Jacques Lacan e l’inconscio visto da vicino
di Massimo Recalcati (la Repubblica, 20.12.2013)
La parte più rilevante dell’insegnamento di Jacques Lacan è orale. Essa si condensa nei suoi famosi Seminari che a partire dai primi anni Cinquanta egli tiene continuativamente sino alla sua morte avvenuta nel settembre del 1981. E tuttavia la celebrità pubblica di Lacan coinciderà con la pubblicazione dei suoi Scritti nel 1966. Questa raccolta volutamente al limite della leggibilità uscì in piena epoca strutturalista e il suo successo consacrò lo psicoanalista francese come uno dei più grandi pensatori del Novecento.
Emergeva lì il senso più autentico del suo “ritorno a Freud”: l’inconscio non è il sottosuolo, l’irrazionale romantico, l’animale imbizzarrito, il selvaggio caotico, l’istintuale. Lacan ci mostra come l’inconscio di Freud sia strutturato come un linguaggio, appaia cioè come una vera e propria ragione sebbene diversa da quella che regola i nostri comportamenti diurni. Si tratta della ragione che anima la trama complessa dei nostri sogni e il tessuto scabroso dei nostri sintomi, della ragione che sostiene l’istanza del desiderio inconscio.
Di qui il nuovo orientamento che egli imprime alla pratica analitica: contro le derive post-freudiane che tendevano a concepire il lavoro dell’analisi come una rieducazione emotiva e disciplinare del paziente, Lacan mostra che la “disalienazione” prodotta dall’esperienza dell’analisi non consiste nel raddrizzamento ortopedico dell’Io, ma nel fare emergere la verità del desiderio inconscio come ciò che spiazza l’Io costringendolo a ridimensionare il proprio narcisismo.
La pubblicazione per Einaudi degli Altri scritti di Lacan, apparsi originariamente in lingua francese nel 2001 a cura di Jacques-Alain Miller, è di straordinario interesse perché ci consente di dettagliare ancora meglio la visione lacaniana della psicoanalisi che senza negare il potere rivelatore della parola affronta con più decisione tutti i suoi limiti.
Questa raccolta riunisce testi che vanno dalla fine degli anni Trenta sino alla fine degli anni Settanta. In cinquant’anni si srotola una vita dedicata allo studio e alla pratica clinica della psicoanalisi. Il lettore potrà così trovare testi capitali per la ricostruzione genealogica del suo pensiero - come il celebreI complessi familiari del 1938 che anticipa un grande tema della contemporaneità come quello del tramonto dell’Imago paterna - o altri che lo sintetizzano con grande energia come Televisione o Radiofonia.
Ma non manca in questa raccolta il Lacan maestro che possiamo ritrovare nei brillanti e inediti resoconti del suo insegnamento. Il clinico curioso che offre un intenso e rispettoso ritratto di Wilfred Bion e della sua esperienza pionieristica nell’applicazione della psicoanalisi ai gruppi di soldati che nel corso della Seconda guerra abbandonavano traumatizzati il fronte. L’intellettuale appassionato che omaggia Merleau-Ponty o che resta affascinato dagli ideogrammi della lingua giapponese e dalla scrittura neologistica di James Joyce. Il capo scuola impegnato nella trasmissione della psicoanalisi e nel dare vita ad una comunità di psicoanalisti capace di non tradire il sapere di cui essa si vorrebbe destinataria.
Qui Lacan sbatte la testa contro il muro della contraddizione che separa la formazione dell’analista da ogni sua possibile regolamentazione. Per questo si congeda identificandosi con Tommaso D’Aquino nel momento finale della sua vita, mostrando come il destino dello psicoanalista sia quello dello scarto, null’altro che “Sicut palea”, povero letame di cui si è nutrito l’humus umano.