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IL SOGNO DI UNA "COSA" DI BENEDETTO XVI: UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI". Cinque note per un Convegno

giovedì 2 maggio 2013
CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!
Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2012, cinque note a margine
di Federico La Sala *
1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna (...)

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> UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI". --- IN NOME DEL DIO-RICCHEZZA("CARITAS")! Mettere al primo posto l’esperienza dell’amore fraterno (di Bruno Forte)

lunedì 5 novembre 2012

Mettere al primo posto l’esperienza dell’amore fraterno

di Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto *

Ho partecipato al Sinodo dei vescovi, da poco tenutosi in Vaticano, dedicato al tema della nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Ero uno dei 262 Padri sinodali, in rappresentanza di 114 Conferenze episcopali di tutto il mondo, oltre che della Curia romana, raccolti intorno a Benedetto XVI, che questo Sinodo ha voluto, partecipandovi con assiduità e contributi molto significativi.

Ho capito più che mai, dal vivo, perché Paolo VI aveva istituito questa forma di collegialità al servizio della Chiesa intera: essa doveva far rivivere a scadenze regolari qualcosa della straordinaria esperienza che fu il Concilio Vaticano II, vera Pentecoste dei tempi moderni. Nel Sinodo tante sono state le voci ascoltate: oltre 400 gli interventi, compresi quelli degli invitati, dei delegati di altre Chiese e comunità ecclesiali, e quelli fatti durante la discussione libera, voluta proprio dal Papa teologo, dotato di una singolare capacità di ascolto, esercitata in anni di riflessione sui temi della fede e sulle grandi domande del cuore umano.

Lo spirito del Vaticano II ha aleggiato con dovizia sui lavori, con punte di creatività feconda. Mi fermo a evidenziare tre aspetti, che hanno reso specialmente viva e attuale la memoria dei cinquant’anni trascorsi dall’apertura del Concilio.

Il primo riguarda l’esperienza ricchissima delle diversità in comunione. Essa appariva già a livello linguistico: oltre il latino, usato per le relazioni ufficiali e le proposizioni finali, sono risuonate le principali lingue della comunicazione planetaria, a cominciare dall’italiano, la più usata fra i Sinodali di ogni parte del pianeta, insieme all’inglese e allo spagnolo. A presiedere l’assemblea c’erano tre Cardinali delegati dal Papa, un Cinese, deliziosamente affannato alle prese con il latino, un Messicano e un Africano, che invece padroneggiava la lingua di Cicerone come fosse la propria. Non c’era area del "villaggio globale" che non fosse rappresentata.

Eppure, questa congerie di persone diversissime per storia, cultura, esperienze politiche e tradizioni locali, ha mostrato di essere un cuor solo e un’anima sola, nella preghiera, nell’ascolto del Successore di Pietro, nella testimonianza di una comune passione per la causa di Dio in questo mondo e l’annuncio della bellezza del Vangelo a ogni creatura.

La "globalizzazione", comunemente intesa nel suo profilo socio-economico, è stata vissuta al Sinodo come un’esperienza unica di coappartenenza a una stessa umanità, vissuta come famiglia di Dio, raggiunta dal dono del Suo amore in Cristo nella varietà delle mediazioni storiche e culturali. Il continuo scambio - amplificato ancor più nei lavori dei "circuli minores" - ci ha dato più volte l’impressione intensa di un ritrovarci fraterno, radicato nell’incontro che ha cambiato la vita di tutti e di ciascuno, quello col Risorto, vivo e presente per la fede nei nostri cuori.

Questa singolare esperienza di diversità in comunione si è espressa anche nel modo con cui il Sinodo ha guardato ai destinatari dell’evangelizzazione: nessun atteggiamento da crociata o da roccaforte da difendere, quanto piuttosto una simpatia larga, accogliente, convinta, pervasa dal desiderio di dare ad altri quanto ha riempito di senso e di bellezza il cuore e la vita. Anche se non sono mancate le analisi delle difficoltà e le denunce delle situazioni di crisi etica e spirituale, si avvertiva fra i Padri una volontà di guardare al bene ovunque presente, di costruire ponti di dialogo e di amicizia con tutti, di scommettere sul quel misterioso e straordinario collaboratore di Dio, che è il cuore umano.

Come testimonia Agostino all’inizio delle sue Confessioni, è all’Eterno che siamo profondamente destinati: «Ci hai fatto per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in Te». Quello che ho avvertito nei più è stata la profonda esperienza di questa umanità in ricerca: se sul piano dellecompetenze presenti fra i vescovi si andava dagli ex professori universitari all’Accademico di Francia, dagli esperti di teologia e filosofia a quelli delle scienze umane, fino a pastori ricchi solo (ed è patrimonio immenso, forse il più importante) di vita condivisa con la gente, sul piano dell’esperienza era il mondo intero a farsi presente fra noi, un mondo che - agli occhi di chi crede - è quello che Dio ha tanto amato da dare suo Figlio per noi.

Proprio perciò lo sguardo è stato quello di un’attenzione amicale, di un impegno motivato unicamente da amore e finalizzato a servire e promuovere la causa di Dio e quella dell’umanità dell’uomo nella loro inseparabilità. Un esempio in tal senso è stata l’attenzione riservata ai divorziati risposati e alle loro famiglie, verso cui più interventi hanno voluto ribadire l’assicurazione di appartenenza alla Chiesa madre, nell’abbraccio dell’amore misericordioso e fedele di Dio, che induce a valorizzare al massimo la condizione di comunione spirituale, che li rende comunque protagonisti e artefici della vita ecclesiale specialmente nella trasmissione della fede ai figli.

Mi ha colpito, infine, l’intensità con cui è stata riconosciuta da tutti la portata della sfida della nuova evangelizzazione, sia dei popoli di antica cristianità, che di coloro cui ancora non è giunto in maniera credibile il dono del Vangelo. È qui che mi sembra sia emerso il senso vero dell’aggettivo posto davanti al sostantivo evangelizzazione: non si tratta di una novità cronologica, quasi che si voglia fare quello che prima non si era mai fatto, secondo il significato di novità temporale, espresso nel greco del Nuovo Testamento col termine "neòs".

Ciò che è veramente in gioco è la novità di un cuore "nuovo", capace di nuovo ardore, di creatività e audacia nuove, secondo il senso della novità qualitativa o escatologica, che il greco biblico esprime con l’aggettivo "kainòs". È la novità del "comandamento nuovo" datoci da Gesù, l’"entolé kainé": il comandamento è nuovo non perché chieda quello che prima non veniva richiesto, l’amore di Dio e del prossimo, ma perché lo chiede a cuori resi nuovi dal dono dello Spirito. In altre parole, questo Sinodo ha domandato alla Chiesa di rinnovarsi nella fede e nella carità, di intraprendere cammini umili e coraggiosi di conversione pastorale, che metta al primo posto l’esperienza dell’amore fraterno, della carità verso Dio e verso i poveri, e lasci trasparire il Vangelo attraverso testimonianze contagiose di gioia e di bellezza.

Su quest’ultimo punto si è molto insistito: agli uomini e alle donne del nostro tempo, soprattutto ai giovani, va testimoniato in maniera convincente che Cristo non è solo la verità e il bene, ma è anche il Pastore bello, che riempie la vita di significato e di passione. Credere in Lui, seguirlo, è bello: e questo vale per tutti, nessuno escluso. Lungi dall’avere un tono intellettualistico o "élitario", l’insistere sulla bellezza di Dio è proposta rivolta a tutti, a cominciare dai poveri, perché essi non meno di altri hanno diritto alla bellezza e sono capaci di esprimerne singolari volti nella vita e nelle opere della loro fede. Proprio così, la causa del Vangelo può interessare veramente ogni cuore, offrendo ragioni di speranza a ciascuno, motivando il senso e la bellezza dell’impresa collettiva, da cui nessuno può sentirsi escluso.

* Il Sole 24 Ore, 4 novembre 2012


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