Inviare un messaggio

In risposta a:

"JCALL": PER IL FUTURO DI ISRAELE E PER UNA PACE GIUSTA, EBREI D’EUROPA APPELLO SU "LE MONDE".

mercoledì 2 giugno 2010
L’appello su "Le Monde"
"Difendiamo Israele, non le colonie"
ebrei d’Europa in campo per la pace *
PARIGI - «Vogliamo creare un movimento europeo capace di esprimere la voce della ragione». Comincia così l’appello che è stato pubblicato ieri su Le Monde e firmato da noti intellettuali ebrei (...)

In risposta a:

> "JCALL": PER IL FUTURO DI ISRAELE E PER UNA PACE GIUSTA ---- Appello al mondo: «Sostenete la richiesta del riconoscimento di uno Stato palestinese». Intervista a Shulamit Aloni.... Netanyahu, un negoziatore con il mitra. Yehoshua attacca la politica del premier israeliano.

martedì 7 giugno 2011

Intervista a Shulamit Aloni

«Israele non è le sue armi. Chi lo dice ci porta al disastro»

Appello al mondo: «Sostenete la richiesta del riconoscimento di uno Stato palestinese»

La scrittrice fondatrice di «Peace Now» ha firmato un manifesto di intellettuali israeliani per chiedere il rispetto delle frontiere del ’67. «Sì a uno Stato palestinese, basta apartheid»

di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 07.05.2011)

L’altro Israele alza la voce, scende in strada e si ribella: «Dovrebbe essere chiaro a tutti l’inconciliabilità tra democrazia e oppressione esercitata contro i palestinesi. I governanti d’Israele hanno solo un disegno in testa e lo perseguono con ogni loro atto: il disegno del Grande Israele. Ne faranno un ghetto atomico in guerra con il mondo». L’altro Israele, quello che l’altra sera ha dato vita a una manifestazione di massa conclusasi in piazza Yitzhak Rabin, nel cuore di Tel Aviv, si riconosce nelle affermazioni di Shulamit Aloni, fondatrice di «Gush Shalom» (Pace adesso). «Chi persegue la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati, chi opprime un altro popolo afferma Aloni coltiva l’illusione che la sicurezza d’Israele possa reggersi sulla forza delle armi. Ma questa è una illusione che ha già prodotto disastri e altri ne provocherà ancora, se il mondo non farà sentire la sua voce di protesta. A cui deve unirsi l’Israele che non accetta di essere complice di questi crimini».

Shulamit Aloni è una delle venti personalità israeliane tra cui l’ex presidente della Knesset, Avraham Burg, il premio Nobel Daniel Kahneman, l’ex presidente dell’Accademia delle Scienze di Israele Menahem Yaari che hanno firmato un appello ai leader europei affinché appoggino la richiesta del riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente sulla base del confini del 1967, quando verrà presentata a settembre alle Nazioni Unite. Il nostro colloquio parte da qui.

Qual è il senso di questo appello e delle mobilitazioni di piazza che ne sono seguite?

«È l’affermazione di un concetto fondamentale che rappresenta il vero discrimine oggi...».

Quale sarebbe questo concetto?

«La pace, una pace giusta, fondata sul principio di “due popoli, due Stati”, non è una concessione che Israele fa al “Nemico”, e neanche un atto di giustizia. È semmai un sano atto di “egoismo”...».

In che senso?

«Nel senso che solo riconoscendo ai palestinesi il loro diritto a vivere da donne e uomini liberi in uno Stato indipendente, integro territorialmente, solo così Israele potrà difendere il bene più prezioso: la sua democrazia. Perché dovrebbe essere chiaro a tutti l’inconciliabilità tra democrazia e oppressione esercitata contro i palestinesi. Non c’è democrazia in uno Stato che impone a un altro popolo un regime di apartheid. Da qui nasce l’appello e le mobilitazioni che l’hanno seguito. Il passaggio chiave è questo: come cittadini israeliani dichiariamo che se e quando la Nazione palestinese dichiarerà uno Stato sovrano e indipendente, che vivrà a fianco di Israele in pace e sicurezza, appoggeremo questa dichiarazione e riconosceremo uno Stato palestinese basato sui confini del 1967, e chiediamo alle Nazioni del mondo di dichiarare la loro volontà a riconoscere uno Stato palestinese indipendente basato su questi principi».

Il presidente Usa, Barack Obama, non sembra essere di questo avviso...

«Rispetto la sua posizione e ho anche apprezzato alcuni passaggi del suo recente discorso in cui ha fatto riferimento ai confini del ‘67. Ma il presidente Obama sa bene che gli appelli alla ragionevolezza rivolti a più riprese agli attuali governanti d’Israele sono puntualmente caduti nel vuoto. Per questo occorre cambiare registro, e dimostrare a questi oltranzisti che si è capaci di dire basta. Se non ora, quando?».

La destra israeliana non ha nascosto il suo scetticismo, se non la sua contrarietà, verso le rivolte che stanno scuotendo il mondo arabo...

«Il mio atteggiamento, e per fortuna non sono la sola a pensarlo, è diametralmente opposto: la “primavera araba” può avere ricadute importanti per l’intera regione e anche per Israele. In Piazza Tahrir, il cuore della rivoluzione egiziana, non ho visto bruciare una bandiera israeliana. E questo è un segnale di straordinaria importanza che noi israeliani non dovremmo sottovalutare. Io sono con loro, e non sento minimamente nostalgia per i raìs che hanno spazzato via dalla scena».

* Chi è

La leader storica dei pacifisti israeliani

Scrittrice, combattente nella guerra d’Indipendenza, fondatrice di «Gush Shalom» (Pace Adesso), parlamentare per diverse legislature, è stata più volte ministra nei governi laburisti guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Per le sue battaglie democratiche è stata minacciata di morte dall’ultradestra israeliana.


Netanyahu, un negoziatore con il mitra

Lo scrittore Yehoshua attacca la politica del premier israeliano

di Stefano Citati (il Fatto, 07.06.2011)

Benjamin Netanyahu non crede ai palestinesi, non crede alla riconciliazione. Partendo da questo punto la sua strategia è quella di tirare per le lunghe, di arrivare a settembre, alla risoluzione che porterà alla nascita dello Stato palestinese, per iniziare le vere trattative, per ridurre al minimo l’estensione della nuova nazione, che per lui non può essere uno Stato a tutti gli effetti, ma avere solo la consistenza di un’ampia autonomia. Vista sotto quest’ottica la resistenza all’America, alle proposte di Obama, si spiegano con la volontà di prendere tempo e far esaurire le possibilità di trattative, per arrivare a concedere ai palestinesi il 60-70% dei territori occupati della Cisgiordania”. Lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua è più arrabbiato che stupito dopo l’ennesimo atto di violenza del suo governo che ha sparato addosso ai manifestanti nel Golan; una nuova strage che attira su Israele gli strali della comunità internazionale e la frustrazione rabbiosa dei palestinesi. Dal suo punto di osservazione di Haifa - che lascia piuttosto raramente per rispondere agli inviti internazionali: il prossimo, questo fine settimana, a Marina di Pietrasanta per parlare del progetto del suo prossimo libro - non risparmia critiche al suo premier in modo chiaro e netto, come è nel suo stile.

Visto dall’Italia e più in generale dall’estero, l’atteggiamento di Netanyahu appare spesso ottuso e catastrofico. È lo stesso in Israele?

L’opinione pubblica israeliana è tendenzialmente sbilanciata verso il centro-destra: la loro visione è però quella di non rompere la corda che lega all’America e all’Europa, e per questo la posizione migliore è quella di tenere spesso la testa sott’acqua, in modo da non doversi occupare troppo la situazione. Il timore di Netanyahu, di dover rimpatriare di fatto i coloni è condiviso, ed è questo ostacolo interno che condiziona il modo di fare del premier ben oltre le pressioni internazionali, partendo dalla sfiducia nei confronti della controparte.

Netanyahu non rischia di trovarsi a settembre con uno stato di fatto contro il quale non sarà più possibile trattare? Tantissimi Stati riconosceranno il nuovo Paese, ma Netanyahu potrà ancora contare sulla debolezza europea: l’incapacità dimostrata finora di sostituirsi agli Stati Uniti, che non possono essere i guardiani del mondo, e di essere un interlocutore credibile e solido, che controbilanci il potere e l’influenza statunitense. Al premier interessa tenere in piedi la facciata del processo di pace senza agire, spostando il pendolo della pace da una parte all’altra senza arrivare a un movimento completo e decisivo, prendendosi tutto il tempo possibile e annacquando le possibilità di uno Stato palestinese forte e completo. Cosa può rompere questo meccanismo?

Dimostrazioni ripetute e davvero pacifiche dei palestinesi nei territori occupati. Se sapranno scendere in strada con le mani disarmate disinnescheranno la reazione delle forze di sicurezza israeliane e non daranno motivo di essere attaccate e dell’uso della forza. Toglieranno l’alibi a Netanyahu e spezzeranno il meccanismo della risposta violenta . Per cambiare questa atmosfera e questo futuro prossimo questo Israele dovrebbe da subito compiere un gesto unilaterale: fermare e riportare indietro tutti i coloni, anche senza accordi con i palestinesi; sarebbe un segno di volontà seria e responsabile. Come si vede da Israele il sommovimento del mondo arabo; dà più timori o più speranze. È ancora in una fase interlocutoria, ma la chiave resta l’Egitto, se non diventerà un regime ancor più militare, o fondamentalista, un cambio generale sarà possibile.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: