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MANDELA E LA FILOSOFIA. Lettera a Primo Moroni (in memoria) da ’Johannesburg’ - di Federico La Sala

domenica 15 dicembre 2013
Un breve saggio (in pdf). Cliccare sul titolo per aprirlo (e leggerlo):
"CHI" SIAMO NOI IN REALTA’. Relazioni chiasmatiche e civiltà. Lettera da ‘Johannesburg’ a Primo Moroni (in memoriam)

Sul tema, nel sito, si cfr.:
UBUNTU: "Le (...)

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> MANDELA E LA FILOSOFIA. - OLIMPIADI DI FILOSOFIA. Apriamo gli studenti all’ubuntu (di Luca M. scarantino)

lunedì 6 giugno 2016

OLIMPIADI DI FILOSOFIA

Apriamo gli studenti all’ubuntu

-  di Luca Maria Scarantino (Il Sole-24 Ore, 05 giugno 2016)

Donna non si nasce, lo si diventa: commentando questa celebre massima di Simone de Beauvoir, due liceali della Corea del Sud hanno vinto le Olimpiadi mondiali di filosofia. La terza medaglia d’oro, ex-aequo, è andata a uno studente turco, autore di un saggio sulla logica di Aristotele. Nessun paese aveva mai ottenuto due primi posti in una stessa edizione.

Leggendo gli elaborati nello splendore fiammingo di Gent, ripensavo alle parole di un collega della giuria. «Stanno vincendo», mi aveva detto il giorno prima, mentre i militari belgi in tenuta di guerra ci perquisivano in prossimità dell’aeroporto di Charleroi: nell’Europa sotto attacco siamo noi le armi che i nostri nemici stanno preparando. Non si tratta solo di abitudini quotidiane sconvolte da questo stato d’assedio strisciante. È la crescente tentazione di chiudersi, di ripiegarsi in una tradizione, in un’identità, di restringere il proprio mondo a un insieme circoscritto, rassicurante, quasi tribale di coordinate culturali. Gli scritti dei liceali venuti a Gent da tutto il mondo per comporre un breve saggio di filosofia dicevano cose molto diverse.

«Ogni volta che devo barrare una casella, la società mi impone di scegliere “femmina”; eppure tutto dentro di me si sente maschio»: inizia all’incirca così uno degli elaborati vincitori. «Sono donna perché da diciassette anni la società mi impone di esserlo... ma ogni donna dovrebbe battersi non solo per il diritto di diventare donna, ma anche per quello di non diventarlo»: parole decise, coraggiose e piene di vita di ragazze e ragazzi coreani, svizzeri, norvegesi, croati che non hanno paura di esplorare i propri sentimenti e la propria identità di genere, servendosi della filosofia per capire meglio se stessi e la società in cui vivono. Oltre metà delle medaglie d’oro e d’argento, compresi due dei tre vincitori, sono andate a saggi dedicati a questi temi. Non è strano che adolescenti cerchino di costruirsi, né che si interroghino sul proprio rapporto con la società che li circonda; ma è evidente che la rilevanza sociale delle questioni di genere sta diventando un fenomeno universale, parecchio sentito da questi ragazzi che si chiedono in modo consapevole quanto siano pertinenti per la loro vita le norme tradizionali che regolano l’identità di genere: e lo fanno con stili, convinzioni, tesi e conclusioni assai diverse.

Alcuni colleghi europei si chiedevano quanto gli studenti giapponesi, indiani, coreani o cinesi conoscano la tradizione filosofica occidentale. I saggi arrivati in finale ci dicono che maneggiano assai bene Aristotele e Putnam, Locke e Wittgenstein, Foucault, Heidegger, Sartre e Derrida, la tradizione analitica e il pensiero femminista... Questa familiarità con altri mondi, unita a sistemi educativi particolarmente efficaci, aiuta a capire i ripetuti successi degli studenti asiatici.

Chiediamoci allora quanto i nostri studenti, liceali o universitari, conoscano delle altre culture e siano esposti al confronto con esse. Cosa sanno i ragazzi italiani (e prima ancora: cosa sappiamo noi) di Nishida, Wonhyo, Dasan, Laozi, dell’ubuntu, di Senghor, Iqbal e di tanti altri autori e autrici di formidabile rilievo teorico e culturale? Qualcosa si muove, certo; le iniziative rivolte ad aprire l’insegnamento della filosofia e delle scienze umane in senso interculturale non si possono più trascurare; e l’Italia non sta peggio di altri paesi europei. Eppure, troppo spesso si continua a identificare la filosofia con la filosofia occidentale.

È tesi corrente, in Italia e non, che molte delle espressioni culturali non occidentali siano forme di spiritualità, di religiosità, di saperi tradizionali - ma non siano filosofia. Può darsi. Ma da sempre il pensiero filosofico trae la propria forza dalla capacità di integrare una pluralità di forme e pratiche culturali, sino a fondersi con esse: si pensi all’indissolubile rapporto con la religione che ha caratterizzato gran parte del pensiero occidentale, o all’importanza dell’astrologia che attraversa l’intero Rinascimento. Certo, proprio questi saperi, una volta esaurito il proprio ruolo storico, sono stati rifiutati, evacuati dalla comprensione storica del pensiero filosofico: al punto che oggi non siamo quasi più in grado di riconoscerli.

Ma a cosa può aspirare oggi una filosofia che si mura entro un’unica tradizione, lasciando fuori e anzi respingendo oltre i propri confini intere tradizioni spirituali e di pensiero? Davvero vogliamo escludere dall’ambito del pensiero filosofico interi secoli di storia della cultura, abbandonare ad altre discipline lo studio del sufismo, del confucianesimo, delle tradizioni dell’India? Aprire invece, viene da pensare, spalancare le porte della propria mente a culture, filosofie, letterature, religioni di tutto il mondo, anche a costo di scardinare alcuni riflessi culturali ben radicati nella tradizione europea: è di questo che hanno bisogno questi ragazzi per competere nel mondo di oggi e di domani.

La Corea raccoglie i frutti di decenni di investimenti in cultura, educazione, scienze; ed è comunque probabile che già l’anno prossimo si abbiano vincitori di paesi diversi. Eppure, da uno dei più suggestivi borghi della vecchia Europa giunge un segnale da non sottovalutare: al netto di facili generalizzazioni, molti ragazzi extra-europei, e asiatici in particolare, sembrano assai meglio preparati a muoversi nella complessità del mondo di oggi. Ne capiscono e ne affrontano di petto i problemi, le esigenze, le difficoltà. Anche con qualche ingenuità, certo. Ma non hanno alcuna paura di mettersi in gioco: sono gay, ci dice la ragazza coreana con inesorabile forza argomentativa, e se la società vuole a tutti i costi fare di me una donna, allora la società va cambiata. Chissà se i risultati delle Olimpiadi di Gent saranno motivo di stimolo e di accresciuta apertura anche per il nostro sistema educativo.


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