Povertà e obbedienza, il rinnovamento di un conservatore popolare
di Gennaro Carotenuto (il manifesto, 17 marzo 2013)
Jorge Bergoglio, papa Francesco, è quello che in Argentina si definisce un «conservatore popolare», un esponente tipico della destra peronista. Ha diretto e rinnovato con successo la chiesa argentina senza modificarne il segno politico conservatore.
È l’erede materiale e spirituale di Karol Wojtyla e, per i cardinali che lo hanno eletto in conclave, deve essere apparso una scelta perfetta su più d’uno dei fronti aperti per la chiesa cattolica. Ha le doti per metter fine ai veleni curiali che secondo lo Spiegel hanno portato al «fallimento» Benedetto XVI ma è sufficientemente anziano per rappresentare un nuovo papato di transizione in termini di durata.
Può rilanciare il cattolicesimo in un continente assalito dalle chiese protestanti conservatrici, vera emergenza che dall’Europa ignora. Per alcuni rappresenta un’alternativa conservatrice ai governi progressisti e integrazionisti latinoamericani. Bergoglio viene da lontano.
Fuor da demonizzazioni e santificazioni non ebbe un ruolo apicale nella chiesa argentina complice della dittatura. È una storia di lacerazioni, drammi, crimini, persecuzioni. Al contrario delle chiese cilena e brasiliana, le gerarchie argentine furono le peggiori, complici e perfino mandanti di violazioni di diritti umani.
Appena un mese fa una sentenza della magistratura chiama in causa il primate dell’epoca, Cardinal Raúl Primatesta e il nunzio apostolico Pio Laghi nell’assassinio del vescovo Enrique Angelelli e dei sacerdoti Carlos de Dios Murias e Gabriel Longueville.
Furono almeno 125 i religiosi impegnati a fianco degli ultimi a essere eliminati, spesso indicati ai carnefici dalle stesse gerarchie cattoliche, Tortolo, Primatesta, Aramburu. È in questo ambito sinistro che azioni e omissioni vanno misurate.
I gesuiti ne restano al margine ma alcune accuse raggiungono Bergoglio. Le formulano personaggi autorevoli come Horacio Verbitsky, il gesuita Luís «Perico» Pérez Aguirre, che gli imputa soprattutto una svolta di destra della Compagnia, Olga Wornat, Emilio Mignone, una delle più cristalline figure di difensore dei diritti umani in Argentina, Bergoglio «è uno di quei pastori che hanno consegnato le loro pecorelle».
In particolare è accusato di avere abbandonato al loro destino due giovani parroci gesuiti sul crinale tra difesa dei poveri e guerriglia. Sono desaparecidos per cinque mesi. Uno dei due lo accusa: «Bergoglio se ne lavò le mani. Non pensava che uscissi vivo». Un solo episodio e qualche voce non bastano.
Bergoglio non fu né un Aramburu né un Von Wernich ma neanche un padre Mujíca, uno dei sacerdoti assassinati. Sta in una zona grigia, un quarantenne in ascesa, in una chiesa argentina dove si mandava a uccidere o si rischiava di essere uccisi. Più di ciò il papa, che ha sintetizzato in un giudizio critico quegli anni, fu sempre riluttante a testimoniare in molteplici inchieste e processi per violazioni di diritti umani.
Scelse di denunciare il peccato ma non il peccatore e quando il sacerdote Christian Von Wernich fu condannato all’ergastolo per 42 sequestri, 7 omicidi e aver personalmente torturato 32 persone Bergoglio scelse di non aggiungere altra sanzione a quella della giustizia terrena.
Negli anni nei quali padre Arrupe, il papa nero, viene ridotto all’impotenza da Giovanni Paolo II, lavora per spostare in senso conservatore la Compagnia di Gesù. Ha già una relazione privilegiata con Karol Wojtyla.
Il successore di Primatesta, Quarracino, lo nomina ausiliare. Strana coppia. Votato ai piaceri della vita e all’ostentazione della ricchezza, il primate è amico personale di Carlos Menem. L’ausiliare invece fa il vescovo, forma il clero ed è attento al popolo delle villa miseria. Hanno relazioni cordiali ma distanti e per Bergoglio è l’unica maniera di tener fede sia ai voti di castità e povertà che a quello di obbedienza.
La successione giunge nel 1998. Vi emergono le caratteristiche che oggi lo portano al soglio pontificio: il pugno di ferro che ne fa uno spauracchio ora per la curia romana, la marcata preoccupazione sociale, la critica alla politica.
Soprattutto Bergoglio - ed è un punto di forza rilevante - è vicino al suo clero, perfino alle pecorelle smarrite come il vescovo Jerónimo Podestá, ridotto allo stato laicale per la relazione con una donna, ma al quale rimase vicino umanamente fino alla fine.
Ma chi è davvero Jorge Bergoglio che comincia il suo cammino di Vescovo di Roma con un passato così pesante? Integralista di destra mette i poveri al centro del suo apostolato. Vicino alla dittatura rende omaggio ai sacerdoti assassinati da questi ultimi.
È una carriera controcorrente, conservatore in un ordine considerato progressista, primo gesuita primate argentino, primo gesuita papa, primo papa latinoamericano.
Nemico dei progressisti e lontano dagli organismi per i diritti umani, esige dallo Stato educazione cattolica ed è contrario ai contraccettivi. Nessuno può accusarlo di non onorare i propri voti, in particolare quello di povertà, è lontano dagli stereotipi.
L’attenzione di Bergoglio per i poveri è di stampo infaticabilmente caritatevole, mai politico. Se bisogna rifuggire sia l’interpretazione tenebrosa del complice della dittatura tout court che quella di un papa scelto per fermare il cambiamento in America, Bergoglio è una figura ben diversa da quella di Ratzinger e con tratti di forte continuità con Karol Wojtyla. Questo combatté e vinse la battaglia con la teologia della liberazione senza comprenderne le ragioni, per perdere poi quella con le chiese protestanti. È lì che va atteso fin dal prossimo viaggio in Brasile il nuovo papa.