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RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD. Alcune note - di Federico La Sala

martedì 18 maggio 2010
A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!!
"TEBE": IN VATICANO NON C’E’ SOLO LA "SFINGE" - C’E’ LA "PESTE"!!! Caro Benedetto XVI ... DIFENDIAMO LA FAMIGLIA!? MA QUALE FAMIGLIA - QUELLA DI GESU’ (Maria - e Giuseppe!!!) O QUELLA DI EDIPO (Laio e Giocasta)?! (...)

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> RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD. ----Wojtyla è stato il primo nella Chiesa cattolica a utilizzare gli strumenti della psicoanalisi per vagliare i seminaristi e prevenire i casi di abusi sessuali del clero (di Giacomo Galeazzi - LA via della prevenzione).

venerdì 26 marzo 2010


-  La via della prevenzione
-  Così fallì il Papa polacco

di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 26 marzo 2010)

Prima e dopo Ratzinger. Nei Sacri Palazzi tutti concordano nell’indicare due fasi ben distinte nella risposta vaticana allo scandalo-pedofilia che da tre lustri devasta a ondate periodiche gli episcopati di mezzo mondo.

L’approccio di Joseph Ratzinger viene descritto in Curia come «pragmatico e intransigente». All’ex Sant’Uffizio un’intera sezione della congregazione fu destinata dal futuro Benedetto XVI ai dossier dei preti pedofili e, appena eletto Papa, Ratzinger impose il silenzio ad uno degli uomini più potenti della Chiesa mondiale: padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e pluri-accusato di violenze sessuali.

Da ex pastore della «Chiesa del silenzio» Karol Wojtyla era più cauto e tendeva automaticamente a scorgere nell’accusa di abusi sessuali l’ombra di una delegittimazione del clero. Nei regimi comunisti dell’Est, laddove si articolò tra i veleni della Guerra fredda la sua missione di vescovo, il fango della pedofilia era lo strumento più efficace per togliere di mezzo un prete scomodo, quindi Wojtyla conservava un’oggettiva diffidenza, un’invincibile difficoltà a procedere con misure draconiane contro i sacerdoti accusati di quello che comunque considerava un «crimine orrendo, abominevole». Piuttosto che intervenire a valle come prevedono ora i drastici e inequivocabili provvedimenti ratzingeriani, la linea di Wojtyla era quella di intervenire a monte.

Per questo da arcivescovo di Cracovia, primo al mondo, aveva introdotto i test attitudinali per tracciare un profilo psicologico e sessuale dei candidati al sacerdozio. Wojtyla, infatti, è stato il primo nella Chiesa universale a utilizzare gli strumenti della psicoanalisi per vagliare i seminaristi e prevenire i casi di abusi sessuali del clero. A Cracovia affidò alla psichiatra amica Wanda Poltawska il delicato compito di individuare, con occhio clinico e mano ferma, chi meritasse un’osservazione supplementare. E il Papa polacco confidava talmente in questa strategia anti-abusi (basata su consulenze nelle situazioni problematiche e specifiche) che, sotto il suo pontificato, si discuterà nelle congregazioni se non fosse il caso di prevedere un test psicoattitudinale in tutti i seminari del mondo sulla falsariga di quanto accadeva a Cracovia.

Nel 1999 un primo tentativo di introdurre i test ebbe vita travagliata. La Curia bloccò tutto, chiedendo un approfondimento ulteriore e tra coloro che avevano manifestato maggiori dubbi c’era l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi. I cardinali ne discussero ancora, a porte chiuse, nel febbraio del 2002 alla riunione plenaria della congregazione per l’Educazione cattolica e il dibattito fu piuttosto animato e pure in quell’occasione i capidicastero si divisero. Favorevole ad affidare ai test psicoattitudinali la verifica dei futuri preti era il polacco Zenon Grocholewki, ma molti in Curia restavano scettici. Malgrado le sue linee di prevenzione, Wojtyla vide esplodere lo scandalo-pedofilia proprio nell’episcopato della sua madre patria. Era la mattina del 24 maggio 2002 quando il direttore della Sala stampa vaticana, Navarro-Valls comunicò che c’era un caso che «riguarda l’arcivescovo di Poznan», che ci sono «informazioni provenienti dalla Polonia» e che «la Santa Sede ne è stata informata». Nel mirino era finito l’arcivescovo Juliusz Paetz, ex prelato di anticamera di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Dopo lunghe resistenze fu costretto alle dimissioni colui che era non solo un compatriota ma un amico di lunga data di Wojtyla.

Era il segnale più clamoroso che la wojtyliana linea del controllo «a monte» non aveva funzionato e così alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II, fu necessario il ricorso alle misure speciali in tutta la Chiesa contro i preti pedofili. Si decise in fretta e in furia il via libera a un processo canonico rapido di primo grado nella diocesi e a una seconda istanza in Vaticano, con l’aggiunta della possibilità da parte del Pontefice di utilizzare una procedura immediata e segreta per dimettere dallo stato clericale sacerdoti colpevoli di abusi sui minori.


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