Ha paura. Ha svelato intrigo a S.Giovanni in Fiore e il vescovo vuole querelarlo
Emiliano Morrone ha ricevuto una diffida dal legale di monsignor Leonardo Bonanno, titolare della Diocesi di San Marco Argentano-Scalea, che non vuole essere citato negli articoli sulla gestione allegra dell’Abbazia florense e sulle opere sacre di proprietà della parrocchia trafugate e vendute. Altre rivelazioni del giornalista riguardano un’opera pia trasformata in residenza sanitaria privata a spese della Regione
di Pietro Bellantoni - OSSIGENO - Cosenza, 6 settembre 2012 - «Ho paura perché stanno cercando di screditarmi e di mettermi contro la gente. Non ci vuole niente ad aizzare persone che non hanno niente da perdere», confessa a Ossigeno Emiliano Morrone, 36 anni, direttore della testata on line L’infiltrato. Il vescovo di San Marco Argentano-Scalea, Leonardo Bonanno, vuole querelarlo perché non ha accolto l’intimazione a rimuovere dal sito web alcuni particolari sul ruolo che avrebbe avuto nello scandalo che scuote la Diocesi per la sparizione da un’abbazia di beni del valore di oltre due milioni di euro. Per questa vicenda un ex parroco è già stato condannato per truffa e appropriazione indebita, ma l’inchiesta giudiziaria prosegue. Sono coinvolti aministratori comunali, curia vescovile e prelati senza scrupoli e una società privata che ha rilevato l’ospizio di San Giovanni in Fiore trasformandoloo in una residenza sanitaria per anziani accreditata dalla Regione sulla base di una documentazione falsata che Morrone ha consegnato alla Procura.
Immaginate un giornalista attento, scrupoloso, che non ha paura di raccontare i fatti e di approfondirli con puntiglio, anche quelli che riguardano i poteri forti, come la Chiesa e i suoi rappresentanti istituzionali. Immaginate ancora un intrigo ecclesiastico-politico-economico all’ombra di un’abbazia del 1200 e la misteriosa sparizione di svariati milioni di euro orchestrata da un pastore di anime. È questo il torbido scenario dentro il quale Morrone si è trovato a operare.
E’ San Giovanni in Fiore, la cittadina calabrese in provincia di Cosenza, il teatro di una vicenda oscura in cui, accanto al matrimonio perverso tra clero e mondo degli affari, compare anche un’organizzazione criminale che trafuga e rivende opere d’arte sacre. In questo caso sembra che sia avvenuto con con l’avallo della Curia. E non basta. Al centro dello scandalo c’è anche un ex ospizio, un’opera di carità per l’assistenza agli anziani, che sarebbe stata trasferita illegittimamente nelle mani di imprenditori privati ben introdotti nelle stanze del potere locale.
PER GIOACCHINO DA FIORE, PER LA CALABRIA, PER L’ITALIA ....
PER L’ABBAZIA FLORENSE, APPELLO AL VESCOVO SALVATORE NUNNARI E AI GESTORI DELLA CASA DI RIPOSO - di Emiliano Morrone, direttore di Infiltrato.
Chiedo loro di uscire pubblicamente, di collaborare perché si restituisca l’Abbazia florense alla comunità, non solo locale. Chiedo un atteggiamento costruttivo, perché questo è possibile
PER GIOACCHINO DA GIORE, PER L’ABBAZIA FLORENSE, PER SAN GIOVANNI IN FIORE .....
CHIARISSIMI VESCOVI
Accogliete in spirito di evangelica carità ("charitas") le sollecitazioni di Emiliano Morrone a fare chiarezza. Altro che minacce: uscite dalla confusione e dalla "minorità" gerarchica!
ISTANZE EVANGELICHE O "RAGIONI DI STATO"?! COSA AVETE SCELTO IERI, E COSA SCEGLIETE OGGI, ORA?!:
La vita e la verità stanno sulla via di Gesù ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8) non su quella di Benedetto XVI ("Deus caritas est", 2006). Riconsiderate non solo la lezione di Gioacchino da Fiore, ma anche di Francesco da Paola !!! Pensate con la vostra testa e con il vostro cuore e ... uscite dal gregge "mammonico"!
Siate all’altezza di voi stessi, e del vostro compito ....
O VOLETE ANCHE VOI SPEGNERE IL LUMEN GENTIUM ... PER "RAGIONI DI STATO"?!
PER LA CHIESA, PER L’ITALIA, E PER L’ABBAZIA DI GIOACCHINO DA FIORE!
QUESTO IL MIO INVITO, E IL MIO AUGURIO ....
In fede, speranza, e carità
Federico La Sala
Messaggio al vescovo Nunnari e al vescovo Bonanno.
Un invito ...
Accogliete in spirito di evangelica carità ("charitas") le sollecitazioni di Emiliano Morrone a fare chiarezza. Altro che minacce: uscite dalla confusione e dalla "minorità" gerarchica!
La vita e la verità stanno sulla via di Gesù ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8) non su quella di Benedetto XVI ("Deus caritas est", 2006).
Pensate con la vostra testa e con il vostro cuore e ... uscite dal gregge "mammonico"!
Siate veri testimoni di Cristo e del suo Dio e non del "Deus caritas" e del "Dominus Iesus" ratzingeriano!
LUMEN GENTIUM. Siate all’altezza di voi stessi, e del vostro compito ....
PER LA CHIESA, PER L’ITALIA, E PER L’ABBAZIA DI GIOACCHINO DA FIORE!
QUESTO IL MIO INVITO, E IL MIO AUGURIO ....
In fede, speranza, e carità
Federico La Sala
PER GIOACCHINO DA FIORE, SAN GIOVANNI IN FIORE
PER L’ABBAZIA FLORENSE, INTERROGAZIONE PARLAMENTARE. .
Materiali sul tema.
’NDRANGHETA/ Il direttore di Infiltrato isolato nelle denunce: quando il giornalismo ti si ritorce contro
Scritto da La Redazione *
di Emiliano Morrone *
Ndrangheta_2In Calabria si muore per un’appendicite, un parto, una parola di troppo. Si muore di rassegnazione, impotenza, silenzio, solitudine. Qui si muore di lontananza dal resto dell’Italia e del mondo, perché la storia di questa terra rimane nell’ombra.
Nessuno, nel Nord produttivo, racconta insieme la Kroton (Crotone) di Pitagora e la provincia odierna dei bazooka che squarciano le blindate. Nessuno, fuori dei nostri confini, accosta le ricche Metauros e Lokroi Epizephyrioi alle attuali Gioia Tauro e Locri, spogliate dalla ‘ndrangheta. La storia calabrese scompare nell’oblio fulmineo di un’Italia distratta e disperata. Anche se di questa storia, antica e quotidiana, vi sono tracce indelebili: il pensiero, la lingua, i riti, i costumi, le pietre, gli scritti e poi le scorie ritrovate a Crotone o lungo il fiume Oliva ad Amantea (Cosenza), causa di tragedie e fortune.
La storia calabrese poggia su un’atavica doppiezza, sulla coesistenza di bellezza e orrore, accoglienza e partenze obbligate, miseria diffusa e opulenza di pochi, spesso colletti bianchi. La storia calabrese rimane nei sussulti e nella rabbia degli onesti, che patiscono senza riferimenti, solidarietà, aiuto concreto e pulito. Rimane, la storia, in chi ha scelto di risiedere in Calabria senza compromettersi; in chi, emigrato, ha lasciato qualcosa d’indescrivibile a casa sua: più del cuore, dei ricordi, delle abitudini.
A Gioia, una volta Metauros, puoi saltare in aria se fai benzina all’automatico; anche se non c’entri, se non sai, se non hai visto nulla e non hai disturbato un capo. A Locri, centro della Magna Grecia, è deserto dopo l’assassinio di Francesco Fortugno e il conseguente teatro dello Stato; dopo la viva reazione dei ragazzi calabresi dissolta da tv e partiti. Il sangue di quell’omicidio scorre ancora nei palazzi che contano, nelle stanze del potere che si camuffa dietro a parvenze e linguaggio istituzionali, per negoziare favori e privilegi; per sopravvivere a se stesso.
A Pagliarelle, sperduta frazione dell’entroterra crotonese, abita Marisa Garofalo, sorella di Lea, uccisa barbaramente e con imperdonabile vigliaccheria. Lea riferì alla giustizia fatti che dovevano rimanere sepolti, come i morti della nostra terra spariti nel nulla, sciolti nell’acido o murati in qualche pilastro pagato da tutti gli italiani, di Monza, Perugia o Cefalù. La grande stampa s’è accorta di Lea giusto il tempo della cronaca, fino al processo degli assassini. Poi, come sempre, tutto è passato, nella meccanica corsa verso il nulla del Belpaese, che ha festeggiato i 150 anni dell’Unità scordandosi dell’eterna Questione meridionale.
Oggi il dramma del Sud, in particolare della Calabria, si riassume in quattro parole: disoccupazione, assistenza, degrado, nuova emigrazione. Li ha prodotti il circuito della paura e del terrore, della subordinazione di un intero popolo, sovente rappresentato da portatori d’interessi privati, incapaci di progetto e coerenza, deboli nello spirito e nella ragione. Marisa Garofalo vive nel suo dolore inconsolabile. La sua storia è il simbolo di un’Italia che non funziona: che prima predica giustizia e senso dello Stato, poi scarica, s’arrende - come fece per la strage di via d’Amelio - al corso delle cose, al menefreghismo individuale, all’ordine sopra l’ordinamento.
Spesso in Calabria si è già morti anche in vita: costretti a non parlare, a guardarsi, a evitare la denuncia o il biasimo del mafioso che delinque, del furbo che costruisce con abuso, del politico che promette posti e soluzioni col ricatto.
Siamo nel 2012, l’Università della Calabria risale al ’72. Abbiamo perso troppo tempo, al di là dei movimenti della politica, tra lamentele personali e chiacchiere da bar; tra autoassoluzioni e campagne elettorali che, proiettando cambiamenti rinviati all’infinito, ricordano il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, di Giacomo Leopardi, o Aspettando Godot, di Samuel Beckett. Ma la letteratura è altro dalla pratica, dal bisogno di azioni reali che la scrittura può indurre, anche con forza imprevedibile: scuotendo, contagiando, sostenendo le coscienze e le menti.
La recente omelia di monsignor Giuseppe Fiorini Morosini a Polsi (San Luca, Reggio Calabria) ha destato numerosi commenti su Il Quotidiano della Calabria. Sul giornale continuano le riflessioni circa il perdono della Chiesa ai mafiosi, suscitate dal vescovo di Locri con la sua discussa predica; di fatto un’apertura alla remissione dello ‘ndranghetista. I nostri intellettuali guardano al ruolo della Chiesa per l’emancipazione della Calabria dalla cultura di reticenza e familismo imposta dalla ‘ndrangheta. Io penso che, richiamando il ruolo morale e sociale della Chiesa, si deve sottolineare l’esigenza che vescovi, sacerdoti e credenti siano vicini a chi parla, denuncia, testimonia. La Chiesa deve promuovere la comunione nella lotta alla ‘ndrangheta, quest’ultima intesa come forma di pensare e agire.
La sfida per il futuro della Calabria si gioca, dunque, su due fronti: 1) su quello della partecipazione attiva, religiosa e laica, all’impegno per la ripresa della Calabria da parte di noi calabresi; 2) sulla capacità di autocritica di ciascuno, che significa giudicarci per i comportamenti e le azioni, riconoscendoci colpe che addossiamo sbrigativamente solo al sistema. In questo senso, per esempio, non può passare sotto traccia che, per quanto largamente intrisi di cultura cristiana, tendiamo a stare dalla parte del più forte, dimenticando l’insegnamento delle Beatitudini.
Il Quotidiano della Calabria ha avviato un confronto aperto e fecondo, che non si esaurisce nel dibattito sul perdono dei criminali. A mio avviso, nei tanti contributi c’è un desiderio profondo di trasformazione: sta accadendo qualcosa di straordinario. Forse, senza volerlo, si sta stendendo un programma politico, lontano da mire di palazzo, che toccherà ai prossimi candidati raccogliere e tradurre. Stanno uscendo energie, concetti, parole e perfino frustrazioni. Ci stiamo raccontando come calabresi, stiamo vincendo la paura del silenzio e la marginalità: stiamo facendo e scrivendo storia. «Ma la storia siamo noi», come sottolineava Francesco De Gregori, sicché «nessuno si senta escluso».
Proprio la convinzione di partecipare, sul giornale e fuori delle sue pagine, può determinare una grande consapevolezza del passato, del presente e del futuro. Può scatenarsi, allora, un desiderio incontenibile di libertà, la quale viene sempre dal lavoro. Bisogna, però, che prima focalizziamo un punto: il lavoro non è una concessione del potente di turno, ma il fondamento della Repubblica. Ed è nella nostra terra che abbiamo il diritto di lavorare. Soltanto lottando per questo ideale, possiamo arginare l’emigrazione e trasformare in autonomia la vecchia, inutile dipendenza dal potere.
già pubblicato su Il Quotidiano della Calabria
ABBAZIA FLORENSE/ La politica non ha più alibi: sia un consiglio comunale di verità, per il bene comune
di Emiliano Morrone (l’Infiltrato, 15 Settembre 2012)
È partita la macchina del fango, in Calabria. E non solo quella, se cauti non sottovalutiamo certi segnali. La causa scatenante è l’inchiesta sull’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore (Cosenza), pubblicata da Infiltrato lo scorso 17 luglio. Non pochi si sono scagliati contro il giornale e il suo direttore, come se il problema fossimo noi e non le irregolarità del caso, raccontate con documenti e testimonianze.
Ora qualcuno dirà in giro che ci stiamo arricchendo, che bramiamo candidature o posti di lusso, accecati dalla fama a spese di politici indefessi, magari eredi di quel san Giorgio La Pira che a Firenze donò il suo cappotto a un povero assiderato. Ma siamo vaccinati e, soprattutto, abituati. Ricordiamo che in passato ci chiamarono «picciotti» in sede istituzionale; noi che nel 2010 eravamo con Salvatore Borsellino a pretendere trasparenza e giustizia sul restauro con fondi europei dell’Abbazia florense.
In Calabria la miopia mentale sposa quotidianamente la malafede, così ogni dovere professionale o azione civile deve per forza avere un utile, un vantaggio privato. È inconcepibile che uno s’affanni perché non sopporta di vedere morire o bruciare la propria terra. Si rilegga Mauro Minervino di Statale 18 e La Calabria brucia. È impensabile pensare che la denuncia scaturisca dal bisogno di verità e Stato, visto che qui tutto è il contrario di come dovrebbe e potrebbe essere. Dal lavoro alla sanità, dalla vita alla morte.
Sembra che alla maggioranza dei politici non interessi un tubo del monumento, salvo che pubblicamente non dimostrino il contrario: senza più attendere, tentennare, rinviare. Senza ponderare le parole per non urtare eventuali traffichini di palazzo e potentati della torta pubblica. Sì, perché è dal 2009 che l’Abbazia florense subisce danni continui, al punto da rischiare cedimenti.
Si ricordano i lavori beffa finanziati dall’Unione europea, con un sequestro della Procura e un lunghissimo fermo dovuto a irregolarità di procedura. E oggi, dopo la nostra inchiesta, si aggiungono ombre relative alla casa di riposo all’interno dell’edificio religioso: il parroco, altrimenti condannato per truffa e appropriazione indebita, che per debiti la cedette a privati; i quali - legittimamente, obiettano - la trasformarono in residenza socio-sanitaria ricevendo l’accreditamento regionale grazie a un documento menzognero prodotto dal Comune di San Giovanni in Fiore, proprietario dei locali in questione.
C’è l’occasione per riparare a silenzi e immobilismo, tanto da dolo quanto da colpa. E forse stavolta è l’ultima, ché il Comitato pro Abbazia florense, fatto di cittadini liberi, le ha provate tutte, senza pregiudizi coinvolgendo la politica e stimolando la responsabilità pubblica; l’una rimasta avvelenata, l’atra a lungo dormiente.
L’occasione è il consiglio comunale che si terrà tra il 18 e il 21 settembre prossimi. Lì si voterà la mozione di sfiducia presentata dall’opposizione di centrosinistra nei confronti del presidente del Consiglio comunale, Luigi Astorino. Si dovrebbe anche, e soprattutto, discutere e assumere impegni precisi circa il degrado in cui versa il monumento, «espressione della spiritualità gioachimita».
Nella sue recente interrogazione al ministro dei Beni culturali, l’onorevole Angela Napoli, della commissione parlamentare Antimafia, ha definito l’Abbazia florense «espressione della spiritualità gioachimita», cioè del profeta Gioacchino da Fiore, le cui ossa giacciono oggi in un angolo buio, come il suo messaggio di giustizia.
La deputata è di Taurianova (Reggio Calabria), in zona calda, caldissima, dove il fuoco della ‘ndrangheta arde corpi e speranze, bellezza e futuro. Ma a Taurianova e in tutta la Piana di Gioia Tauro c’è la parola, l’azione coraggiosa contro chi fa le regole a modo suo, sostituisce il codice pubblico con quello privato, violenta le regole e condiziona la comunità.
Come esempio di coraggio penso alla Napoli stessa o a Renato Bellofiore, sindaco di Gioia Tauro (Reggio Calabria) e capofila, col suo vice Jacopo Rizzo e con Giacomo Saccomanno, avvocato di parte civile nei processi di mafia, del Comitato civico per l’Ospedale unico della Piana. Un’altra brutta storia, quella dell’ospedale unico, e Infiltrato l’ha raccontata, che riunisce un gran pezzo di politica calabrese sotto la stessa specie, quella degli omertosi. Per questa vicenda, è stata Angela Napoli l’unica voce del parlamento a esporsi, a denunciare e chiedere risposte.
La mafia, abbiamo ripetuto allo stremo, non è solo quella che spara, scioglie, ammazza, infossa. La mafia è un fatto della mente: è la rinuncia ad essere uomini, dotati di raziocinio, anima e senso della giustizia. La mafia calabrese non ci sarebbe in alcuna forma, delle armate o dei furbi tessitori, se la politica facesse il suo unico dovere, cioè il bene comune.
Allora, e per l’ultima volta, aspettiamo che la politica di San Giovanni in Fiore, verso cui non vogliamo avere preconcetti e che non intendiamo né possiamo condannare, dica la verità, tutta la verità sull’Abbazia florense.
Onestamente, noi non crediamo che l’attuale sindaco di San Giovanni in Fiore, Antonio Barile (Pdl), sapesse da tempo del predetto documento menzognero. Al nostro Carmine Gazzanni ha dichiarato d’esserne venuto a conoscenza dopo un incontro pubblico (del 23 agosto 2012, ndr) che abbiamo contribuito a organizzare. Nell’occasione abbiamo svelato l’esistenza dell’atto, scovato tra le carte del municipio. Ci fidiamo della risposta del sindaco, che su altre questioni ha già compiuto azioni amministrative doverose e decise. Questo per amore di verità, non entrando nel merito delle scelte d’indirizzo, che nella sede attuale non interessano.
Con ciò non vogliamo scaricare sul predecessore, Antonio Nicoletti (Socialisti di Nencini), che, ci dicono le carte, ha chiesto formalmente spiegazioni al firmatario del parere menzognero, Gaetano Pignanelli, all’epoca dirigente dell’Ufficio legale del Comune. Poi è intervenuta la Finanza (Nicoletti sindaco), seguita dai carabinieri del Nucleo di tutela del Patrimonio culturale (Barile sindaco), che hanno acquisito gli atti del caso, compreso quel parere. Sicché non possiamo né vogliamo accusare Nicoletti: maggioranza e opposizione si confrontino in consiglio comunale su un terreno di dialettica civile. Che la seduta non si trasformi in spettacolo dell’indecenza e che si guardi al futuro dell’Abbazia florense.
Un’ultima cosa possiamo e vogliamo scrivere: il presidente del Consiglio Luigi Astorino non è un dannando e noi lo rispettiamo. Ma i suoi «non so» sul parere di Pignanelli, sull’agibilità della casa di riposo e sui lavori di adeguamento effettuati dalla San Vincenzo De’ Paoli (gestore della residenza socio-sanitaria, ndr), suo datore di lavoro, sono senz’altro imbarazzanti. Anche perché fu lui, durante il consiglio comunale aperto del 13 gennaio scorso, tenuto per un attentato rivolto al sindaco Barile, a chiedere l’applauso «per accogliere il sindaco di Isola Capo Rizzuto (Crotone), la dottoressa Girasole (Carolina, ndr)» (video, dal minuto 1,16 al minuto 1,23), più volte minacciata dalla criminalità organizzata.
Ora, al di là dei contesti - senz’altro diversi San Giovanni in Fiore e Isola Capo Rizzuto -, la memoria istituzionale ha un valore. Allora fu simbolica la presenza al consiglio della Girasole. Come simbolica e di valore fu quella seduta consiliare, in cui politici e cittadini respinsero ogni tentativo di penetrazione della ‘ndrangheta a San Giovanni in Fiore.
Alle parole e ai simboli del coraggio devono seguire i fatti concreti. Sempre, non solo in tema di ‘ndrangheta.