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ECOLOGIA: GRANDE EMERGENZA AMBIENTE . Per il 21 giugno, Giorno della Pace, un appello ai leader religiosi e spirituali di tutto il mondo - del Leader spirituale della Nazione Lakota, Arvol Looking Horse.

martedì 15 giugno 2010
Appello di un capo indiano Cheyenne, guida spirituale della Nazione Lakota
Ai leader religiosi e spirituali di tutto il mondo
[premessa e cura ] di LUISELLA GARDA *
DALLA guida spirituale di un popolo sconfitto dal­la storia ufficiale e relegato ai margini della società arrivano parole di una (...)

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> ECOLOGIA: GRANDE EMERGENZA AMBIENTE . ---- Discorso di Obama sulla marea nera: "Energia pulita, è l’ora", "Non possiamo consegnare ai nostri figli questo futuro"(di Angelo Aquaro).

mercoledì 16 giugno 2010


-  La "missione" di Obama
-  "Energia pulita, è l’ora"

Primo discorso alla nazione in diretta tv dedicato all’emergenza della marea nera: "Bp pagherà, vinceremo questa guerra. Ma dobbiamo agire: non possiamo consegnare ai nostri figli questo futuro"

dall’inviato ANGELO AQUARO *

NEW YORK - La marea nera all’assalto delle coste è come Al Qaeda, il petrolio che sgorga dal pozzo maledetto è come una epidemia, il conto astronomico che si abbatte sul Golfo vale una recessione e la sfida per l’energia pulita ci riporta a quella che lanciò l’America sulla Luna. Barack Obama scende dal Marine One dopo due giorni di missione nel Golfo ma sembra quasi non voler riportare i piedi per terra. E nel suo primo discorso in diretta tv dallo Studio Ovale - camicia bianca e cravatta blu, le foto di moglie e figlie sulla scrivania - prova a battere per 18 minuti sul tasto dell’emozione. L’America è stata colpita "dal più grande disastro ambientale della sua storia" per colpa dell’"avventatezza" di una compagnia chiamata Bp che adesso pagherà "mettendo a disposizione tutte le risorse che serviranno". Ma l’America è forte e riuscirà a riemergere anche da "questa crisi che non sarà certamente l’ultima". Soprattutto se "troverà il coraggio" di applicare la "lezione". Dice: "E’ una national mission. Il momento è adesso". L’economia del petrolio già prima era insostenibile: adesso è assassina.

I contenuti del discorso, per la verità, erano stati ampiamente anticipati. Ma un conto sono le chiacchiere dei giornali e dei talk show: un conto è affacciarsi dalla tv nel salotto di casa all’ora del programma preferito. E come rispoderà l’America? Riuscirà il presidente a riconquistare quel 71 per cento di elettori che giudicano "troppo morbida" la sua azione nel Golfo? Il discorso alla nazione scandisce momenti decisivi nella vita del paese: da quello stesso Studio Ovale George W. Bush promise vendetta all’America colpita l’11 settembre.

Anche Obama attacca: al momento in cui vi parlo la nazione si trova a confrontarsi con minacce molteplici, a casa la recessione, all’estero la guerra ad Al Qaeda. E adesso "una macchia di petrolio all’assalto delle nostre coste e della nostra gente". Siamo in guerra, dice, una guerra che sta mostrando "i limiti dell’umana tecnologia" e in cui il governo ha già schierato i suoi uomini migliori a partire dal ministro per l’energia Steven Chu "che è un Premio Nobel", dice il presidente - Nobel pure lui. Sì, è un disastro ambientale, ripete, "ma a differenza di un terremoto o un uragano non è un evento singolo" che porta distruzione in pochi minuti o pochi giorni: "I milioni di galloni di petrolio assomigliano più a un epidemia" che dovremo "combattere per anni". Come?

"Non equivocate" dice il presidente "vinceremo questa guerra". E illustra alla nazione il suo "piano di battaglia" in tre punti: cosa fare per ripulire il Golfo, per aiutare la gente "e per essere sicuri che questo non accada più". L’elenco delle meraviglie messe in campo e l’assicurazione che tra breve il 90 per cento della perdita sarà fermato a dire il vero fanno tragicamente sorridere. Proprio poche ore prima del discorso un panel governativo ha tirato fuori le ultime stime: la perdita potrebbe arrivare a 60mila barili al giorno. Un’enormità. Ma al presidente in questo momento preme soprattutto una cosa: indicare un colpevole e un responsabile. Annuncia che oggi incontrerà il preidente di Bp "e lo informerò" - dice proprio così - "che dovrà mettere da parte tutte le risorse che serviranno per compensare" tutti i danni subiti. La decisione è presa e il presidente è sicuro di avere "l’autorità legale" - come dice il portavoce Robert Gibbs - di costringere Bp a mettere a disposizione un fondo indipendente. Di che cifra? Di questo si parlerà oggi alla Casa Bianca con Carl-Henric Svanberg e quel Ceo Tony Hayward criticatissimo che Obama neppure ha menzionato nel discorso. Il conto astronomico che la compagnia potrebbe pagare va dai 20 ai 60 miliardi di danni. Anche se l’ipotesi a cui Bp starebbe pensando prevede di mettere da parte un fondo pari al dividendo di quest’anno - 10 miliardi di dollari - e intanto continuare a pagare tutte le spese di puliza che verranno. Basterà?

Il "piano di battaglia" del presidente non si spinge nei dettagli. Però Obama accusa esplicitamente la Bp di non avere agito nel Golfo "con le necessarie precauzioni". Dice che il comportamento della compagnia è stato "avventato", promette la commissione d’inchiesta e annuncia di aver nominato quello che qui negli Usa è considerato un vero e proprio cane da guardia - Michael Bromwich - a capo di quella Minerals Managment Service che invece di vigilare sui petrolieri si faceva pagare le trasferte ai topless bar. Ma non basta. Dobbiamo imparare la lezione, dice Obama. Sapevamo da decenni "che i giorni del petrolio a buon mercato erano contati". Per decenni abbiamo parlato di energie alternative senza fare nulla. Adesso perfino la Cina è avanti a noi. E la tragedia del Golfo ci mostra che un intero modello di vita è stato messo in gioco dalla nostra mancanza di azione. "Non possiamo consegnare ai nostri figli questo futuro" dice il presidente. "Ora è il momento di riprende il nostro destino".

Il modo c’è già. La legge sul climate change è stata passata dalla Camera già un anno fa ma è ferma ancora al Senato. Ovviamente il presidente fa il superpartes: "L’unica cosa che non tollererò è l’inazione". Ma basterà questo pressing per convincere i repubblicani? Obama ha un sogno: "L’unica risposta che non accetto è quella di chi dice che la sfida è troppo grande e difficile. La stessa cosa si disse sulla nostra capacità di produrre aereoplani e carri armati durante la Seconda Guerra Mondiale. La stessa cosa sulla nostra capacità di andare e tornare sani e salvi sulla Luna". Barack cita Jfk e gioca al nuovo Kennedy invitando a guardare "oltre i limiti meschini del pensiero convenzionale".

La chiusa è mistica come piace alla gente di qui. Il presidente ricorda la cerimonia della Benedizione della Flotta che si tiene ogni anno nel Golfo. Con quella preghiera non è rivolta al Signore "perché rimuova tutti gli ostacoli e i pericoli: è rivolta a Dio perché sia al nostro fianco anche nel mezzo della tempesta". Proprio come adesso: in mezzo alla tempesta. "Preghiamo per il nostro coraggio" conclude il presidente. Nell’attesa, gli esperti pregano anche per qualcos’altro. Sarà un’estate piena di tempeste davvero. E se l’uragano arriva prima che quel maledetto buco sia tappato non ci sarà benedizione che tenga.

* la Repubblica, 16 giugno 2010


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