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CARMELITANI SCALZI ED ECUMENISMO: STORIA E MEMORIA. Ritrovato nel salernitano "file" perduto del tardo Rinascimento

lunedì 25 marzo 2024
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> CARMELITANI SCALZI ED ECUMENISMO. STORIA E MEMORIA --- San Giuseppe con Gesù Bambino presso la chiesa teresiana di Gallipoli. Un inedito di «Giuseppe Sarno Scultore Napoli 1797» (di Antonio Faita).

giovedì 19 marzo 2020

Un inedito di Giuseppe Sarno: san Giuseppe con Gesù Bambino presso la chiesa teresiana di Gallipoli Pubblicato il

di Antonio Faita *

Nell’ambito delle arti figurative e, in particolare, di quelle che si svilupparono meravigliosamente fra il XVII ed il XVIII secolo nel Regno di Napoli, la scultura lignea è sempre stata considerata a torto come arte minore[1]. A lungo trascurata rispetto alla pittura e alla scultura su marmo, in questi ultimi anni è divenuta oggetto di maggiore attenzione da parte degli studiosi, sviluppando, in maniera esponenziale, un nuovo filone di ricerca rivolto allo studio della scultura lignea napoletana[2] nell’acquisita consapevolezza che si tratti di uno dei principali fenomeni storico-artistici dell’intero Meridione in Età Moderna.

A seguito della mia pubblicazione dedicata agli scultori Francesco e Giuseppe Verzella e alla loro bottega[3], è mio intento fornire un piccolo contributo in argomento, segnalando nelle pagine che seguono, un’opera inedita di un poco noto scultore napoletano, Giuseppe Sarno.

Meno nota, o quantomeno poco conosciuta dagli storici d’arte, è la statua di san Giuseppe con Gesù Bambino ubicata nella sacrestia della chiesa di santa Teresa in Gallipoli e per questo, poco visibile dalla gente. Sul lato corto della base pentagonale, cui poggia il simulacro, vi è apposta la firma e la data «Giuseppe Sarno Scultore Napoli 1797».

L’accento plastico delle figure è caratterizzato dall’incedere del santo e dalla distribuzione dei drappi, ricordando soluzioni adottate nel linguaggio pittorico di Francesco De Mura, tra dolcezza rococò e splendore neoclassico[4].

Proprio in questo linguaggio sono ispirate le sculture di Giuseppe Sarno, realizzandone diverse per le chiese di Napoli e nel Regno di Napoli, e qui egli fu attivo dal 1764 ai primi dell’Ottocento (1820, santa Sofia, Santuario omonimo ubicato in Poderia, frazione di Celle di Bulgheria, SA).

Le fonti ottocentesche, dal Filangieri al Perrone, lo menzionano come modellatore di animali e pastori in terracotta, di cui alcuni firmati[5], per la produzione presepiale che con l’avvento di Carlo di Borbone, a Napoli trovò terreno fertile, vedendo impegnati una numerosa schiera di artisti[6] delle varie arti. L’esiguo numero di opere datate non consente di stabilire con molta precisione quando iniziò a plasmare figure in terracotta, ma è certo che tale interesse ebbe a seguire quello per le sculture lignee[7].

E proprio in una fonte ottocentesca il Sarno viene citato per la prima volta a Gallipoli. Pietro Muisen (1811-1880), valtellinese di origine, e trasferitosi a Gallipoli, per motivi di lavoro, fu autore del libro “Gallipoli e i suoi dintorni”, pubblicato nel 1870. Il Muisen, nel descrivere la ‘Congregazione del SS. Crocifisso’, così scrive: «In questa chiesa si ammirano pure due eccellenti scolture in legno, nelle statue di S. Michele Arcangelo e della Vergine Addolorata, lavoro dello scultore mastro Sarno Napoletano»[8]. Il Muisen non riporta il nome, come neanche l’anno della loro realizzazione.

Consultando l’archivio storico della confraternita del SS. Crocifisso, e precisamente il ‘Domenicale 1794-1826’, si evince che nel 1796, in occasione della festività di san Michele Arcangelo, loro protettore, viene portata in processione per le vie della città la statua di san Michele[9]; il Venerdì Santo, del successivo anno, si fece la processione penitenziale per i Sepolcri, portando ‘La nuova Statua Maria Addolorata venuta da Napoli’[10]. Come si può notare il nome del Sarno non compare sulle pagine del ‘Domenicale’. Si può ipotizzare che sia stata una dimenticanza del segretario verbalizzante oppure il passare del tempo abbia fatto affievolire la firma sulle basi dei rispettivi simulacri, fino a scomparire del tutto o, ancora, il nome dell’artista sia stato riferito da qualche anziano confratello al Muisen, durante la sua visita all’oratorio confraternale.

Fatto sta, che dagli interventi di restauro, eseguiti in questi ultimi anni, non è emersa nessuna scritta dai vari strati pittorici rimossi. Se così fosse, perché il Muisen si limita a riportare solo il cognome? In ambito storiografico, emergono alcuni nomi, come: Ignazio Sarno, allievo dello scultore Pietro Patalano, che a dire, da Borrelli, forse padre del nostro Giuseppe[11]; Luigi Sarno, il cui nome si evince, attraverso la firma segnata a tergo della pettiglia di un ritratto di uomo[12]; Giovanni Sarno, citato dal Mancini[13].
-  Tornando al simulacro di san Giuseppe e alla sua venerazione presso la chiesa delle suore teresiane, è bene ricordare che, il culto del santo nel Carmelo entra già dalle origini dell’Ordine. La devozione a san Giuseppe, a livello personale e locale, si viveva fin dalla venuta dei carmelitani in Europa, anche se la festa del santo Patriarca, a livello di Ordine, non appare sino alla seconda metà del XV secolo[14].

Tale devozione nel Carmelo teresiano, va essenzialmente unita a santa Teresa. È uno dei legati più ricchi e caratteristici che la Santa lasciò ai suoi figli. Non si comprende il Carmelo teresiano senza san Giuseppe, senza l’esperienza giuseppina della Santa. Per la Santa Madre, i conventi che fonda, a immagine del primo (Avila 1562), sono ‘case’ di san Giuseppe. Per questo procura che la maggior parte di essi porti il nome e titolo di san Giuseppe. Dei diciassette, fondati dalla Santa, undici stanno sotto il titolo di san Giuseppe.
-  Se non tutte le fondazioni della Santa Madre portano quel titolo, non ce n’è nessuna dove non ci sia un’immagine del Santo che presieda e protegga la comunità. È un’ulteriore manifestazione, più della sua devozione ed esperienza giuseppina, il diffondere nei conventi le immagini del santo, la maggior parte delle quali ancora si conserva. È da notare, a questo riguardo, il dato che portava con sé in tutte le fondazioni, una statua di san Giuseppe, che riceveva il titolo di “Patrocinio di san Giuseppe”.

Quarto, in Puglia, dopo quello di Lecce (1620), Bari (1630) e Brindisi (1672)[15], il monastero di Gallipoli, sotto il titolo dei SS. Nomi di Gesù, Maria e Giuseppe, fu terminato il 23 aprile 1690, contestualmente alla chiesa intitolata alla santa di Avila, per devozione e volontà di mons. Antonio Perez de la Lastra,[16] vescovo di Gallipoli. Secondo quanto si può presumere, il culto di san Giuseppe fu introdotto nel monastero gallipolino, seguendo l’esempio e la dottrina della santa Madre Teresa, che lo venerava con affetto speciale. Alcune sorelle scelsero, da religiose professe, il nome del santo[17] e tutte si affidarono, con la preghiera, alla sua intercessione invocandolo quale provvido protettore della chiesa e dell’Ordine. Introdussero la celebrazione del «Patrocinio di san Giuseppe», una particolare festa concessa ai Carmelitani da Papa Innocenzo XI, il 6 aprile 1680.

Presso l’Archivio Storico della Curia Vescovile di Gallipoli, in alcuni registri degli introiti ed esiti a partire dal 1798, vi è traccia delle spese sostenute dalle sorelle per la festività del «Patrocinio di san Giuseppe»[18]. In particolar modo, nella minuta degli esiti del 1799 si rileva una cospicua spesa di ducati 29 e 55 carlini per la buona riuscita della festa[19]. Nell’anno successivo si aggiunse alla spesa del Patrocinio anche quella per l’acquisto di «Due aste nuove alla Bara di S. Giuseppe», corrispondente alla cifra di carlini 30[20]. Questo dato importante ci fa dedurre che la statua di san Giuseppe, dopo qualche anno del suo arrivo da Napoli, veniva portata in processione.

Tale festività è attestata in tutte le annate dei libri dei conti fino al biennio 1811/12, a parte un vuoto dal 1808/09 al 1810/11, in quanto mancanti[21].

Nel 1836 ne fa cenno anche Bartolomeo Ravenna: «Vi si celebrano annualmente le festività di Santa Teresa, del Carmine, e del Patrocinio di San Giuseppe»[22].

Custodito in una teca di legno e vetro, il simulacro è intagliato a tutto tondo con grande perizia e tecnica. Il Sarno, nel rispetto della tradizione iconografica, lo rappresenta in una postura classica, di mezza età, con un folto casco di capelli, la barba ricciuta e la fronte corrugata. Il santo indossa una tunica con bavero di colore marrone; è avvolto in un manto ocra e denso di pieghe che avvolge il corpo per poi girare dietro, cadendo sulla base, come sostegno del simulacro stesso. Giuseppe tiene fortemente tra le braccia il bambino Gesù, parzialmente coperto da un panno decorato a racemi vegetali su una pellicola pittorica di colore verde chiaro. Il Bambinello protende il braccio destro con la manina aperta delicatamente verso il mento del santo, invece il sinistro, sospeso, crea una perfetta simmetria con gli arti inferiori.

La tensione naturalistica del Sarno si è concentrata sui gesti e sull’espressione, in particolare nello sguardo intenso del Santo che non osserva il Bambinello ma, perso nel vuoto e con la bocca semiaperta, è in procinto di parlare. Nel complesso la scultura è caratterizzata da un vigoroso plasticismo ed evidente gusto per le ricche forme corpose. L’inedito san Giuseppe (firmato e datato), fino a pochi anni fa completamente ignorato dalla storiografia, dipende da uno schema d’imitazione intimamente assimilato dalle opere di Giuseppe Picano, al quale il Sarno si ispirava, attingendo dal repertorio tradizionale innervando quelle che erano le antiche forme.

Le conformità stilistiche di san Giuseppe con le altre opere note dell’artista in vari centri della Campania, Puglia, Calabria e oltre, fino alla Spagna (soltanto recentemente si è venuti a conoscenza dell’esistenza di un bellissimo san Michele Arcangelo firmato e datato 1775, presso il monastero di santa Clara di Hellín (Murcia), la cui scoperta si deve alla studiosa Isabella Di Liddo [23]), appaiono evidenti, specie nella resa del panneggio, nello studio dell’anatomia e nel movimento delle figure.

Il poco conosciuto Giuseppe Sarno doveva risultare, nel suo tempo, un maestro molto celebre, come risulta dalle numerose commissioni documentate e dalle tante opere a lui attribuite[24]. Ancora scarne sono le notizie e le citazioni biografiche per delineare un profilo e inquadrare la sua formazione e lo sviluppo della sua bottega[25]. Sulla scorta, di queste osservazioni e del san Giuseppe, opera ‘certa’, di Giuseppe Sarno, credo si debba ora procedere a un esame delle due statue del san Michele Arcangelo e della Madonna Addolorata, argomento di discussione per gli studiosi di storia locale, riguardo la loro autenticità: il raffinato intaglio del san Michele e la dolcezza della Vergine; lo studio meticoloso delle forme; l’attenzione scrupolosa alle giuste proporzioni fra le diverse parti del corpo; il vario atteggiarsi degli aspetti esteriori che assecondano l’espressione dei sentimenti rappresentati; la posizione delle mani; lo studio delle dita affusolate e bene intonate alla figura nell’insieme, per la similitudine con le altre opere, datate e documentate, si può determinare l’autenticità prima e la paternità poi, al ‘nostro’ Giuseppe Sarno.

La presenza di queste opere dell’artista a Gallipoli, considerato uno dei più sensibili interpreti delle moderne istanze rococò alla fine del XVIII secolo, stanno a testimoniare rapporti intensi tra lo scultore e la committenza gallipolina. A rendere ancora più significativa la circostanza è la restituzione al pubblico del san Giuseppe, opera importante, riemersa dall’oblio, che va ad arricchire quell’immenso patrimonio artistico di Gallipoli e ad aggiungersi, insieme al san Michele Arcangelo e alla Madonna Addolorata, a quelle opere del Sarno finora sconosciute dalla bibliografia.

Note

[1] U. Di Furia, Il “San Francesco Saverio” di Bernardo Valentinoa Calvello: Opera inedita di un poco noto scultore napoletano, in Basilicata Regione Notizie, n. 119-120, Anno 2008, p. 217.

[2] G. Borrelli, Sculture in legno di età barocca in Basilicata, Napoli, Ed. Paparo, 2005; Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, catalogo della mostra, a cura di R. Casciaro e A. Cassiano, Roma, Ed. De Luca, 2007; I. Di Liddo, La circolazione della scultura lignea barocca nel Mediterraneo. Napoli, la Puglia e la Spagna. Una indagine comparata sul ruolo delle botteghe: Nicola Salzillo, Roma, Ed. De Luca, 2008; Sculture in legno in Calabria dal Medioevo al Settecento, catalogo della mostra, a cura di P. Leone de Castris, Napoli, Ed. Paparo, 2009.

[3] A. Faita, Gli scultori Verzella tra Puglia e Campania. Committenza e devozione, Galatina. Ed. Congedo, 2015.

[4] Cfr. G. Filangieri, Indice degli artefici delle arti maggiori e minori, la più parte ignoti o poco noti, sì napoletani e siciliani, sì delle altre regioni d’Italia o starnieri, che operano tra noi, con notizia delle loro opere e del tempo del loro esercizio da studi e nuovi documenti, vol.II, Napoli, p.426.

[5] G Borrelli, Il presepe napoletano, Napoli, Ed. De Luca-D’Agostino, 1970, p. 236.

[6] F. Mancini, Il Presepe napoletano nella collezione Eugenio Catello, Napoli, Ed. Sadea/Sansoni, 1967, s.n.

[7] G. Borrelli, op. cit., p. 107.

[8] bcg, p.muisen, Gallipoli e i suoi dintorni, Gallipoli, Tipografia municipale, 1870, p. 108; il nome del Sarno è citato da mons. Gaetano Muller nella visita pastorale effettuata all’oratorio confraternale il 7 luglio 1905, in adg, Visita pastorale di Mons. . Muller, Gen. 1903 - Lugl. 1907, p.319.

[9] acssg, Domenicale 1794-1826, Anno 1796 «8 detto [Maggio] giorno di Domenica dedicato alla festività del Glorioso S. Michele Arcangelo nostro Protettore si celebrò in detta nostra Congregazione la sua festa con pompa si celebrarono varie messe, e col Padre si cantò la messa con assistenza de ministri, e dopo si portò processionalmente alla Città la Statua di S. Michele. La tassa là fatta il Primo assistente Nicola Fontana ed il 2° assistente Domenico Pisanello», s.n.

[10] Ibdem, Anno 1797 «14 detto [Aprile] Venerdì Santo Radunati la matina li fratelli si fece la processione di penitenza per li Sepolcri, a Cappuccini portando La nuova Statua Maria Addolorata venuta da Napoli e dopo sene andarono in santa Pace», s.n.; g. f. mosco, Gallipoli - Venerdì Santo. Moviola per una processione, Tuglie, Tip. 5EMME, 2003, p. 14.

[11] G Borrelli, op. cit., p. 56.

[12] Ibidem, p.100; a. di lustro, Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano, in La Rassegna d’Ischia, n. 9/1987, s.n.

[13] F. Mancini, op. cit., s.n.; m. liaci, Simulacri sacri. Statue in legno e cartapestadel territorio C.R.S.E.C. di Ugento, a cura di Regina Poso, Taviano, GRAFEMA, 2000, pp.198-201.

[14] l. di San Gioacchino, Il culto di San Giuseppe e l’Ordine del Carmelo, Barcellona, 1905, c. 2, p. 48.

[15] C. Casole, Il Monastero delle Carmelitane scalze di Gallipoli, Manduria (TA), Tip. Tiemme, 1992, p. 63.

[16] Ibidem, p. 66.

[17] La prima fu proprio la cofondatrice e prima Maestra delle novizie, suor Maria di san Giuseppe, al secolo, Anna Maria Chirlingort, professata nel 1693.

[18] Acvg, Documentazione recuperata dal Nucleo Polizia Tributaria di Lecce, Carpetta n.1: Libro di introito ed esito del monastero di Santa Teresa per l’annata 1798-1799. Purtroppo non si dispone di altri documenti di introito ed esito antecedenti al 1798. Come ne anche presso l’archivio del monastero delle carmelitane.

[19] Ibidem, Patrocinio di S. Giuseppe: «Al Sigr. Chiriatti per la musica d.6; Panegirico d.2:50; Al Capitolo per l’assistenza d.7:50; Ai chierici, e Ministro della messa cantata c.80; facchino per i mantici, e sedie c.35; Al Fochista per mortaretti e Batterie d.9:50; Trombetta e due tamburri d. 1:90; Apparatura di chiesa d.1» tot. d.29:55

[20] Adg, Carpetta n.1: Libro di introito ed esito del monastero di Santa Teresa per l’annata 1799-1800. Minuta di spese.

[21] Ibidem, 1800/01, 1801/02, 1802/03, 1803/04, 1804/05, 1805/06, 1806/07, 1807/08, 1811/12.

[22] Cfr., B. Ravenna, Memorie istoriche della fedelissima città di Gallipoli, presso Raffaele Miranda, Napoli 1836, p. 385.

[23] I. Di Liddo, op. cit., p. 240.

[24] Cfr., E. Valcaccia, i Tesori Sacri di Castellammare di Stabia. La scultura del Settecento e dell’Ottocento, Castellammare di Stabia (NA), Ed. Longobardi, 2016, p. 48.

[25] Ibidem, p. 49.

* Fonte: Fondazione Terra d’Otranto, 19/03/2020 (ripresa parziale, senza immagini).


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