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PER KANT. IL RICONOSCIMENTO DI ARTHUR S. EDDINGTON

martedì 10 maggio 2011
CONTRARIAMENTE A QUANTO ’PONTIFICAVA’ DEWEY NEL 1929 E HEIDEGGER NEL 1933, COSI’ SCRIVEVA, NEL 1939, ARTHUR S. EDDINGTON, L’ASTRONOMO E IL FISICO RELATIVISTA, CHE "NEL 1919 ORGANIZZO’ LE DUE FAMOSE SPEDIZIONI DI RILEVAMENTO DELL’ECLISSE SOLARE CHE FORNIRONO LA PRIMA CONFERMA SPERIMENTALE DELLA (...)

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> PER KANT. IL RICONOSCIMENTO DI ARTHUR S. EDDINGTON ---- LA COMPLESSITA’ E "LA SEMPLESSITA’" (di Alain Berthoz). Per fortuna l’uomo non vede tutto. Per esempio le onde radio (di Edoardo Boncinelli).

martedì 21 giugno 2011

Per fortuna l’uomo non vede tutto. Per esempio le onde radio

di Edoardo Boncinelli (Corriere della Sera, 21.06.2011)

Dal punto di vista astratto e speculativo questo è quasi certamente il secolo della complessità e «di fronte alle sfide della complessità assistiamo a una proliferazione di metodi per semplificare» , tanto le cose del mondo che quelle umane. Con tale affermazione inizia l’interessante libro La semplessità di Alain Berthoz (Codice Edizioni, traduzione di Federica Niola, pagine 224, e 25), un grande studioso della neurobiologia del movimento. Molte delle semplificazioni che ne derivano sono però banali se non puerili, perciò «a complemento delle teorie della complessità bisogna gettare le basi di una teoria della semplessità che, in qualche modo, contenga una parte di complessità».

Il nostro autore introduce così il termine semplessità, inglese simplexity: «La semplessità è complessità decifrabile, perché fondata su una ricca combinazione di regole semplici» e rappresenta la strategia adottata dagli esseri viventi per affrontare con successo le sfide poste dalla complessità del mondo. E ancora: «La parola riassume, a mio parere, una necessità biologica comparsa nel corso dell’evoluzione per permettere la sopravvivenza degli animali e dell’uomo sul nostro pianeta: nonostante la complessità dei processi naturali, il cervello deve trovare una serie di soluzioni, e queste soluzioni derivano da principi semplificativi» .

Quella che l’autore ci propone non è una teoria solida e compatta, ma piuttosto uno schema di spiegazione che può preludere a una vera e propria concezione esplicativa generale. Si procede per flash e per accenni, ma questo costituisce proprio il fascino del libro. Si viene infatti guidati con mano sicura all’esplorazione dei «trucchi» del vivente, di come cioè gli esseri viventi percepiscono le cose, si orientano, si muovono, agiscono, esplorano il mondo e lo concettualizzano.

Non rovineremo al lettore il piacere di questa lettura, una delle più interessanti che si possano immaginare, ma toccheremo solo alcuni punti. Prendiamo ad esempio la percezione, ovvero la capacità di renderci conto del mondo circostante. Noi non percepiamo tutto, per esempio non vediamo tutto, ma solo quello che ci riguarda direttamente e che ci serve per progettare le nostre azioni. Fondamentale è questo concetto: noi percepiamo per poter agire. Percepire e agire sono una cosa sola, un’unica esigenza biologica; se non percepiamo correttamente non possiamo agire in maniera congrua e se non agiamo in maniera congrua e appropriata è inutile percepire.

Così, per riprendere il discorso di poco sopra, se vedessimo tutto non potremmo vedere niente e fare niente. È noto che i nostri occhi sono sensibili soltanto a quello che noi chiamiamo luce, che rappresenta solo un piccolissimo segmento di tutte le possibili onde elettromagnetiche. Sembra una limitazione, ma cerchiamo di immaginarci che cosa vedremmo se fossimo sensibili per esempio alle onde radio. Ogni stanza del nostro mondo è piena di onde radio, come si può verificare con una radiolina o con un telefono portatile. Se le vedessi, ogni ambiente sarebbe opaco, come pieno di una fitta nebbia: io vedo perché questa nebbia non la vedo. Un elemento di grossa semplificazione del reale, una semplificazione costruttiva, ma solo un preambolo alla concettualizzazione e alla coscienza. I viventi sono un miracolo e noi un miracolo nel miracolo.


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