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CARMELITANI SCALZI ED ECUMENISMO: STORIA E MEMORIA. Ritrovato nel salernitano "file" perduto del tardo Rinascimento

mercoledì 24 aprile 2024
UOMINI E DONNE, PROFETI E SIBILLE, OGGI: STORIA DELLE IDEE E DELLE IMMAGINI.
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> CARMELITANI SCALZI ED ECUMENISMO: STORIA E MEMORIA. -- LA FRECCIA DI FUOCO ("IGNEA SAGITTA"). Omelia nella festa di San Giovanni della Croce (del P. Generale, Saverio Cannistrà, ocd).

martedì 15 dicembre 2020

San Giovanni della Croce

2020

di Saverio Cannistrà, ocd *

Carissimi,

permettete che in questa celebrazione mi rivolga in modo particolare ai nostri fratelli che stanno per dire il loro sì definitivo al Signore nel Carmelo Teresiano: a Justin delle Filippine, a John del Vietnam, a Domenico Savio della Corea, a Lukhirma e Jigneshkumar dell’India e a Jean Pierre del Madagascar. Le vostre persone, la vostra vocazione, la vostra presenza qui a Roma per compiere la scelta decisiva della vostra vita parlano molto di più delle mie parole. Ci dicono che il Carmelo teresiano è vivo, che il Santo di cui oggi celebriamo la festa non è solo una grande figura del passato, ma un modello di vita cristiana e religiosa, che giovani di oggi, provenienti dalle regioni più diverse del mondo, si sentono chiamati a imitare. E ciò non può non riempirci di gioia e di speranza,ma al tempo stesso ci chiede di saper leggere questi segni per rispondere adeguatamente alla grazia e all’amore fedele di Dio. È la nostra vocazione, quella che questi nostri fratelli vogliono vivere, la nostra maniera di stare con il Signore, di essere fratelli, di testimoniare e annunciare il Vangelo.

Ciò che ci unisce è certamente molto di più e molto più profondo di ciò che ci distingue: le culture, le lingue, i contesti sociali, gli stili di vita delle diverse circoscrizioni. Del resto, in un mondo globalizzato e fittamente interconnesso, come il nostro, le tradizionali diversità - con la loro ricchezza e complessità - sembrano lasciare il posto a una condizione omogenea, che ci appiattisce su una sola dimensione, quella economica. Diventiamo tutti uguali, in quanto produttori e consumatori, ma non per questo “fratelli tutti”, per riprendere l’incipit dell’ultima enciclica di papa Francesco.

Sempre di più la fraternità non è un dato, non è una condizione acquisita, ma un traguardo verso il quale camminare, sapendo che si tratta di un cammino in salita e controcorrente, che richiede molta fermezza, una chiara e forte motivazione, capace di resistere alle tendenze e tentazioni contrarie, che ci ricacciano nell’isolamento di una mentalità che tutto trasforma in oggettida possedere e consumare.

Voi, cari fratelli, state per fare la professione solenne. Tra qualche tempo sarete ordinati diaconi, poi presbiteri, comincerete a svolgere il vostro lavoro pastorale.Tutto ciò è bello, è una ricchezza che potrà far crescere voi e tante persone che vi incontreranno.

Ma da dove prenderà luce la vostra mente? da quale tensione sarà mossa la vostra volontà? da che cosa farete dipendere la vostra gioia e da che cosa la vostra tristezza? Per chi farete tutto questo? Non so se vi siete posti queste domande. Non so neppure se ve le porrete nei primi anni del vostro ministero. Sono forse domande che ci si pone quando si è un po’ più avanti negli anni, quando non si è più preoccupati di realizzare qualcosa, ma ci si confronta seriamente con ciò che si è o si è diventati. Oppure, quando accadono nella vita eventi sconvolgenti che ci costringono a porci domande di questo tipo.

La pandemia che stiamo vivendo può essere uno di questi eventi, con le restrizioni a cui ci obbliga, con la cancellazione dei nostri programmi e l’incertezza che regna sovrana sul nostro presente e sul futuro immediato. La pandemia è un fatto eccezionale, ma esistono fatti ben più frequenti e ordinari che ci mettono a prova, che saggiano la tenuta del nostro essere ministri ordinati, religiosi, cristiani e arrivano fino alla carne.

Sapete che nella tradizione del Carmelo uno dei simboli usati è quello della freccia infuocata, l’ignea sagitta. La grazia di Dio assume a volte questa forma di una freccia che perfora scudo, corazza, maglia ferrata e giunge a toccare la carne, ed è in questo contatto con la carne che il nostro cammino conosce una svolta, inizia una nuova tappa, un procedere che va più a fondo e più in alto.

Miei cari fratelli, nel pronunciare tra poco i vostri voti definitivi, sappiate che non state concludendo un ciclo di formazione, specialmente intellettuale, dopo il quale verrà l’esercizio autonomo di un’attività professionale, dalla quale ricevere prestigio e guadagni. Voi, nel dire che vi donate con tutto il cuore a questa famiglia iniziata da santa Teresa, voi scegliete di diventare nient’altro che fratelli scalzi della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo.

Chi di noi può dire di sapere oggi a che cosa esattamente assomiglia la vita di un fratello scalzo di Maria, qui a Roma o in India o in Vietnam o in Madagascar onei tanti altri luoghi in cui il Carmelo teresiano è presente? Esternamente, non c’è dubbio che vi troverete di fronte a situazioni molto diverse. Ma interiormente, credo proprio che i pericoli e le opportunità non saranno poi così differenti.

Un padre di questa comunità del Teresianum qualche giorno fa, parlando di San Giovanni della Croce, usava una bella immagine: colorare le pareti della propria mente. Tutto dipende da questo: di quali colori dipingerete le pareti non della vostra stanza o del vostro ufficio, ma della vostra mente, della vostra anima? E aggiungerei che per scegliere i colori giusti, quelli di una vita teologale, i colori della fede, speranza e carità, bisogna combattere e resistere ai colori che quasi automaticamente si stendono sulle nostre pareti più interiori, i colori, come direbbe Giovanni della Croce, del mondo, della carne, del diavolo.

Se non ci sarà un discernimento acuto e costante, un confronto aperto e sincero con le persone che il Signore ci ha messo accanto, come fratelli e come padri, se non ci sarà tempo e spazio per il silenzio e l’ascolto del Dio vivo nella propria interiorità, siate pur certi che le vostre menti saranno colorate e arredate secondo i desideri e le aspettative del mondo, anche se di un mondo rivestito di paramenti liturgici e risuonante di discorsi ecclesiastici.

Essere religiosi non è mai stato scontato, tanto meno oggi. Non lo si apprende né in cinque, né in nove anni di formazione iniziale. È il lavoro di una vita. A questo lavoro voi scegliete di dedicarvi facendo la professione solenne questa sera, in questo giorno in cui la Chiesa venera un nostro fratello, riconosciuto dottore universale, ma da noi in modo particolare venerato e amato come padre e maestro di vita carmelitana. Il mio augurio è che torniate spesso ad aprire il libro delle sue opere, a bere alla sua fonte, che è anche la nostra, per bagnare le vostre menti nella luce della sua sapienza celestiale e divina.

* Fonte: Omelia del P. Generale, Saverio Cannistrà, ocd, nella festa di San Giovanni della Croce. Professioni solenni (Teresianum-Roma)


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