» che fa capo non alla legge e alle regole ma a un uomo politico-imprenditore e ai suoi uomini di fiducia.

Questa è la logica cesaristica del «fare», la propaganda dell’emergenza finalizzata a creare zone franche dove a decidere del lecito e dell’illecito è la discrezione del facitore. Ma è più di questo, poiché per mantenere zone franche è necessario che si interrompa l’informazione e la partecipazione, che si blocchi la democrazia. Nel libro Potere assoluto. La protezione civile al tempo di Bertolaso, Manuele Bonaccorsi descrive così la vita nei campi post-terremoto all’Aquila: «I campi sono diventati subito campi militari, dove era impedito ai cittadini di riunirsi e discutere,» e questo per consentire di tenere tutto rigorosamente segreto, fuori dell’occhio del pubblico. La logica dell’emergenza non può che essere antidemocratica perché antipolitica: l’esito, come vediamo in questi giorni, non è efficienza ma spreco e malaffare.


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