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IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. In Parlamento (ancora!) il Partito al di sopra di tutti i partiti - quello più uguale degli altri.

venerdì 5 aprile 2024
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> IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. --- “Ormai siamo alle comiche”. Renzi si accorda con Berlusconi. La strategia di Matteo legata al Cavaliere

venerdì 17 gennaio 2014

La strategia di Matteo legata al Cavaliere

di Marcello Sorgi (La Stampa, 17.01.2014)

Alla fine di una direzione per forza di cose interlocutoria, nella quale i dissensi della vigilia non hanno realmente pesato, Renzi ha chiesto al Pd un rinvio sulla legge elettorale, legato evidentemente all’incontro con Berlusconi previsto per sabato. Va da sé che se riuscirà a chiudere l’accordo con il Cavaliere, il previsto dibattito sul sistema elettorale che il partito dovrebbe scegliere non si riaprirà. Se invece l’ex-premier prenderà tempo, o rilancerà, com’è nel suo metodo, ancorando l’eventuale intesa allo sbocco elettorale anticipato nella prossima primavera, le cose diventeranno più complicate.

Tra le file dei dirigenti del Pd, a bassa voce, erano in molti ieri a chiedersi cosa possa aver convinto Renzi ad ancorare in modo così stretto la sua strategia a Berlusconi. È possibile che gli incontri con Verdini, plenipotenziario del Cavaliere, lo abbiano persuaso che l’accordo è a un passo e tanto vale cominciare a preparare il partito a questa eventualità. Ma se poi Berlusconi, come ha fatto tante altre volte, si ritira o cambia idea? Era questo l’interrogativo che aleggiava nella sala della direzione democratica.

Il segretario ha spiegato che la sua proposta si articola in tre parti: nuova legge elettorale sì, ma all’interno di un quadro istituzionale che prevede, entro il 2015, anno in cui si dovrebbe tornare a votare per eleggere il nuovo Parlamento, anche la riforma, praticamente l’abolizione, del Senato, che verrebbe trasformato in una Camera non più elettiva ma composta dai rappresentanti delle autonomie locali, e la riscrittura del Titolo V, cioè il trasferimento di gran parte delle competenze statali alle regioni che tanti problemi ha sollevato in questi anni, dopo il primo ritocco, frettolosamente approvato dal centrosinistra nel 2001.

Se questa settimana si concluderà questa è almeno la previsione con l’appuntamento tra Renzi e il Cavaliere da cui dipendono le sorti della riforma elettorale, è nella prossima in realtà che dovrebbe sciogliersi l’intreccio tra questa trattativa, aperta, e l’altra sul nuovo patto di governo per il 2014 a cui ha ripreso ha lavorare ieri il premier Letta, appena tornato dal Messico.


Renzi si accorda con Berlusconi

Lo sconcerto della sinistra D’Alema uscendo lo gela “Ormai siamo alle comiche”

di Carlo Bertini (La Stampa, 17.01.2014)

Lo scontro più aspro si consuma nel finale di questo primo round di Direzione che avrà la sua resa dei conti lunedì prossimo. Quando Renzi nella replica liquida «la tripartizione governo-gruppi parlamentari-partito proposta da Speranza», dicendo «non è uno che tratta col premier e poi con i capigruppo, perché questa è la sede delle decisioni», il segnale arriva forte e chiaro. E ai bersanian-dalemiani annidati in sala non piace affatto quello che considerano il messaggio implicito, e cioè che a queste decisioni poi tutti si dovranno allineare. Così come non piace il rischio di rivitalizzare Berlusconi, «immaginate l’impatto simbolico di Berlusconi che entra nella sede del Pd mentre ancora non è chiuso l’accordo con gli altri», avverte il bersaniano D’Attorre.

Ma è sulle liste bloccate che, vieppiù se decise in accordo con Berlusconi, si rischia una spaccatura del partito. Perché il timore è che poi siano solo i leader a scegliere quali debbano essere i candidati e a scartare i non graditi. E invece il doppio turno di collegio o le preferenze svincolerebbero di più le minoranze dal pugno di ferro dei leader. «Se si deve tentare di forzare nel voto finale alla Camera, devono seguirti pure quelli della minoranza del Pd, mentre se è il solo segretario a decidere della tua sorte e non gli elettori, l’intendenza potrebbe non essere motivata a seguirti», è la minaccia dei bersaniani. Ed era stato proprio Speranza a invitare Renzi a puntare sul «doppio turno, un modo per unire il Pd e in quel caso tutto sarà più facile...».

E anche se il voto in Direzione si conclude con una vittoria schiacciante di Renzi, 150 sì e 35 astenuti sulla sua relazione, lo scontro potrebbe scaldarsi nel redde rationem parlamentare di questa partita cruciale sulla legge elettorale, che il leader si gioca sapendo di rischiare «il tutto per tutto». È giocata «con azzardo, non si gestisce un partito così, nei gruppi la maggioranza l’abbiamo noi, non può pensare di travolgerci tutti», sibila un dalemiano uscendo infastidito dal salone al terzo piano del Nazareno.

Insomma lo sconcerto della sinistra è palpabile, «siamo alle comiche», è il commento gelido di D’Alema con un compagno di partito, dopo la relazione del segretario. Un primo assaggio del fuoco amico va in scena dal palco, anche se in platea il sospetto è che un minuto dopo il varo di una nuova legge elettorale, il leader Pd staccherà la spina al governo. «Quella non può essere una clava su cui costruire un tranello per l’esecutivo», attacca l’ex responsabile giustizia Danilo Leva. Ma la sinistra parla con una voce sola, le stesse cose chiedono Cuperlo, i bersaniani Fassina e D’Attorre, e cioè sì al doppio turno, no al tandem con Berlusconi e un sostegno pieno e «convinto» ad un esecutivo da rinnovare però totalmente, sempre a guida Letta.

Ma dietro le quinte c’è pure chi ammette che «comunque Renzi è stato abile. Ha smontato la critica che lui vorrebbe far cadere il governo, chiedendo un mandato sul pacchetto di riforme che comporterebbe un anno di lavoro ed è chiaro che sta alzando il tiro nella stretta finale della trattativa».

Fatto sta che Cuperlo fa notare che «è impossibile proseguire con l’elegante retorica del Bruto è uomo d’onore», perché «non è dato in natura un governo che non abbia un sostegno visibile e convinto del primo partito della coalizione. E non basta la formula “ok se fa bene, se no si stacca la spina”. Di fronte al rischio di un logoramento progressivo del governo, sarebbe saggio valutare le ragioni non di un rimpasto, ma di una vera ripartenza, verificando l’ipotesi di un nuovo esecutivo presieduto da Letta per un recupero di autorevolezza e prestigio». Ci pensa Fassina ad usare toni più tranchant, perché «questo governo sembra figlio di nessuno e non esiste che un governo sia sostenuto da chi ha perso il congresso».


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