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LA LEGGE ELETTORALE IN VIGORE (IL "PORCELLUM", LA "PORCATA") E " IL POTERE DI CHI VOTA". Una nota di Giovanni Sartori.

mercoledì 1 settembre 2010
Il potere di chi vota
di Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 01.09.2010)
Che la legge elettorale in vigore sia una «porcata» è stato detto proprio dal suo estensore, il ministro Calderoli. È lui che mi ha dato l’idea di battezzarlo Porcellum. Ed è una porcata nel senso che è una legge (...)

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> LA LEGGE ELETTORALE ---- Il maggioritario per l’Italia non funziona (di Bill Emmot) - Un compromesso (di Michele Ainis).

mercoledì 15 settembre 2010

Il maggioritario per l’Italia non funziona

di BILL EMMOTT (La Stampa, 14/9/2010)

E’ lusinghiero per noi inglesi che il nostro sistema sia stato tanto spesso lodato nel corso del dibattito italiano sulla politica e la legge elettorale. E ci siamo sentiti lusingati anche quando quest’anno, a maggio, tanti commentatori italiani hanno espresso preoccupazione perché il nostro sistema elettorale maggioritario uninominale secco non era riuscito, per la prima volta in 36 anni, a produrre un governo forte, portando necessariamente alla formazione di un governo di coalizione per la prima volta dal 1945. Eppure, per quanto lusinghiera, l’attenzione è, a mio parere, sbagliata. Un sistema maggioritario ha funzionato bene per la Gran Bretagna, ma non è adatto all’Italia.

L’anno scorso ho girato l’Italia facendo ricerche per un nuovo libro, «Forza, Italia», che sarà pubblicato il mese prossimo da Rizzoli. L’obiettivo della ricerca era esplorare i punti di forza del Paese per trovare la «Buona Italia», in contrapposizione alla «Cattiva Italia» su cui tanti critici stranieri (me compreso) si sono concentrati. Dopo questo primo editoriale su «La Stampa» spero di scrivere regolarmente della Buona Italia.

Grazie a questa affascinante e piacevole ricerca ho concluso che le riforme non funzioneranno se non si adatteranno ai punti di forza e alla vera natura della società italiana. Ed è per questo che l’esperimento con i sistemi maggioritari è stato un fallimento. L’attuale collasso della maggioranza che sostiene il governo Berlusconi ne è l’ultima prova.

Alcuni diranno che il conflitto all’interno della coalizione di centro-destra è personale, un conflitto basato sul sostegno o sull’opposizione a Silvio Berlusconi stesso, e quindi non possono esserne tratte conclusioni strutturali o di sistema.

Ma questa è una spiegazione elementare. La realtà più profonda, sicuramente, è che la coalizione formata nel 2008 era artificiale. Così come lo era quella del 2001-06, anche se è durata più a lungo. Queste sono state coalizioni tra incompatibili, di meridionali con la Lega Nord, di riformatori liberali e conservatori, di fautori di un fisco indulgente con sostenitori dell’austerità.

A sinistra è lo stesso. Il Partito Democratico esiste veramente come partito? Perché le forze più vivaci ed attive a sinistra sono al di fuori del Pd, come la Sinistra Ecologia e libertà di Nichi Vendola o L’Italia dei valori di Antonio di Pietro? Perché il partito è lacerato dalle fazioni? Si può dire, correttamente, che tutti i grandi partiti raccolgono diverse tendenze, come il Partito Democratico in America, il Partito laburista in Gran Bretagna o la Spd in Germania. Ma è questione di proporzioni. Forse Pierluigi Bersani si accinge a dimostrare che sbaglio, ma apparentemente né lo stesso Pd né la sua sperata coalizione per il nuovo Ulivo sembrano avere una logica.

La speranza di alternanza, per i potenziali governi concorrenti, era comprensibile dopo Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica. Ma il detto militare che i generali cercano sempre di combattere l’ultima guerra, piuttosto che guardare alla prossima battaglia, è anche molto adatta alla situazione. La mancanza di alternanza è stata un vero problema nel contesto della Guerra fredda e in una politica dove gli estremi erano inaccettabili. Ma oggi? Tutti gli sforzi per produrre maggioranze solide, con il premio di maggioranza e la ricerca di partiti bipolari, sono falliti.

Ciò che ha l’Italia con l’attuale sistema elettorale è un’alternanza instabile. In aggiunta, ha fallito nel produrre governi operativi. Né il governo Berlusconi del 2001-06 né quello attuale sono riusciti ad attuare granché dell’agenda delle riforme, nonostante l’apparente forza di voto delle coalizioni in Parlamento. Perché? La mia convinzione è che il motivo è questo: le coalizioni erano artificiali, non reali, così come il Pd resta un partito artificiale.

L’elenco delle riforme che sembra essere in agenda per tutti include giustizia, istruzione, lavoro, federalismo, modifiche costituzionali, e altro ancora. Tutte queste riforme hanno bisogno di un ampio consenso perché ci sia una possibilità di realizzarle. Tutte richiedono l’accettazione di base da parte delle principali parti politiche che gli avversari hanno legittimamente il diritto di governare.

Eppure, né il consenso né l’accettazione sono possibili, fino a quando resta in piedi l’attuale sistema maggioritario e iper-partigiano. L’alternanza politica britannica funziona in parte grazie alla tradizione: è ciò a cui siamo abituati. Ma funziona soprattutto perché c’è in Gran Bretagna un’ampia accettazione delle regole del gioco politico.

Noi non abbiamo una costituzione scritta ma tutti i partiti politici accettano che la nostra tradizione costituzionale fissi alcuni requisiti e regole di base. A maggio di quest’anno, quando le nostre elezioni politiche non hanno prodotto una maggioranza assoluta, quella tradizione costituzionale è stata messa a dura prova. Eppure, in quattro giorni, è stata formata una coalizione ed è stata accettata dallo sconfitto Partito laburista. Esisteva già il consenso perché il cambiamento fosse regolare e legittimo.

In Italia, mi pare, il consenso deve essere creato e ricreato continuamente. Potere e interessi sono più divisi e più diffusi che in Gran Bretagna. La profonda divisione tra destra e sinistra è più di una semplice questione di filosofia o politica. Quindi, questa divisione di base ha sempre bisogno di essere colmata per creare il consenso e questo consenso richiede anche l’inserimento di altre forze, sia regionali o di settore. Per questo nel mio libro propongo che sia abbandonato il premio di maggioranza e che la legge elettorale sia riformata in favore di un sistema che scoraggi i partiti minuscoli ma che riconosca comunque la diversità e la diffusione di interessi politici e di identità.

Un sistema simile a quello usato in Irlanda, che permette di evitare le liste di partito votando direttamente per i candidati in circoscrizioni multiple, dove questi vengono scelti con un «voto singolo trasferibile» e raggruppati in base alle preferenze, con la soglia del 5% di consensi necessaria per ottenere seggi: questo è il tipo di sistema che mi sembra adatto a soddisfare le caratteristiche di base dell’Italia e a produrre governi capaci di riforma.

Nessun sistema elettorale è infallibile. Ma ogni sistema ha bisogno di incanalare la politica di un Paese, senza cercare di sovvertirla o trasformarla.

(Traduzione di Carla Reschia)


Un compromesso per la legge elettorale di MICHELE AINIS (La Stampa, 15/9/2010)

Doveva risuonare la voce d’un inglese, per raccontarci come siamo fatti noi italiani. Nell’editoriale pubblicato ieri dalla Stampa, Bill Emmott ce l’ha cantata chiara: lasciate perdere il maggioritario, dalle vostre parti non funziona. Ha generato coalizioni artificiali, governi instabili, e in conclusione zero riforme. Meglio per voi il proporzionale, anzi un proporzionale perfetto, all’irlandese. Così ogni idea, ogni opinione, ogni cultura potrà specchiarsi in Parlamento. Senza nessuna camicia di gesso, che tanto va poi regolarmente in pezzi al primo starnuto.

La diagnosi di Emmott riecheggia una lezione che fu di Montesquieu: sono le leggi che devono adattarsi agli uomini, non gli uomini alle leggi. Sicché nessun vestito normativo è buono in assoluto, dipende dalla taglia del popolo che dovrà indossarlo. Anzi: secondo Montesquieu dipende anche dal clima, dal territorio, e naturalmente dalla storia. La nostra storia racconta un’Italia dei Comuni mai del tutto tramontata, tant’è che ne sopravvivono 8 mila, ciascuno rivale dell’altro. Ma se è per questo, sopravvive inoltre una congerie di corporazioni, lobby, sindacati, ordini professionali.

E naturalmente di partiti, dentro e fuori il Parlamento. Noi italiani siamo così, 60 milioni di commissari tecnici, ciascuno con la sua formazione in testa per la nazionale di pallone. Potremmo mai intonare un’unica canzone quando discutiamo di politica? Potremmo mai filare d’accordo, sia pure per lo spazio d’una legislatura? No, e infatti Bobbio disse una volta che la nostra storia costituzionale si è snodata attraverso un’altalena di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi). La sola novità che la seconda Repubblica ci ha recato in dote è la sostituzione della crisi con un eterno stato di pre-crisi, ma il rantolo è lo stesso.

Però se la premessa è esatta, sulla conseguenza che ne trae Bill Emmott va depositata un’opinione dissenziente. Non perché il bipolarismo sia diventato la nostra legge di natura; questo vincolo funziona esclusivamente nella geografia terrestre, dove un polo di centro non esiste, esistono soltanto il Polo Nord e il Polo Sud. Viceversa nella politica italiana il terzo polo prese forma già in Assemblea costituente (dove oltre ai cattolici e ai marxisti operò una pattuglia quanto mai agguerrita d’orientamento liberale), e in seguito ha sempre continuato a manifestarsi in varia guisa. Evidentemente la scelta binaria ci sta stretta, di fidanzate ne vogliamo almeno tre. Quanto al bipartitismo, poi, non ne parliamo; o meglio ne parlano soltanto i Radicali, che tuttavia non hanno mai accettato di diluire la propria identità in una formazione politica più vasta.

Ma davvero tutto ciò significa che per salvarci dovremmo scimmiottare le istituzioni dell’Irlanda? A parte le difficoltà di comprensione (lì il presidente si chiama Uachtarán na hÉireann), a parte il fatto che da quelle parti il capo del governo nomina 11 senatori su 60 (vabbè, tutto sommato funziona così pure in Italia), a parte che fin qui eravamo stati noi a offrire sangue italiano agli irlandesi (quello di Trapattoni), sta di fatto che il loro sistema elettorale rischia d’aumentare i nostri guai, anziché diminuirli.

Tranquilli, non entro in tecnicismi: metodo Hare (peraltro non troppo diverso dal metodo d’Hondt con cui nella prima Repubblica venivano assegnati i seggi del Senato), formula a voto singolo trasferibile (tu voti per me, dopo di che se io ho già fatto il pieno elettorale il tuo voto lo acchiappa il mio rivale), e via elencando. Ma il punto è che un proporzionale esasperato - sia pure con una soglia minima per far scattare il seggio - finirebbe per frazionarci ulteriormente, mettendo a nudo tutti i nostri vizi. No, non è questa la terapia di cui abbiamo bisogno.

Non cresceremo d’una spanna passando dal bipolarismo coatto alla disgregazione forzata. Meglio per noi i sistemi misti, com’era il Mattarellum: tre quarti di maggioritario, un quarto di proporzionale. E se il Porcellum, con il suo premio di maggioranza esorbitante, ha alimentato un bipolarismo falso e muscolare, formulo a mia volta una proposta: correggiamo il maggioritario con un premio di minoranza. Per com’è messa l’opposizione di sinistra, sarebbe un’opera di carità.


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