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SULLA PEDOFILIA, L’ALLARME DELLA RIVISTA "CONCILIUM" (3/2004) E IL COLPEVOLE SILENZIO DEL VATICANO. Una nota

giovedì 15 aprile 2010
LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO".... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PREFERITO, "IL PADRINO". E’ ORA DI RESTITUIRE "L’ANELLO DEL PESCATORE" A GIUSEPPE, E AMARE MARIA - E NON GIOCASTA!!! (...)

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> SULLA PEDOFILIA, L’ALLARME DELLA RIVISTA "CONCILIUM" (3/2004) E IL COLPEVOLE SILENZIO DEL VATICANO. ---- Monsignor Charles J. Scicluna, con una nuova veste, quella di pubblico e spietato accusatore dei preti pedofili (di Adiano Prosperi).

domenica 30 maggio 2010

La nostra giustizia e quella di Dio

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 30.05.2010)

Monsignor Charles J. Scicluna ha il titolo di «promotore di giustizia» presso la Congregazione per la dottrina della fede. In termini di giustizia laica è il pubblico ministero. In quanto tale ha il compito di trattare i «delicta graviora», cioè quelli dei sacerdoti colpevoli di pedofilia e di uso della confessione per indurre penitenti a rapporti sessuali. In questa veste ha raccontato di aver esaminato circa 9.000 casi di religiosi accusati di quei crimini (in una intervista al quotidiano «Avvenire» del 13 marzo scorso). Lo ha fatto nel corso di procedure segrete, sulla base delle norme canoniche.

Il dilagare della questione dei pedofili sulla stampa mondiale e nei tribunali laici ha spinto il «promotore di giustizia» ad assumere una nuova veste, quella di pubblico e spietato accusatore dei preti pedofili. La voce che è risuonata in San Pietro è stata l’arringa del pubblico ministero che chiede la condanna più dura. Quella chiesta ieri da Scicluna è una condanna a morte eterna: secondo lui sui colpevoli grava la minaccia dell’Inferno, dell’eterna dannazione. Ma non può sfuggire il fatto che questa retorica giudiziaria di accusatore dei delinquenti svolge la funzione di coprire le responsabilità dell’istituzione. Scicluna è il difensore d’ufficio dell’autorità ecclesiastica in generale e di quella della Congregazione in particolare. Tanto più forte l’accusa di quelli quanto più netta la difesa di questa. Non è la prima volta che vediamo ricorrere a un doppio registro di questo genere: già ai tempi del rito della «purificazione della memoria» di papa Wojtyla, le colpe del passato di cui chiedere perdono erano state quelle di singoli cristiani restando santa la Chiesa con i suoi pontefici. Quanto alla minaccia dell’Inferno proferita ieri da monsignor Scicluna, si può immaginare il tormento di un uomo di Chiesa mentre pronuncia una sentenza del genere.

Tuttavia resta il fatto che quella pur tremenda sentenza rimanda ad altro e remoto giudizio, diverso da quelli terreni, un giudizio del quale ognuno è libero di pensare quel che vuole. Da molto tempo l’immagine dell’Inferno come luogo di perenne sofferenza oltre la morte è entrata in crisi anche tra i cristiani, come ha dimostrato la ricerca dello storico inglese D. P. Walker. Declino irreversibile. Da secoli si è andata diffondendo sempre più la convinzione che il vero inferno è qui tra gli uomini, sulla terra. E contemporaneamente si è affermata la distinzione fondamentale della giustizia moderna: quella tra reato e peccato: una distinzione che è all’origine delle legislazioni e delle culture moderne. Il peccato riguarda la coscienza del credente e può essere trattato nel segreto della confessione. Il reato riguarda la giustizia. Per i crimini c’è il codice penale, c’è l’obbligo della denunzia da parte di chi ne è a conoscenza.

Nei riti segreti della Congregazione vaticana questa distinzione fondamentale per ora non si è affermata. Nell’intervista già citata il monsignore ammetteva che nei paesi di cultura anglosassone e in Francia i vescovi a conoscenza di quel tipo di reati sono obbligati a denunziarli all’autorità giudiziaria. In Italia no, perché qui la legge dello stato non lo impone: e in questi casi le autorità della Congregazione vaticana non obbligano i vescovi a denunciare i propri sacerdoti. Ecco il problema che gli anatemi di questi giorni non riescono a nascondere. Un problema per noi cittadini, per lo stato italiano colpevole di tollerare nel suo sistema giudiziario infrazioni come questa al principio dell’uguaglianza davanti alla legge. A noi cittadini corre l’obbligo di ricordare che lo Stato ha le sue leggi e che i suoi inferni sono le prigioni. È allo Stato che spetta obbligare per legge i vescovi e qualunque autorità ecclesiastica a denunziare delitti come questi.

Quanto alla Chiesa, anch’essa ha la sua colpa, diversa da quelle dei singoli religiosi ma non meno grave: quella della connivenza, del segreto con cui ha coperto finché ha potuto i casi dei preti pedofili. E non possiamo nascondere lo sconcerto davanti alle parole di monsignor Scicluna quando chiede la nostra comprensione per le sofferenze della Chiesa e dei vescovi nel denunziare i religiosi colpevoli: «Questi vescovi - ha detto nell’intervista a Avvenire - sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio». E’ una scelta di linguaggio veramente singolare in una storia in cui ci sono veri inferni, veri e terribili dolori: e soprattutto figli veri.


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