Grecia classica
L’evoluzione della democrazia
di Paolo Pombeni (Il Sole-24 Ore, Domenica, 28.02.2016)
Quello sul “modello” costituito dalle democrazie della Grecia classica appartiene ai dibattiti infiniti. Capire cosa si sia veramente inteso con quel termine, indubbiamente creato in quel contesto, non è impresa facile visto l’uso e l’abuso che si è fatto delle ricostruzioni storiche e della sequela delle loro interpretazioni. Sempre più la domanda è stata se davvero i sistemi di governo che si affermarono durante l’età classica in quelle aree possano essere considerati gli antesignani del modo moderno di intendere la parola, o se si sia trattato invece di degradazioni che oggi chiameremmo populiste di contesti di governo che prima avevano conferito il potere ai migliori, sia pure con un certo appoggio popolare.
È dunque benvenuto questo agile libro di un grecista di vaglia come Maurizio Giangiulio che davvero mette a posto il tema per tutti coloro che vogliono capire questo passaggio tanto cruciale quanto delicato del percorso politico dell’Occidente. L’autore ha una più che notevole competenza sul tema, ma ha scritto un libro dove il rigore scientifico non va a scapito di una costruzione ben accessibile anche a chi non è uno specialista di storia dell’antichità classica.
Il punto di partenza è duplice: da un lato la grande questione sulle differenze, per dirla con una formula classica, fra la libertà degli antichi e la libertà dei moderni; dall’altro il peso che sul giudizio circa la natura della democrazia in Grecia esercitarono le opere dei suoi critici, a cominciare da quelli più illustri come Platone e Aristotele.
Giangiulio riporta la tematica alle sue profonde origini storiche, cioè l’evoluzione socio-economica di Atene, il cui potere in crescita si basava sempre più sia sull’esercito (gli opliti, cioè la fanteria pesante) sia sulla flotta, un’imponente struttura che arrivò al numero di 180 navi che nella famosa battaglia di Salamina imbarcavano fra i 20 e i 30mila addetti (ma che arrivarono poi a 50mila nei decenni seguenti).
Con una economia in espansione che si organizzava attorno al porto del Pireo con la sua costellazione di mestieri che lo rendevano efficiente, e con il coinvolgimento nella potenza militare diventava difficile escludere la partecipazione dei cittadini alle decisioni comuni. L’autore sfata la tesi che si trattasse di cittadini per così dire indolenti, che potevano vivere sfruttando il lavoro degli schiavi. Se esisteva indubbiamente una parte di economia a base schiavile, gran parte del popolo politicamente attivo era fatto di soggetti che esercitavano professioni per guadagnarsi la vita.
Ovviamente la democrazia in Atene, che è il suo luogo principe, non è un istituto fisso nel tempo, ma un sistema che viene evolvendosi in circa due secoli di storia. Al centro di questo percorso sta la figura di Pericle, l’ottimate che diventa il “principe democratico”. Ma poi il sistema si modifica e deve affrontare il tema del pagamento delle cariche, perché la politica sottrae tempo al lavoro e dunque reddito a chi le esercita.
La forza modellistica, almeno fino a un certo punto, della vicenda ateniese è testimoniata da quel che avviene in alcune città della Magna Grecia. I capitoli dedicati a Siracusa, Crotone, Turi e Taranto sono di grande interesse per capire proprio le geometrie variabili, se ci è consentita questa espressione, che ha trovato la forma democratica nel contesto delle colonie greche in terra italiana. Particolarmente interessante il caso di Turi, che è una sorta di “città progettata”, sul piano urbanistico da Ippodamo di Mileto e sul piano degli ordinamenti politici da Protagora di Abdera.
Un bel libro questo, che, senza indulgere ad alcun cedimento a facili parallelismi con l’attualità, ci riconsegna in maniera vivace e affascinante un percorso centrale nella formazione del Dna della coscienza politica occidentale.