L’universo e il diverso
Scrive Virgilio Melchiorre in Metafisica dell’eros (Vita e Pensiero): "Forse la malattia più antica dell’Occidente sta proprio in questo: nella considerazione indifferenziata dell’unità e quindi nel conseguente rifiuto delle differenze e delle individuazioni".
di Umberto Galimberti *
L’unicità dell’uomo passa attraverso la responsabilità individuale riconosciuta non solo dalla giustizia ma anche dal fatto che la scienza ha dovuto riconoscere che il trapianto di organi è sì possibile, ma a patto che si sopprima la reattività individuale e specifica di ogni essere umano verso l’altro. Una natura siffatta non ammette il razzismo e l’odio religioso che, oltre a essere privi di ogni logica e buon senso, basterebbe questo, vieta ogni sua legittimità dal punto di vista biologico. Affermare il contrario significa tradire e rinnegare la chance della diversità, ma non dell’inferiorità. Spesso sento affermare come massimo della convivenza il termine tolleranza che a mio avviso è quanto di più discriminatorio e minimalista vi sia. Accettazione, riconoscimento, integrazione sono le fasi che devono costituire un percorso di comprensione e convivenza.
Perciò viva il diverso in quanto espressione autentica di potenziale umano atto ad esprimersi nelle situazioni diverse e adatto a indicare la strada ad altri sconosciuta, anche se il prezzo che dobbiamo pagare è la rinuncia definitiva a un esperanto sensibile che uniformi le coscienze e omologhi i comportamenti. Poco male.
Mauro Naldini
mauro.naldini@gmail.com
Sulla difficoltà di noi occidentali a recepire la diversità le racconto una storia. Tra le popolazioni amerinde, i Guaranì erano quelli che più degli altri la sapevano lunga a proposito dell’infelicità, e questo assai prima che arrivassero gli occidentali che, al riguardo, non insegnarono loro nulla. "Le cose nella loro totalità sono una, e per noi che non abbiamo desiderato questo, sono cattive." Così andava ripetendo lo sciamano dissipando l’enigma dell’infelicità. Ad ascoltarlo erano gli Ultimi Uomini, come i Guaranì con orgogliosa e amara certezza amavano chiamarsi. Essi vagabondavano, infelici, nel folto di una foresta paraguayana, alla ricerca della "Terra senza il male dove mai sarà ospitato un dio che sia solamente un dio, né un uomo che sia solamente un uomo, perché nulla di ciò che esiste può essere detto secondo l’Uno".
Articolazione inattesa, sussulto per il pensiero occidentale che fin dalle sue origini s’è messo a inseguire l’unità del molteplice, il "principio di tutte le cose", nel tentativo di costruire quell’Universo capace di dissolvere in sé ogni diverso, ogni pluralità, ogni differenza.
Per Platone era addirittura "fonte di letizia spingere a forza nell’Uno le varie forme molteplici" (Filebo 15 e), e da allora in poi, per quanto riconosciute, pluralità e differenze sono state per un verso o per l’altro rimosse, perché ridotte a semplici occasioni per dileguare nell’Uno. L’Uno divenne così il luogo da cui disprezzare il diverso che, in questo modo, condusse in Occidente un’esistenza depotenziata a pura numerazione matematica, scandita dalla categoria della quantità. Qui la metafisica e la fisica hanno stretto tra loro una santa alleanza.
Anche se i Guaranì questo non lo sapevano, guardavano comunque all’Occidente come alla "Terra del male". Per loro il male era l’applicazione rigorosa del principio di identità, perché nominare l’identità delle cose, onde poterle raccogliere nell’unità del genere, e i generi nell’universo dell’Uno, significa designare il mondo determinandone gli esseri: "questo è questo e non un’altra cosa". Significa irridere la vera potenza segreta che silenziosa circola tra le cose per cui: questo è nello stesso tempo quello, gli uomini sono nello stesso tempo dèi.
Ci informa l’antropologo Pierre Clastres che gli indiani Guaranì vagabondavano ancora, or non è molto, alla ricerca della loro Terra senza il male che supponevano laggiù a Oriente, o come loro dicevano "dalla parte del nostro volto", dove scoprirono che non c’era la Terra senza il male, ma la terra dove "il mare se ne era andato col sole". L’Occidente?
Gli Ultimi Uomini lo ignoravano, ma infaticabili tornavano nella loro foresta ripetendo a se stessi: "Noi che sappiamo ingannevole il nostro linguaggio, che non abbiamo risparmiato sforzi per raggiungere la patria del vero linguaggio, la dimora degli dèi, la Terra senza il male, dove nulla di ciò che esiste può essere detto secondo l’Uno".
Oggi non sono che un piccolo numero, e nel loro vagare inconcluso si chiedono se non stanno vivendo la morte degli dèi, la loro propria morte. "Siamo gli Ultimi Uomini", vanno ripetendo e non abdicano, non rinunciano, non conoscono il peso del fallimento, la ripetizione dell’infelicità. Forse gli dèi torneranno a parlare, e forse in qualche angolo remoto della foresta uno di loro "abitato dal dio" sarà intento ad ascoltare il loro discorso e a ripetere l’antica premessa.
Or non è molto che Tupan, signore della grandine, della pioggia e dei venti, inviò uno di loro a far risuonare nella notte l’ultimo messaggio: "Io Tupan vi do questi consigli. Se una di queste sentenze rimane nelle vostre orecchie conoscerete le mie tracce. Soltanto così raggiungerete la meta che vi fu indicata. Coloro che noi mandiamo sulla terra imperfetta li facciamo prosperare. Troveranno le loro future spose e avranno dei figli affinché possano conquistare le parole che sorgono da noi. Se non le conquisteranno non avranno alcun bene". "Tutto questo noi lo sappiamo", risposero gli Ultimi Uomini, ma Tupan li interruppe: "Io me ne vado lontano, non mi vedrete più. Ma voi non perdete i molti nomi".
* Risponde Umberto Galimberti: La Repubblica/D, 12.04.2008, p. 230.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’ILLUMINISMO,OGGI. MONOTEISMO, CRISTIANESIMO E DEMOCRAZIA...
ARCHEOLOGIA, MATEMATICA, E FILOLOGIA: "VERE DUO IN CARNE UNA" (Gen. III, 24).
LE CATENE OMERICHE DEL FABBRO (EFESTO) E LA FILOSOFIA DELL’#UNO (E DEI MOLTI) DELL’AMORE DI PLATONE: "NON più DUE, ma UN’ANIMA SOLA"!
"#ARISTOFANE: [...] queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza. Se, mentre sono insieme, EFESTO si presentasse davanti a loro con i suoi strumenti di lavoro e chiedesse: "Che cosa volete l’uno dall’altro?", e se, vedendoli in imbarazzo, domandasse ancora: "Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona, tanto quanto è possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di giorno né di notte? Se questo è il vostro desiderio, io posso ben unirvi e fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate che uno solo e viviate entrambi come una persona sola. Anche dopo la vostra morte, laggiù nell’#Ade, voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che desiderate? è questo che può rendervi felici?" A queste parole nessuno di loro - noi lo sappiamo - dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos’altro. Ciascuno pensa semplicemente che il dio ha espresso ciò che da lungo tempo senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l’altra anima. Non più due, ma un’anima sola. [...]" (Platone, "Simposio", 192 c-e).
"A CHE GIOCO GIOCHIAMO", ANCORA, OGGI? NELL’#OFFICINA DI PLATONE, chi parla e promette di fare di "due un’anima sola", nel racconto di Aristofane, è Efesto (#Vulcano), il dio dei fabbri, ed #Eros, è il dio dell’amore/#desiderio cieco e avido: questi colpisce con le sue frecce e l’altro costruisce le catene per rimettere insieme le due metà!
"#Disagiodellaciviltà" (S. #Freud, 1929): non è meglio andare a lezione dagli #Arcadi e dagli #Etruschi e cambiare #registro e "divano" ("diwan"), rileggersi insieme #Dante ("#DivinaCommedia") e #Nietzsche ("Crepuscolo degli idoli"), e fare serenamente e veramente di #duepersone "una carne sola" ("vere duo in #carne #una")?! Boh e bah?!
Allegato: "Raffaele Regio, Metamorfosi Pub. Ovidii Nasonis libri XV, Venezia 1509 (prima edizione 1493), libro IV; Omero, #Odissea (VIII, vv. 266-366).
Federico La Sala
Per altre ragioni ancora l’opinione pubblica
di Atene non è indulgente con le esperienze scientifiche.
Gli astronomi e i sapienti possono facilmente sembrare
empi, e all’occorrenza questa empietà consiste nel
desacralizzare il cielo e le stelle, che tradizionalmente
vengono venerati come divinità.
Protagora fu bandito,
Anassagora messo in prigione, e poté uscire soltanto con
l’aiuto di Pericle in persona, ma lasciò Atene, che non era
certo una capitale del libero pensiero. Anche Socrate
ritiene che sia perfettamente inutile porsi tante domande
sulle orbite degli astri, sui movimenti dei pianeti e sulle
loro cause
In questo caso, perché condannare un’astronomia che si allontanava
dalle fastidiose spiegazioni naturalistiche degli ionici e che,
poiché le “leggi naturali” erano di nuovo “subordinate
all’autorità dei principi divini”, come dirà Plutarco,
ritrovava la sua innocenza? Ma i titoli di nobiltà che
Platone conferisce così all’astronomia sono ambigui.
Continuano a ignorare le ricerche, inaugurate dagli
ionici, sulle cause naturali che possono spiegare la
struttura del mondo. Come si può ben vedere, la
dissacrazione del mondo greco non è stata né completa,
né rapida." (cfr. F. Braudel, "Memorie del Mediterraneo", Bompiani, Milano 1998, pp. 426-428).ANTROPOLOGIA, ARCHEOLOGIA, E STORIOGRAFIA: FILONE D’ALESSANDRIA E UNA TRACCIA DI CRITICA AL PLATONISMO, MOLTO VICINA ALLA CRITICA DI MARX AL PAOLINISMO E AL MISTICISMO DI HEGEL.
A LEGGERE FILONE ( 20/10 a. C. - 41 d. C. ca.) SEMBRA RILEGGERE #PLATONE, ma a ben riflettere non è affatto così: nel suo lavoro "Sulla confusione delle lingue" (XIV), c’è anche un’indicazione per cercare di non perdersi nella "confusione" e, se si vuole, un invito a saper distinguere e non cedere alle lusinghe del Mentitore, del Sofista Aristocle, conosciuto come "Platone", il "vero" interprete del "messaggio" di Socrate ("So-crate") e della delfica indicazione "apollinea" del "conosci te stesso"!
Se è vero, come è vero, quanto scrive Filone, sul fatto che, "parlando nel modo più rigoroso in conformità con la natura", c’è "un duplice tipo di #albeggiare nell’anima, l’uno di tipo migliore, l’altro di tipo peggiore", e, che "il tipo migliore" è quello, "quando la luce delle virtù risplende come i raggi del sole"; e, che il peggiore è quello, "quando sono adombrati, e i vizi si manifestano"; c’è da ben meditare su quanto scrive immediatamente dopo: "Ora, il seguente è un esempio del primo tipo: "E Dio piantò un paradiso in Eden, verso oriente", non di piante terrestri ma di piante celesti, che il piantatore fece germogliare dalla luce incorporea che esiste intorno a lui, in modo tale da essere per sempre inestinguibile." (cit.).
A mio parere, questo è un consiglio ermeneutico molto importante, per non lasciarsi "atterrare" dal giogo delle tre carte (e dei "tre letti") del Dio #Piantatore ("#Fiturgo")! Filone ha capito cosa si nasconde nel potentissimo gioco di Platone e cerca di neutralizzarlo.
IL #CAPOVOLGIMENTO DIALETTICO: LA #CADUTA CON LA TESTA A TERRA. Quello che ha fatto Platone nei confronti della natura della #Legge (e della legge della #Natura), per Filone, appare essere quanto ha fatto e farà lo stesso #PaolodiTarso ed Hegel nei confronti della #Dialettica, come denuncia e denuncerà #Marx:
PLATONISMO E PAOLINISMO: IL "DIO" E L’ "UOMO" DELLA TEOLOGIA ECONOMICA #MAMMONICA ("DEUS #CARITAS EST", 2006). «Per Hegel - come scriverà Marx nel 1873 - il movimento del pensiero, ch’egli personifica col nome di #Idea, è il #demiurgo della realtà, la quale è soltanto la forma fenomenale dell’Idea. Per me invece il movimento del pensiero è soltanto il riflesso del movimento reale [...]. In Hegel essa (la dialettica) cammina sulla #testa; basta rimetterla in #piedi per darle una fisionomia completamente ragionevole» (K. Marx, Il #Capitale. Critica dell’economia politica", II ed.).
PROSEGUENDO NELLA LETTURA del testo di Filone, egli così scrive: "Ho anche sentito di uno dei compagni di Mosè che pronunciò un discorso come questo: ’Ecco un uomo ["ἄνθρωπος - ànthropos", vale a dire: "Ecce homo" ] il cui nome è l’Oriente!’. Un appellativo davvero molto nuovo, se lo si considera come detto di un uomo che è composto di corpo e anima; Ma se lo consideri applicato a quell’#essere #incorporeo che non differisce in alcun modo dall’#immagine #divina, allora sarai d’accordo che il nome dell’Oriente gli è stato dato con grande felicità".
E subito dopo, continuando, così conclude: "Poiché il #Padre dell’universo lo ha fatto sorgere come il #figliomaggiore, che, in un altro passo, chiama il #primogenito; e colui che è nato così, #imitando i modi di suo padre, ha formato questa o quella #specie, guardando ai suoi #modelli archetipici." (cit.).
QUESTO E’ IL #PUNTO (DELLA LINEA E DELLA SUPERFICIE) DELLO SPAZIO E DEL TEMPO DEGLI "ELEMENTI" DI #EUCLIDE E QUESTA ANCHE "THE QUESTION" DI #SHAKESPEARE.
IL "DEUS #CHARITAS EST" (1 Gv., 4. otto) E "L’AMOR CHE MOVE IL SOLE E LE ALTRE STELLE" (DANTE ALIGHIERI). ALLA LUCE DEL "DUPLICE ALBEGGIARE NELL’ANIMA", SE SI INTERPRETA "ECCO L’UOMO IL CUI NOME E’ L’ORIENTE" (Gen., 2.otto) ALLA #PAOLODITARSO, ALLA "SAN PAOLO", SI FA E SI FARA’ DELLA FIGURA DI GESU’, UN ESSERE UMANO "MASCHIO" ("ECCE VIR"), SE SI MANTIENE FILOLOGICAMENTE FERMA LA PAROLA "ANTHROPOS" (CON IL GRECO, E L’ "HOMO" CON LATINO DI #PILATO) NON SI PUO’ NON RICORDARE CON FILONE ALTRETTANTO FILOLOGICAMENTE CHE IL SUO "ECCE HOMO ["ANTHROPOS"]" COME IL SUO "ECCE DEUS" è UN UOMO E UN DIO "tutto #grazia ["xápiç - charis"], che dona infatti «grazie, χάριτας - charitas"», NON UN "DIO" E UN "UOMO" ("VIR") "tutto #potenza ("kratos - cratos"), secondo la logica dell’erculeo "so-cratico" Platone il cosmoteandrico #Pantocratore dell’Occidente.
"La via dell’amore", il nuovo saggio di Luce Irigaray
di Umberto Galimberti *
E se "filo-sofia" non volesse dire " amore della saggezza" ma "saggezza dell’amore", così come "teo-logia" vuol dire discorso di Dio e non parola di Dio, o come "metro-logia" vuol dire scienza delle misure e non misura della scienza? Perchè per "filo-sofia" questa inversione nella successione delle parole? Perchè in Occidente la filosofia si è strutturata come una logica che formalizza il reale, sottraendosi al mondo della vita, per rinchiudersi nelle università dove , tra iniziati, si trasmette da maestro a discepolo un sapere che non ha alcun impatto sull’esistenza e sul modo di condurla? Sarà per questo che da Platone, che indica come condotta filosofica " l’esercizio di morte",ad Heidegger, che tanto insiste suill’essere-per-la morte , i fillosofi si sono innamorati più del saper morire che del saper vivere?
Questa è la provocazione di Luce Irigaray che, nel suo ultimo libro: La via dell’amore, denuncia l’atteggiamento tipico e totalmente irriflesso del filosofo che, nella cura della purezza del logos, trascura il dia-logo con uno o più soggetti differenti, come le donne, per esempio, onde evitare i delicati problemi relazionali che nascono dal confronto con l’altro. E’ saggio tutto questo? O è semplicemente il sintomo di una paura o di una incapacità di entrare in relazione con l’altro?
Con questa provocazione Irigaray non intende distruggere l’edificio concettuale che la filosofia ha costruito in Occidente, ma denunciarne il carattere parziale, dovuto al fatto che si è preferito coltivare la purezza delle idee piuttosto che il rapporto intersoggettivo tra gli uomini, tutti portatori di idee, amputando così la verità, l’etica, la teologia stessa dei suoi valori di base, per privilegiare un monologo solipsistico, sempre più lontano dal reale.
Tutto ciò non corrisponde a una saggezza umana, ma piuttosto a un esilio circondato da fortificazioni dove il filosofo si ripara, servendosi soprattutto di una lingua difficilmente accessibile e più preoccupata di " parlare di" invece che di " parlare con" gli altri e così apprendere che non c’è una sola verità, una sola bellezza, una sola scienza.
E questo vale soprattutto oggi dove, per effetto della globalizzazione sperimentiamo che la diversità non è solo tra l’uomo e la donna, e più in generale fra i soggetti, ma tra le differenti culture, ciascuna delle quali è portatrice di un’oggettività difficilmente catalogabile con le nostre categorie, oltre che di una simbolica e di una sensibilità che richiedono di essere non solo comprese, ma pensate.
Qui più del logos conta il dia-logo, che è possibile solo quando riconosco che l’altro possa avere un gradiente di verità superiore al mio. Questa è l’essenza della tolleranza che le religioni, nonostante il gran parlare che ne fanno, misconoscono. Perchè non si può dialogare con chi si ritiene depositario di una verità assoluta. Questo la filosofia deve dire alle religioni, ma solo se si presenta non tanto come amore per la saggezza quanto come saggezza dell’ amore. Perchè è proprio dell’amore il riconoscimento dell’alterità dell’altro.
Bisogna allora passare dalla "trascendenza verticale" proposta dalle religioni alla "trascendenza orizzontale" che riconosce l’altro non nel Grande Altro ma nell’altro che ogni giorno incontriamo e che invoca un discorso per elaborare non la città ideale di Platone che sta nell’iperuranio, ma un universo che sia da tutti il più possibile condiviso. Meno filosofia del logos e più pratica filosofica attenta al mondo della vita. Questo forse oggi è necessario se non addirittura urgente.
LUCE IRIGARAY,
La via dell’amore,
Bollati Boringhieri
Traduzione di Roberto Salvatori
Pagg. 117,
Euro 14
* La Repubblica/Almanacco dei libri, 12.04.2008.