Paolo e la guerra
di Pierluigi Sullo (il manifesto, 20.07.2006)
Non so che effetto abbia fatto il gesto di Paolo Cacciari - che non ha votato sulle missioni militari italiane e si è dimesso da deputato - a chi pensa che il principio e la fine di ogni cosa si trova nella politica. A me ha fatto venire in mente una notte di gennaio del 1991, quando le prime bombe cadevano su Baghdad. Luigi Pintor disse: «Ma questa non è una guerra, è un massacro». Così, il giorno dopo la prima pagina del manifesto pronunciava un’unica, grande parola: «Massacro». Voleva dire: noi siamo contro la guerra in ogni caso, per principio. Tanto che fummo accusati, da molta sinistra, di essere schierati con il papa, la cui posizione era più o meno la stessa. Devo a Paolo, che, oltre a essere un socio fondatore della cooperativa Carta, è uno dei miei amici più intimi, delle scuse. Il meglio possibile
Perché ho cercato di convincerlo che sì, l’attuale maggioranza non riesce o non vuole troncare con la menzogna della «guerra umanitaria», ma che in fondo ora ci si ritira dall’Iraq, si mette in questione Enduring freedom in Afghanistan, si costituisce un osservatorio parlamentare sulle missioni all’estero, e insomma, alle condizioni date, quel che la camera ha votato ieri è il meglio possibile. Sono, grosso modo, le parole che Paolo ha adoperato nel suo breve intervento, ieri mattina. Tutt’e due, per altro, pensiamo che i mutamenti veri non avvengano nel governo o nel parlamento: caso mai, lì si può prenderne atto. Si può, come dice Marco Revelli, «ridurre il danno della politica». A patto che fuori, nella società, si crei il clima adatto, si diffonda consapevolezza e nascano movimenti.
E’ questo ad esempio il caso dell’acqua, che il governo ha dichiarato pubblica proprio mentre «liberalizzava" questo o quell’altro». O è il caso della Val di Susa, unico luogo in Italia dove la Legge obiettivo sia stata sospesa, tanto che i sindaci della valle corrono da una parte all’altra del paese a rispondere alla domanda: «Come possiamo riuscirci anche noi?». Ed è il caso dell’Iraq, paese nel quale la permanenza dei militari italiani è stata resa impossibile dall’avversione crescente di milioni di cittadini. Dunque, era la mia conclusione, non bisogna aspettarsi troppo dalle aule parlamentari o dai ministeri. Ma solo, appunto, il «meglio possibile». Non è una scelta bizzarra
Sottovalutavo però la condizione di Paolo, iscritto a Rifondazione comunista e deputato. Per noi che siamo fuori di lì, certo, è più facile. Così, lui ha deciso di fare una di quelle scelte che appaiono, alla normalità della politica, bizzarre. Ossia arrivare alla conclusione che quel tavolo, a cui la catastrofe della guerra si è seduta come un interlocutore tra altri, andava rovesciato. Se a queste condizioni non si riesce a cambiare strada, allora sono le condizioni che vanno rifiutate. Un gesto in cui si percepisce lo straordinario candore, la limpidezza, di quella signora nera che, in tempi di segregazione razziale nel sud degli Stati uniti, decise tranquillamente di andare a sedere nei posti riservati ai bianchi. Se posso permettermi di dare un consiglio al segretario di Rifondazione comunista e al presidente della camera, eviterei di trattare quello di Paolo Cacciari come un caso individuale, una stranezza. Perché non solo ha chiarito di colpo quanto vecchia sia la contrapposizione tra chi si oppone alle guerre sbagliate in nome della guerra giusta e chi cerca appunto di «limitare il danno», ma ha parlato alle orecchie dei milioni che aspirano a un mondo di pace.
Che a compiere quel gesto sia stato un deputato di Rifondazione comunista, partito che ha scelto la nonviolenza, è un onore.