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ANTONIO GRAMSCI, SULLA "ZATTERA DELLA MEDUSA". Una lettera dal carcere: una grande lezione di vita, di pensiero, e di libertà - di Federico La Sala.

sabato 6 febbraio 2021
Premessa
ROMOLO AUGUSTOLO: L’ITALIA NON E’ NUOVA A QUESTI SCENARI. C’E’ CAPO E "CAPO" E STATO E "STATO": MUSSOLINI E LENIN A CONFRONTO.
L’analisi di Gramsci (già contro le derive staliniste!), una bussola per non naufragare e una lezione di vita e di libertà
ANTONIO GRAMSCI (1891-1937) (...)

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> ANTONIO GRAMSCI, SULLA "ZATTERA DELLA MEDUSA". --- Gramsci e il mistero del Quaderno XXXIII (di Franco Lo Piparo)

mercoledì 6 giugno 2012

Gramsci e il mistero del Quaderno XXXIII

di Franco Lo Piparo (Corriere della Sera, 06.06.2012)

Morto Gramsci (27 aprile 1937), la cognata Tania (o Tatiana) Schucht ha due ossessive preoccupazioni tra loro collegate. Prima preoccupazione. I manoscritti del cognato non devono andare nelle mani di Togliatti. Lettera alla sorella Giulia (moglie di Antonio) del 5 maggio: «La sua (di Gramsci, ndr) volontà è che sia tu a ricevere questi manoscritti, e non la sezione italiana, capisci mia cara?». Lettera del 25 maggio alla sorella Eugenia: «Non bisogna pensare che un italiano qualsiasi, un compagno ex amico, debba farsi carico di questo lavoro (di edizione dei manoscritti, ndr)». Non pare che ci siano margini per interpretazioni.

Seconda preoccupazione. Bisogna vigilare perché i manoscritti non vengano manomessi. Lettera a Sraffa del 12 maggio: «Volevo che Giulia sapesse della mia intenzione di mandarle tutti gli scritti affinché lei li ritirasse per evitare qualsiasi perdita o intromissione di chicchessia».

Tania è portavoce dei timori che il cognato le ha comunicato nelle cliniche Cusumano e Quisisana. La conferma che i timori fossero fondati la fornisce la lettera che Togliatti scrive il 25 aprile 1941 a Dimitrov, all’epoca segretario del Comintern: «I quaderni di Gramsci che io ho (...) accuratamente studiato (...) possono essere utilizzati solo dopo un’accurata elaborazione. (...) Alcune parti, se fossero utilizzate nella forma in cui si trovano attualmente, potrebbero essere non utili al partito». Gramsci e Togliatti concordano sulla dissonanza dei quaderni con pratica e teoria bolsceviche. Ciò ha reso necessaria ai fini della pubblicazione una qualche «perdita» o «intromissione» di mano estranee? Degli indizi che fanno pensare alla «perdita» di un quaderno mi sono occupato nel recente libro I due carceri di Gramsci (Donzelli). Ne aggiungo un altro che non avevo notato nel libro.

Nei giorni immediatamente successivi alla morte del cognato, Tania ha incollato sulla copertina di ciascun quaderno, allo scopo di meglio identificarlo, una etichetta con un numero in cifre romane. I numeri che ci sono pervenuti sono attribuiti in modo del tutto casuale, vanno dal I al XXXIII, ma saltano da XXXI a XXXIII.

In basso a sinistra sulla copertina del quaderno che nella edizione di Gerratana ha il numero 10 (La filosofia di Benedetto Croce), è incollata una strisciolina di carta col numero XXXIII. Riporto la descrizione analitica che ne fanno Francioni e Cospito nella presentazione dell’edizione anastatica: «In una strisciolina di carta incollata in basso sul dorso del quaderno a scopo di inventario dopo la morte di Gramsci, Tatiana Schucht ha scritto a matita l’indicazione XXXIII».

Francioni e Cospito si sbagliano: l’indicazione XXXIII non è stata scritta da Tatiana Schucht. Il lettore se ne può accorgere da solo confrontando, a titolo esemplificativo, il numero XXVIII, sicuramente scritto da Tania, col numero XXXIII, scritto nella «strisciolina di carta incollata sul dorso del quaderno». Per maggiore sicurezza ho chiesto una perizia grafologica al dottor Pietro Pastena, consulente di diversi uffici giudiziari. Il responso è stato netto: il numero XXXIII non è attribuibile alla mano di Tania. Si può escludere che una precedente etichetta di Tania sia stata sostituita con quella posticcia che leggiamo nel manoscritto? Se le cose sono andate in questo modo perché l’intrusione di una mano estranea?

Le tecnologie moderne sono in grado di dare una risposta sicura a questi e altri dubbi. Faccio un appello al presidente della Fondazione Gramsci, Giuseppe Vacca, perché costituisca un gruppo di lavoro, presieduto da Francioni, autorizzato a esaminare direttamente (non sul monitor o su copie anastatiche) i manoscritti, con l’incarico di stabilire come effettivamente stanno le cose.

L’argomento è troppo importante per non affrontarlo con la dovuta cautela e perizia tecnica. Potrebbe rivelarsi il grimaldello filologico con cui aprire nuovi percorsi interpretativi della figura umana e politica di Antonio Gramsci.


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