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"JCALL": PER IL FUTURO DI ISRAELE E PER UNA PACE GIUSTA, EBREI D’EUROPA APPELLO SU "LE MONDE".

mercoledì 2 giugno 2010
L’appello su "Le Monde"
"Difendiamo Israele, non le colonie"
ebrei d’Europa in campo per la pace *
PARIGI - «Vogliamo creare un movimento europeo capace di esprimere la voce della ragione». Comincia così l’appello che è stato pubblicato ieri su Le Monde e firmato da noti intellettuali ebrei (...)

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> "JCALL": PER IL FUTURO DI ISRAELE E PER UNA PACE GIUSTA ---- La tregua non basta, bisogna che riparta la trattativa. «Si è formata sul campo una sciagurata alleanza tra Hamas e il Likud»

domenica 18 novembre 2012

Esponente di «Jcall», movimento pacifista ebraico europeo

La tregua non basta, bisogna che riparta la trattativa

«Si è formata sul campo una sciagurata alleanza tra Hamas e il Likud»

di Giorgio Gomell (’Unità, 18.11.2012)

I nemici peggiori possono diventare i migliori alleati. La storia travagliata del conflitto israelo-palestinese lo dimostra una volta di più. Una sciagurata alleanza si è formata sul campo, incurante delle vittime provocate fra la gente inerme, fra Hamas, il movimento integralista palestinese e il Likud, il partito principale di governo in Israele condizionato dalle correnti nazional-religiose e dal movimento dei coloni che lo spingono verso le posizioni più oltranziste. Due nemici irriducibili, ma uniti nel rigettare gli accordi di Oslo del 1993 e nel sabotare poi, anno dopo anno, ogni tentativo di trattativa volta a giungere a un compromesso che comporti la spartizione di quella terra contesa in due Stati sovrani di pari dignità.

Così la formula di «due Stati per due popoli», l’unica che possa fornire una soluzione dignitosa al conflitto appare sempre più messa in forse, come una irraggiungibile utopia. Eppure la sostiene l’Anp di Abu Mazen anche in un’intervista rilasciata di recente ad una TV israeliana con il tentativo di ottenere dalle Nazioni Unite il riconoscimento per il futuro stato di Palestina dello status di osservatore. La sostiene l’opposizione in Israele non solo il movimento che si batte per la pace e i diritti nazionali dei palestinesi, ma buona parte del centro pragmatico del paese.

I sondaggi mostrano in modo persistente che circa 2/3 degli israeliani e dei palestinesi intervistati la desiderano come soluzione, pur ritenendola difficile da conseguire. La sostiene da anni la comunità internazionale, nella forma concreta dei «parametri di Clinton» del 2000 e dei reiterati tentativi del Quartetto di promuovere una seria trattativa fra le due parti assistite da mediatori internazionali. La sosteniamo noi di Jcall (www.jcall.eu), un movimento d’opinione di ebrei europei costituitosi nel 2010 sulla base di un «Appello alla ragione», sottoscritto da oltre 8000 persone, e formatosi di recente anche in Italia (jcall.italia@gmail.com). Dibatteremo di questi temi martedì 20 novembre alla Casa della cultura di Milano (dalle ore 21) con Shaul Ariely israeliano, esperto di questioni di sicurezza e tra i negoziatori degli accordi di Ginevra del 2003 -, Gad Lerner e Stefano Levi della Torre.

Siamo solidali con il popolo d’Israele, di cui affermiamo il diritto a un’esistenza in condizioni di pace e sicurezza e soprattutto con gli abitanti del sud e del centro del paese costretti nei rifugi, privati di una vita normale, e siamo vicini ai civili palestinesi di Gaza che subiscono il costo di una guerra inutile scatenata da Hamas che esercita un potere tirannico nella Striscia e mira a provocare una deflagrazione nella regione, già scossa dalla guerra in Siria e dalle minaccia nucleare dell’Iran, fino all’incrudirsi dei rapporti fra Egitto e Israele, al sovvertimento della monarchia giordana e forse a un intervento armato di Hezbollah contro il fronte nord di Israele.

Israele ha diritto all’autodifesa, ma è illusorio perseguire una soluzione puramente militare del conflitto. Lo ha dimostrato l’offensiva contro Gaza del 2008 e l’embargo imposto all’economia della Striscia prima e dopo quell’episodio. La gente di Gaza non si è piegata, malgrado la durezza del vivere quotidiano, della guerra intermittente e della penuria di beni, e non è insorta contro il regime di Hamas.

Ma come mostrare a quella gente che un accordo di pace può produrre benefici tangibili rispetto al perdurare della violenza? Sharon decise nel 2005 un ritiro unilaterale dalla Striscia, non negoziò un accordo di mutua sicurezza con la leadership palestinese di allora. Ne scaturì un embrione di Stato che poteva essere un inizio di progresso economico e civile, pur con i limiti territoriali di Gaza separata dalla Cisgiordania, ma finì soffocato dall’estremismo di Hamas da una parte e dal blocco imposto da Israele dall’altra.

Oggi è compito urgente anche dell’Unione europea, non solo di concorrere con gli Stati Uniti, l’Egitto, la Turchia, il Qatar a negoziare una tregua sul campo ed impedire l’allargarsi del conflitto, ma anche di premere sulle parti perché riprenda una seria trattativa fra Israele e l’Anp paralizzata ormai dal 2008.


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