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GERUSALEMME E LA SFIDA DI NETANYAHU. Un modo di dare "a Hitler vittorie postume" (Emil L. Fackenheim)

mercoledì 24 marzo 2010
Netanyahu sfida Obama a Washington: «Gerusalemme è la nostra Capitale» *
Continua la sfida del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, al governo Usa e alla comunità internazionale: alla vigilia dell’incontro odierno alla Casa Bianca con Barack Obama, previsto per stasera, Netanyahu ha detto (...)

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> GERUSALEMME E LA SFIDA DI NETANYAHU. ---- Amo Israele ma combatto l’illusione delle colonie (di David Grossman).

sabato 13 novembre 2010

Amo Israele ma combatto l’illusione delle colonie

di David Grossman (la Repubblica, 13 novembre 2010)

La parola "boicottaggio" non compare nella petizione firmata finora da 51 attori, registi di teatro e altri artisti contro il centro culturale di Ariel. Quella del boicottaggio è un’arma grave ed estrema che evoca echi amari nella memoria collettiva ebraica. Considero questa petizione una richiesta di astensione: astensione da qualsiasi iniziativa che oscuri il fatto che Ariel sorge in una zona occupata e la sua esistenza crea una realtà che rischia di portare lo Stato di Israele alla catastrofe.

Anche se i coloni proclameranno giorno e notte con squilli di tromba che Ariel esisterà in eterno non saranno in grado di nascondere la loro situazione problematica, sia sul piano morale che pratico, e nemmeno il pericolo - nato dall’enorme e avventata scommessa politica alla base dell’ideologia degli insediamenti - che corre Israele.

Da quando ho scritto Il vento giallo rimango sbalordito dalla capacità di negazione dei coloni che consente loro di convivere con le profonde contraddizioni della situazione in cui si trovano. I più sono indubbiamente lucidi e realistici e le ragioni della loro presenza nei territori occupati non sono sempre ideologiche.

Quindi, il meccanismo psicologico che gli consente di mantenere una vita all’apparenza normale, civile e anche del tutto "borghese" nel cuore di territori occupati, ostili e pieni di violenza, in mezzo a circa due milioni di persone che vivono in condizioni di oppressione e di umiliazione (in larga misura a causa della presenza degli insediamenti) mentre gran parte del mondo si oppone alla loro scelta e alle loro azioni, è estremamente affascinante.

In generale, sembra che quanto più l’ideologia degli insediamenti diventa infondata e pericolosa tanto più i suoi sostenitori sono quasi condannati a esaltarla, a investirla di un sacro senso di missione. A volte mi chiedo se questo sforzo nasca anche dalla paura che filtra in loro, a dispetto di tutto, proprio a causa del loro essere persone lucide, realistiche e corrette in qualunque altro ambito della vita. Una paura causata dalla realtà insostenibile e suicida che il loro modo di agire sta imponendo al paese e a loro stessi. Se infatti i coloni negano completamente questa realtà insostenibile, nonché le conseguenze dello stato di apartheid che hanno creato, ciò significa che hanno semplicemente e letteralmente perso il contatto con essa. È quasi divertente vedere come, prigionieri del proprio sogno, definiscano "deliranti" o "pazzoidi" i loro oppositori; e la loro paura del risveglio è comprensibile. Quando gli si pone davanti uno specchio che riflette in modo semplice e chiaro l’assurdità e l’avventatezza del processo storico da loro avviato e condotto, non sono in grado di sopportarlo e si fanno prendere da una rabbia parossistica. La petizione è un simile specchio.

Personalmente non "boicotto" i residenti di Ariel, o nessuno dei coloni. Sono interessato a dialogare con loro e nel corso degli anni ho partecipato a numerosi incontri a tale scopo. In gran parte incontri avvincenti e preziosi ma, purtroppo, inutili. Riuscivano a dissipare la diffidenza e l’ostilità, a risvegliare un senso di affetto e di stima, ad abbattere i reciproci stereotipi, ma nessuno dei partecipanti si discostava dalle proprie posizioni. In fin dei conti, anche dopo quattro decenni di dialogo, l’occupazione continua a essere sempre più profonda e ramificata e molti israeliani, tra cui due generazioni già nate in questa realtà, considerano Ariel e tutti i Territori occupati parte legittima e naturale dello Stato di Israele senza capire il motivo di tanto baccano.

La nostra petizione intende minare e scuotere questa illusione, questa menzogna, che è stata ripetuta talmente tante volte da cominciare ad apparire verità. C’è un gruppo di persone qui in Israele, me incluso, per il quale lo Stato ebraico è prezioso quanto la propria anima. Non siamo disposti a rimanere in silenzio quando vediamo il nostro paese dirottato verso il delirio e il fascismo e siamo pronti a pagare un prezzo per la nostra presa di posizione, che sapevamo fin dal principio quanto fosse impopolare. Non demonizziamo i coloni né idealizziamo i palestinesi e conosciamo bene i pericoli e le minacce che Israele deve affrontare. E proprio per questo ci è difficile comprendere come l’ideologia degli insediamenti possa far progredire Israele verso il futuro che merita. Proprio per questo ci mobilitiamo e alziamo un grido.

Sarò felice di condurre un dialogo con i coloni di Ariel qui, in Israele, a casa. Il pensiero di organizzare una "serata letteraria" nel cuore dei Territori occupati, quando a così poca distanza vive gente perennemente umiliata, privata della libertà e dei fondamentali diritti umani, mi appare infatti scandaloso e ripugnante. So bene che ci sono argomenti e ragioni, alcuni molto pesanti, a sfavore della pubblicazione di tale petizione, ma a volte ho il sospetto che alcuni di questi argomenti non siano altro che pretesti per astenersi da un’azione che comporta un caro prezzo a livello personale. E forse, proprio a causa di questa indecisione infinita ed estremamente cauta nell’operare una scelta dolorosa tra i pro e i contro, la maggioranza moderata in Israele ha permesso a una situazione tanto estrema di mettere radici.

Più volte, questa settimana, ho sentito gente che, pur identificandosi con il contenuto della petizione, ritiene che pubblicarla sia stato un "errore tattico". Anche questo è un problema: i sostenitori della pace che temono di essere sospettati di "slealtà" sono sempre più impegnati con la tattica, mentre la destra e i coloni portano avanti una strategia. Sono pochissimi coloro che sono entrati nel merito delle semplici e risolute affermazioni apparse nella petizione. La maggior parte degli israeliani ha reagito con grande sconcerto non alla petizione stessa bensì - così pare - all’ansia che questa ha suscitato e alla sua pretesa nei loro confronti. Per confrontarsi veramente con il suo contenuto occorre spazzare via l’ondata di kitsch nazionalista che sommerge il paese e lo spinge verso angoli malati e pericolosi. In fin dei conti, se si esamina lucidamente l’incredibile ginepraio entro il quale gli insediamenti hanno spinto Israele e i disastri che possono ancora causare, forse sempre più israeliani avranno il coraggio di reclamare il diritto, un tempo dato per scontato, di vivere in un paese concepibile e realistico. Ma perché questo avvenga, come i firmatari della petizione hanno cercato di sottolineare, occorre agire, tracciare una linea e colorarla di verde.

(Traduzione di Alessandra Shomroni)


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