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> IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. --- PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA. Il nuovo inquilino e la casa comune (di Guido Crainz)

martedì 20 gennaio 2015

Il nuovo inquilino e la casa comune

di Guido Crainz (la Repubblica, 20.01.2015)

C’È QUALCOSA che sembra mancare, nel dibattito sul futuro presidente della Repubblica: la piena consapevolezza del ruolo che dovrà svolgere in un quadro costituzionale destinato a mutare, poiché stiamo andando verso un superamento del bicameralismo paritario.

CON questo superamento, connesso ad un sistema elettorale fortemente maggioritario, diventano ancor più importanti le figure e gli organi di garanzia: in primo luogo il capo dello Stato e la Corte costituzionale. Se così è, fra l’altro, appare fondata l’ipotesi di inserire nella riforma costituzionale l’innalzamento del quorum necessario per l’elezione del presidente.

L’alternarsi dei nomi possibili non deve dunque oscurare la vera questione che è in gioco, esattamente come lo è nel dibattito sul bicameralismo: la possibilità stessa di rimodellare la Repubblica. E la assoluta responsabilità che è necessaria nel metter mano alla casa comune. In questo scenario, diverso dal passato, si colloca dunque la discussione sulla qualità e il profilo del futuro presidente, ma si colloca anche - o si do- vrebbe collocare - un mutamento radicale nella mentalità e nei comportamenti dei “grandi elettori”. Senza sciogliere questo nodo affonderebbero anche buone candidature: e il far prevalere logiche di corrente o altri fini, se non ritorsioni, sarebbe un vero attentato alla Costituzione che si pensa di riscrivere.

La partita che si è aperta è indubbiamente difficile, e qualcosa accresce il senso di insicurezza: nella tormentata transizione iniziata nel 1994 sono stati fondamentali tre presidenti che hanno respirato l’aura della fondazione della Repubblica, intrisi della cultura che ha presieduto ad essa. O meglio, delle diverse culture che l’hanno ispirata e ne hanno garantito l’attuazione: la cultura cattolica, quella laica e azionista, e quella comunista (del comunismo italiano, capace di assumere progressivamente la Costituzione come valore primario).

Oggi questa preziosa risorsa si è inevitabilmente esaurita, ed è legittimo sentirne la mancanza: tanto più che in settant’anni il ruolo del presidente è indubbiamente mutato. Certo, non ha svolto quasi mai quel ruolo di “notaio” che Luigi Einaudi aveva incarnato e che periodicamente viene invocato: non è stato così, ad esempio, in una gran parte della “prima repubblica” (da Gronchi a Pertini, per tacere di Segni o di Cossiga).

Con il suo crollo poi il quadro cambia profondamente e di fronte all’anomalo centrodestra berlusconiano, poco rispettoso e talora estraneo alle regole, è diventato sempre più importante il ruolo di garanzia del presidente. Ben lungi dal poter esser “notarile” esso ha comportato invece un impegno attivo, talora di contrasto a misure illegittime o confliggenti con lo spirito e la lettera della Carta.

Sin dall’inizio, sin dalla lettera che Oscar Luigi Scalfaro inviò nel 1994 a Berlusconi, incaricato di formare il suo primo governo: lo impegnava al rispetto della Costituzione e dell’Italia “una e indivisibile”, oltre che delle alleanze internazionali e della “politica di pace”.

Lettera senza precedenti, ma resa necessaria dagli umori secessionisti cavalcati allora dalla Lega e dalla richiesta di rompere il trattato di Osimo sul nostro confine orientale avanzata dal Movimento Sociale.

E fu provvidenziale anche il veto posto a Cesare Previti come ministro della Giustizia. Era solo l’inizio di una storia ventennale in cui presidenza della Repubblica e Corte costituzionale si sono trovate a fronteggiare le iniziative di Berlusconi che più apertamente stridevano con la Costituzione: del resto la considera scritta da «forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello» (parole sue).

Non andrebbero mai dimenticati i non lontani tempi delle leggi ad personam sul sistema televisivo e sulla giustizia (sino ai lodi di Schifani e di Alfano), e c’è proprio da sperare che non ritornino. Che non sia necessario porre continui argini ad anomalie e a pretese anticostituzionali ma sia possibile davvero rimodellare le istituzioni della Repubblica. Prendendo avvio dal primo fondamento: il senso di responsabilità istituzionale di coloro che sono chiamati a farlo. Questo Parlamento ha la possibilità di dare al Paese il segno di una svolta, dopo le pessime prove di due anni fa: auguriamoci tutti che ne sia capace.


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